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Eventi | 27 agosto 2016, 17:14

Quarant’anni di David Bowie negli scatti di Masayoshi Sukita in mostra ad Alba

Dal 4 settembre al 9 ottobre saranno visibili immagini uniche del grande artista scomparso a inizio anno

Quarant’anni di David Bowie negli scatti di Masayoshi Sukita in mostra ad Alba

Mi è davvero difficile accettare l’idea che Sukita – san mi abbia fotografato per tutti questi anni fin dal 1972, ma è proprio così. Sospetto che sia perché, ogni volta che mi ha chiesto di posare per lui, con gli occhi della mente ho sempre visto quest’uomo dolce, creativo e dal cuore grande, capace di trasformare dei servizi fotografici potenzialmente noiosi in piccoli eventi così rilassati e indolori. Possa egli scattare in eterno.” Con queste parole David Bowie, l’icona del glam rock e della new wave, il camaleonte del rock, scomparso lo scorso 10 gennaio descriveva il lavoro di Masayoshi Sukita, uno dei più raffinati fotografi che lo ha immortalato per 40 anni in tutte le fasi della storia musicale del Duca Bianco.

Da Ziggy Stardust alle copertine di dischi storici come Heroes, Tin Machine e The Next Day, le immagini saranno in mostra dal 4 settembre al 9 ottobre alla Wall Sound Gallery di via Gastaldi 4 ad Alba.

La mostra sarà inaugurata domenica 4 settembre alle 15 e per l’occasione Masayoshi Sukita sarà presente per firmare copie del catalogo Heroes.Bowie.Sukita, edito da Wall of Sound Gallery.

Sempre domenica 4 settembre presso la nuova sala Beppe Fenoglio di Alba ci sarà l’incontro proiezione con Masayoshi Sukita e Guido Harari.

La mostra è realizzata in collaborazione con ONO Arte Contemporanea di Bologna.

Lunga e proficua la collaborazione tra Sukita e Bowie. Nel 1972 il fotografo, nato in Giappone nel 1938, aveva trovato in Bowie la sua musa ideale. Da quel lontano giorno ne nacque una collaborazione e un’amicizia durata 40 anni nei quali Sukita ha documentato i cambi di identità e di look che hanno segnato più di un’epoca e di una generazione: da Ziggy Stardust al Duca Bianco per arrivare, nel 1977 all’immagine più iconica di Bowie, quella della copertina dell’album Heroes.

Ero a Londra per fotografare Marc Bolan, ma non sapevo chi fosse Bowie – racconta Sukita. – Lo avvicinai grazie a degli amici e gli mostrai il mio portfolio. Non sapevo che musica facesse, ma avevo sentito che aveva studiato danza con Lidsay Kemp. Il suo linguaggio corporeo era straordinario e ci piaceva molto la colonna sonora del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Così combinammo tutti questi elementi nelle nostre foto e quel che venne fuori fu semplicemente iconico”.

Scatti presi con naturalezza che esaltano la complessità in continuo movimento di David Bowie. La massima espressione della collaborazione tra i due artisti è visibile nel servizio da cui fu tratta la copertina di Heroes. “Bowie aveva prodotto il disco The Idiot di Iggi Pop e vennero insieme in Giappone per promuoverlo. Mi chiamarono per un’ora di foto ciascuno. Nessuno parlò di scattare la copertina di un disco e quindi non pensai a nulla di creativo o concettuale. Catturai Bowie al naturale, seduto, in piedi, capendo che quella era la chiave più interessante. Invece di dargli indicazioni su come posare, mi limitai a fissare la sua persona. Gli spedii i provini e un mese dopo Bowie mi fece sapere di aver scelto una di quelle fotografie per la copertina di Heroes. Più tardi fu premiata come miglior copertina dell’anno da una rivista inglese. Ne fui davvero felice e orgoglioso”, racconta Sukita.

La mostra Heroes comprende 38 immagini, a partire da una serie di ritratti realizzati a Londra nel 1972 e a New York nel 1973, seguite da immagini dal vivo in Giappone nello stesso anno. Non mancano gli scatti iconici e diverse fotografie “alternative” del servizio di Heroes del 1977, immagini di viaggio a Kyoto, in Giappone, del 1980 e alcuni ritratti più recenti, scattati tra il 1989 e il 2002 per la promozione dell’album Heaten, compreso quello di un manichino a grandezza naturale, fatto costruire da Sukita per poter realizzare fotografie sempre nuove senza disturbare il soggetto “originale”.

Agata Pagani

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