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In Breve

| 30 luglio 2017, 09:13

“Wish upon”: quando il desiderio tesse la sua tela sull’adolescenza

Il difetto più grande di quest’opera è quello di scavare poco nelle ossessioni dei protagonisti soffermandosi troppo invece sulla storia della scatola e sulle sue infernali capacità racchiudendo il Male in un brand che a suo modo ne limita il potenziale invece di affrontare la sua incorporea e virale affezione

“Wish upon”: quando il desiderio tesse la sua tela sull’adolescenza

IL FILM

Per la regia di John R.Leonetti (già regista di Annabelle), con la sceneggiatura di Barbara Marshall e le musiche di Tomandandy, “Wish Upon” (esprimi un desiderio) è un horror che cerca, come nel miglior King, di raccontare le inquietudini e i sogni d’un’adolescente attraverso la lente deformante del sovrannaturale e per farlo ricorre all’immaginario di Wan (Insidious) e ad una delle sue più ispirate attrici, Joey King (vista appunto ne “L’evocazione- The conjuring”). Da segnalare il cameo di Sherilyn Fenn, icona di perturbante bellezza in Twin Peaks, e la buona prova di Ryan Philippe, nella parte del padre di Joey, già ammirato in pellicole quali “Studio 54” o “Flags of your Fathers.

 

TRAMA

Il film inizia con una donna visibilmente provata che dopo aver deposto un involto nella spazzatura si suicida di fronte alla figlia che la coglie inavvertitamente sul fatto.

Qualche anno dopo la bambina è l’adolescente Clare che ama dipingere, ha un padre che per vivere rivende oggetti trovati nella spazzatura, e non è molto popolare a scuola dove subisce angherie da coetanee più glamour, innamorata tralaltro d’un ragazzo che la saluta a stento. Tutto cambierà quando il padre le regalerà una scatola cinese dei desideri scovata in un bidone durante una delle sue escursioni e lei, prima per gioco poi sempre più consapevole del potere sprigionato dall’oggetto, inizierà a esprimere dei desideri che puntualmente si realizzeranno ma con delle sanguinose conseguenze che lei fingerà d’ignorare finchè non la travolgeranno.

L’amicizia con Ryan (Ki Hong Lee) che la aiuterà a tradurre dal cinese le iscrizioni sulla scatola segnerà una possibile via d’uscita alla drammatica spirale aperta dall’oggetto, che sembra un incrocio fra un carillon ed un grottesco giradischi, ma rinunciare a un simile talismano di felicità (per quanto crudele) non sarà facile e la sempre più confusa Clare dovrà fare i conti con la propria coscienza.

 

IL CINEMA DEL DESIDERIO

Leonetti cerca di affrontare un tema più che inflazionato in modo originale e per questo costruisce un prodotto che funziona ma non riesce a dare profondità ad un immaginario adolescenziale che si nutre di tutti i banali clichè hollywoodiani relativi all’età puberale, dalla ragazzina che si becca il caffè in faccia dalla rivale fashion all’inarrivabile ragazzo che se non è capitano della squadra di football di certo lo diventerà nell’eventuale sequel fino all’amica cupamente ironica e all’occulto corteggiatore d’origine orientale, ovviamente bruttino ma geniale.

Il tema del desiderio al cinema è già stato affrontato in “la zampa della scimmia” o in “the wisher”, ma anche nella tetralogia di “Wishmaster” (Il Signore dei Desideri) e questo solo per citare gli esempi più noti al grande pubblico quindi possiamo dire che il merito del regista di Annabelle è stato quello di inserire “Wish upon” in una cornice coming of age ma senza la spettrale inquietudine d’una perla come “It Follows”.

 

IL FETICISMO DEGLI OGGETTI NELLA SEDUZIONE DEL MALE

Sette desideri come i sette giorni del conto alla rovescia in “The Ring”, una scatola con un demone intagliato che, simile alla scimmietta di “Scheletri” in Stephen King, quando suona uccide una persona e sul finale ammiccante e videoclippato si trasforma in carillon sormontato da una ballerina di burlesque in fiamme; la “wishbox” di Leonetti and co si ascrive alla lunga tradizione del feticismo magico nel cinema di genere che include il bottone rosso di “The Box” in grado di donare ricchezza a chiunque lo prema a scapito della morte d’uno sconosciuto (dal racconto “The botton” di Matheson) ma anche e soprattutto il cubo di Lemarchand in “Hellraiser” che secondo la deviata fantasia di Clive Barker apriva sulla dimensione dei cenobiti, sensuali custodi della linea di confine fra piacere e dolore (“angels for some, demons for others”).

La rinuncia alla propria anima in funzione del successo o dell’immortalità è tema caro alla letteratura di sempre (Faust) oltre che alla cinematografia ma ci sono anche illustri esempi nella musica se si pensa al bluesman maledetto Robert Johnson che vendette l’anima al diavolo in cambio d’una stupefacente tecnica e in questo caso la “wishbox” diviene la chitarra stessa come lo era, nel caso di Tartini, il violino.

Il passaggio più interessante di “Wish Upon” sta nella riluttanza di Clare a rinunciare alla favolosa, e terribile, scatola anche dopo aver scoperto il sanguinoso prezzo dei propri desideri e questo ci riporta al feticcio magico per eccellenza e cioè quel celeberrimo anello del potere nella trilogia di Tolkien/Jackson in grado di donare energia ma anche di logorare i suoi possessori, soprattutto se impuri di cuore.

Altra caratteristica in comune fra la scatola cinese e il “tesssoro” di Gollum è la capacità di manovrare gli eventi e in qualche modo scegliersi il proprio padrone, segno evidente d’una volontà mediata dall’essenza stessa del Male.

 

CONCLUSIONI

“Wish Upon” è un horror di livello appena sufficiente, destinato ad una platea giovane e con ambizioni poco più che estive; una buona regia non riesce a rendere accattivante una trama scontata  con una protagonista che passa troppo velocemente dall’iniziale ipersensibilità ad un cinismo inconsapevole (una sua amica le dirà:”ma non potevi desiderare la fine della fame nel mondo?”) e con la morte che bracca le sue vittime omaggiando un po’ troppo esplicitamente le ingegnose uccisioni di “Final Destination”.

Il difetto più grande di quest’opera è quello di scavare poco nelle ossessioni dei protagonisti soffermandosi troppo invece sulla storia della scatola e sulle sue infernali capacità racchiudendo il Male in un brand che a suo modo ne limita il potenziale invece di affrontare la sua incorporea e virale affezione.

Germano Innocenti

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