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Al Direttore | 17 novembre 2017, 14:06

"Ciò che vorrei è che quello che è successo a noi non debba ripetersi ad altri"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Dario, che racconta il percorso ospedaliero del padre nel reparto di chirurgia vascolare dell'ospedale di Cuneo

"Ciò che vorrei è che quello che è successo a noi non debba ripetersi ad altri"

Egregio Direttore

Mi spiace dover raccontare un fatto che ha colpito direttamente la mia famiglia  e che riguarda il reparto di chirurgia vascolare di Cuneo in cui ha dovuto essere ricoverato mio padre. Sono arrabbiatissimo, ma soprattutto sono addolorato perché nulla potrà riportarlo in vita. Ciò che vorrei, però, è che quello che è successo a noi non debba ripetersi ad altri.  

Mario, 82 anni, senza problemi di salute, sente per un paio di giorni male ad un piede e va dalla dottoressa che lo indirizza immediatamente al pronto soccorso, dove gli viene assegnato un codice giallo. Dopo gli esami e gli accertamenti, viene ricoverato nel reparto di chirurgia vascolare, perché gli si dice che deve essere operato a causa di ostruzioni all’arteria femorale. Ci vuole una settimana dal ricovero, ma poi viene finalmente operato. Purtroppo l’intervento non è risolutivo e, dopo tre giorni, Mario torna in sala operatoria. A questo punto gli viene innestato un bypass. Chissà perché non glielo hanno fatto subito, mi sono chiesto, ma la domanda ho deciso di rivolgerla ai dottori. Per tutta risposta mi è stato detto che sarebbe stato troppo invasivo e non necessario.

Cinque giorni dopo, mio padre viene dimesso, anche se il dottore che lo dimette sembra convinto che la ferita sia molto brutta e debba essere medicata e controllata quotidianamente. Così mio padre viene mandato a casa, senza che gli venga prescritta una terapia antibiotica. Abbiamo attivato subito il servizio domiciliare. La gentilezza e la disponibilità delle infermiere e della dottoressa ci hanno colpito. Proprio la dottoressa si è stupita che l’ospedale non avesse previsto una cura antibiotica. Dopo soli tre giorni, l’infermiera domiciliare ci suggerisce di riportarlo in reparto per un controllo. Qui siamo stati accolti in modo sgarbato, forse proprio per questa cura antibiotica somministratagli a casa, mentre secondo il medico si trattava solo di un semplice ematoma. In realtà decide comunque di ricoverarlo.

Purtroppo non c’è posto nel reparto e mio padre viene sistemato in cardiochirurgia, dove due letti normalmente vengono riservati proprio ai pazienti del reparto vascolare. Dopo cinque giorni di scarsa considerazione medica, mia moglie fa una prima segnalazione all’Urp perché per tutta la degenza è continuata la terapia di antibiotici e calmanti, ma non c’è stato mai spiegato cosa stava succedendo, anzi, difficilmente si comunicava con i dottori, capitava di doverli rincorrere di reparto in reparto facendo difficoltà a trovarli. Le informazioni erano discordanti, un dottore diceva una cosa, un altro ne diceva un’altra. Un giorno ci comunicano che forse sarebbe opportuno riportare mio padre in sala operatoria per ripulire la ferita e facilitarne la guarigione. Viene tenuto a digiuno e preparato per l’intervento per due giorni consecutivi, ma, per casi considerati più urgenti del suo, viene rimandata l’operazione al 18 ottobre, cioè esattamente un mese dopo il primo accesso in pronto soccorso. I dottori uscendo dalla sala operatoria ci comunicano che l’operazione non corrispondeva a quello che era stato detto in precedenza, anzi non era da sottovalutare, come ci avevano fatto credere. Infatti i medici avevano reputato di dover sostituire il bypass con uno che avrebbe dovuto essere meno soggetto ad infezioni.

Cosa che non saprò mai, perché quello stesso giorno, poco dopo l’intervento, mio padre è deceduto. Vorrei tanto sapere perché questo tipo di protesi non gli è stata inserita fin dal primo intervento, evitando così che un paziente di 82 anni subisse tre operazioni a breve distanza, troppo invasive per la sua età, e con tre anestesie di cui due totali.  

Non so se servirà la nostra segnalazione fatta all’Urp dopo il decesso di mio padre, ma dalla nostra esperienza ci è sembrato che il reparto non funzionasse bene: c’è molta disorganizzazione, forse per questo c’è stata nei nostri confronti poca informazione, forse il personale è sotto organico e per questo si deve dare priorità ai casi più urgenti o in emergenza, ma non a discapito della vita delle persone.

Dario Beltritti

rg

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