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In Breve

| 30 agosto 2015, 09:09

In&Out: fare il cuoco in Australia con il sogno di un ristorante a Cuneo

Cosa significa avere ventiquattro anni, essere un cuoco italiano e decidere di partire per l'Australia? Cosa spinge a partire, e a volte a tornare?

In&Out: fare il cuoco in Australia con il sogno di un ristorante a Cuneo

Cosa significa avere ventiquattro anni, essere un cuoco italiano e decidere di partire per l'Australia?

Cosa spinge a partire, e a volte a tornare?

Andrea Goletto ha deciso di mettersi alla prova e volare a Melbourne per migliorarsi, come persona e come chef.

 

Quando e perchè hai deciso di partire e lasciare la tua città?

Era una scelta a cui pensavo da tempo.

Sono un cuoco e penso che nella cucina non ci si debba mai fermare. La cucina è dinamica, sperimentale: non si può crescere rimanendo sempre nello stesso posto. Mi fermerò soltanto quando sarò così capace da aprire il mio ristorante.

Così il 20 giugno 2014 ho deciso di mettere in standby la mia vita a Cuneo e partire per fare un'esperienza costruttiva, dal punto di vista lavorativo, linguistico, ma anche umano.

Io volevo cucinare, volevo migliorarmi, crescere e aprirmi a nuovi modi di lavorare e di creare.

Sono rimasto in Australia per nove mesi; nei primi sette ho lavorato in due ristoranti, mentre nell'ultimo periodo mi sono regalato quel viaggio tanto sognato, alla scoperta dell'Australia.

 

Hai avuto la possibilità di lavorare in un ristorante italiano?

Tutti dicono che in Australia non si mangi bene, invece gli australiani ci tengono molto alla cucina, hanno una tradizione culinaria forte e di stampo britannico, ma sono ottimi sperimentatori, nonostante abbiano una cucina completamente diversa dalla nostra.

Per i primi due mesi e mezzo ho lavorato proprio in un ristorante italiano nel centro di Melbourne, gestito da una coppia di australiani, con cuochi italiani.

In realtà però si dava una forte impronta australiana ai piatti, perchè la clientela cerca un tipo di prodotto che non sia completamente estraneo alle proprie abitudini.

Per gli antipasti, la carne ed il pesce non c'era troppa elasticità, anzi, si mantenevano per lo più le regole di preparazione locali.

L'unico piatto su cui si poteva investire una maggiore "italianità", è scontato dirlo, era la pasta.

Dopodiché ho scelto di proseguire in un ristorante molto carino, con uno staff giovanissimo ed in cui potevo approfondire la mia conoscenza dell'inglese.

Io ero agli antipasti, il mio collega ai secondi ed una ragazza ai dolci. Era un ristorante di tradizione britannica in cui, quindi, non si cucinavano i primi all'italiana.

 

Cosa significa essere un italiano che cerca lavoro in Australia?

Gli italiani vanno in Australia, a meno che non lo facciano con qualche qualifica specifica, per occuparsi di lavori umili e dei quali pochi australiani hanno voglia od occasione di occuparsi. Noi italiani là siamo come i lavoratori immigrati che vengono a coltivare i nostri campi o a lavorare in fabbrica.

Là la frutta nei campi la raccolgono gli italiani; l'immigrazione per lavoro è ben vista, regolarizzata e controllata, proprio perchè solleva gli autoctoni di tutti quei mestieri nei quali non si ha più voglia di affrontare.

Proprio per favorire l'inserimento di manodopera straniera nel settore agricolo sono stati creati questi sistemi delle cosiddette "farm", in cui lavorando per un minimo di 88 giorni si può ottenere il secondo visto, che permette di continuare legalmente la permanenza sul territorio.

Diverso è invece il discorso per le altre occupazioni in cui gli italiani solitamente trovano facile accesso, come lavori da carpentiere, imbianchino, cuoco, lavapiatti.

 

Tu, come cuoco italiano, eri ben visto?

Assolutamente sì.

Quando mi presentavo, la gente sembrava riversare su di me tutti i buoni stereotipi di cui godiamo a proposito della nostra invidiata tradizione culinaria.

Essere un italiano era un importante valore aggiunto nel cercare lavoro nel campo della ristorazione.

É pur vero, però, che ho potuto scoprire come non solo siamo apprezzati per la cucina, ma anche per l'arte e la storia, per le colline, il mare, per i prodotti alimentari tipici e per tutte le qualità che agli occhi di un non italiano fanno apparire il nostro paese, davvero come il più bello al mondo.

Mi ricordo di una ragazza a cui avevo mostrato alcune fotografie di Cuneo e delle nostre montagne, e sorrido se penso a quando mi ha detto: "se io abitassi in un posto così, non me ne sarei mai andata". Aveva ragione; infatti sono tornato.

 

Cosa ha saputo darti l'Australia?

L'Australia è una terra meravigliosa, non ho potuto visitarla per intero, ma sicuramente incontrare nuove persone, sembra banale ma fa crescere molto.

A livello professionale mi ha sicuramente permesso di crescere in fantasia e creatività; a livello umano di creare amicizie che durano a distanza di tempo e di chilometri. Per esempio per Natale e Santo Stefano, sono stato ospitato presso la famiglia del cuoco con cui lavoravo, riscoprendo con piacere come il vero sapore del natale, nonostante le piccole e le grandi differenze, era lo stesso che potevo ritrovare a casa mia.

In oltre, ricordo con piacere quando ho soggiornato per alcuni giorni in un ostello che ospitava giapponesi, tedeschi e molta altra gente e mi sono ritrovato a cucinarmi una pasta "italianissima" scatenando l'invidia di tutti. Le sere a seguire decisi di condividere il pasto con tutti gli altri e cucinai la pasta per una quindicina di persone.

Ecco, ciò che mi piace del mio lavoro: il cibo crea unione, mangiare insieme ti fa sentire a casa, anche dall'altra parte del mondo.

 

Perchè hai deciso di tornare?

Questa è una domanda a cui è difficile dare una sola risposta.

In Australia si sta molto bene, il tenore di vita è abbastanza alto e nel mio caso è stato molto facile trovare lavoro, un bel lavoro. Per altri non è stato così, ma generalmente  se ti dai da fare hai un sacco di possibilità lavorative.

Ma nel mio caso, la famiglia, gli amici e la mia città hanno prevalso sulla possibilità di avere un buon lavoro e una nuova vita professionale ed umana lontano da casa.

Già quando sono partito avevo in mente di tornare, non sapevo quando, ma sarei tornato. Dopo quasi un anno all'estero, però, ho voluto tornare; sicuramente non per sempre.

Ho in progetto molti altre esperienze utili ad ampliare il mio bagaglio professionale e ad impratichirmi sempre di più nel mio mestiere, allo scopo di acquisire idee nuove, freschezza ed innovazione da poter investire al meglio nel nostro paese.

Il mio sogno è di aprire un ristorante a Cuneo, perchè questa è la mia città e la mia quotidianità. Io non voglio scappare dall'Italia, ma semplicemente renderla sempre migliore, nel mio piccolo.

E perchè non iniziare da un buon piatto di pasta?

Giulia Manzone

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