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Solidarietà | 07 gennaio 2018, 11:07

Appello di padre Miraglio per Haiti: “Cerchiamo una ditta italiana che ci aiuti a realizzare l'impianto elettrico del nuovo ospedale a Jérémie” (VIDEO)

Il sacerdote camilliano, originario di Borgo San Dalmazzo, è tornato a casa per due mesi. Da 13 anni è in missione ad Haiti. A Jérémie sta realizzando un Ospedale per la Cura delle lesioni Cutanee

Padre Massimo con i genitori Silvia e Carlo

Padre Massimo con i genitori Silvia e Carlo

Padre Massimo Miraglio mancava da Borgo San Dalmazzo, suo paese di nascita, da ben 4 anni. Qui vivono i genitori Silvia e Carlo, che lui stesso definisce “i suoi messaggeri”. Da 13 anni infatti la sua casa si trova ad Haiti, uno dei paesi più poveri al mondo. Haiti è la parte sfortunata dell'isola caraibica Hispaniola: sembra quasi l'inferno vicino alla paradisiaca Repubblica Dominicana.

Devastato prima dal terremoto del 2010 e poi dall'uragano Matthew nel 2016, Haiti è un paese in ginocchio dove povertà, corruzione e inquinamento la fanno da padrone.

A gettare piccoli semi di speranza ci pensa padre Massimo, sacerdote camilliano di 52 anni. Prima come maestro dei novizi, poi come padre spirituale di molti malati dell’Ospedale pubblico Saint Antoine. Oggi è mente e braccia del progetto per l’Ospedale per la Cura delle lesioni Cutanee (CLC) Saint Camille a Jérémie, piccola cittadina di provincia haitiana.

“Il nostro padre fondatore San Camillo aveva una piaga nella gamba, piaga che fu all'origine della sua vocazione – spiega padre Massimo -. Con la realizzazione dell'ospedale vogliamo tornare all'origine dell'esperienza di San Camillo. Ci rivolgiamo ai malati per curare la piaga di San Camillo”.

Nell'ospedale in costruzione verranno curate le malattie della pelle, le ulcere da pressione, arteriose, diabetiche e da stasi, e le ustioni gravi. Fino ad ora sono stati spesi 1 milione e 350 mila euro ma per il completamento dell'opera ne servirebbero ancora 350mila. Padre Massimo dirige il cantiere, gli haitiani si occupano delle opere in muratura e i volontari italiani, che ogni anno lo raggiungono ad Haiti, lavorano sulla parte impiantistica.

“Siamo ad un momento cruciale e delicato che è quello della costruzione degli impianti– spiega il sacerdote camilliano -. Abbiamo difficoltà a trovare qualcuno che in modo organizzato ci aiuti a completare l'impianto elettrico. Cerchiamo una ditta italiana che ci possa aiutare. Il mio più grande rammarico, la notte in cui l'uragano Matthew ha colpito l'isola, è stato quello di non aver completato l'ospedale. Avremmo potuto aiutare molta povera gente. L'uragano ha riportato i cantieri indietro di un anno: ha divelto decine di tetti e abbiamo perso gran parte del muro di cinta”

Guarda l'intervista video a Padre Miraglio:

Abbiamo incontrato padre Massimo nella casa dei genitori a Borgo San Dalmazzo. Rimarrà in Italia ancora per un mese: “Tornare è sempre una grossa emozione ma il lavoro e la responsabilità per Haiti mi chiamano. Lì mi sento a casa”.

La chiacchierata con lui è lunga. Ci racconta i suoi 13 anni a Jérémie, il fascino particolare e il calore di quella popolazione, a fronte di una situazione generale di estrema povertà.

Haiti è anche conosciuta come l’Africa ai Caraibi. Qui infatti furono deportati milioni di schiavi da tutta l’Africa per la raccolta della canna da zucchero. Gli abitanti di oggi discendono da quegli schiavi e hanno ancora una paura recondita del mare. “Vivono sul mare ma è come se il mare non esistesse - racconta padre Miraglio –. Un'esigua minoranza di haitiani sa nuotare e pratica la pesca. Da anni non esiste neanche più il collegamento via mare tra Jérémie e la capitale Port-au-Prince”.

Ad Haiti si muore per poco e la vita è legata ad un filo. Padre Massimo ci racconta la storia di una ragazzina che incontrò una decina di anni fa: “A 5 ore di cammino da Jérémie mi imbattei in questa bambina che aveva subito un gravissimo incidente. Aveva un palo conficcato nella testa e i medici dell'ospedale non sapevano che fare. Doveva essere trasportata verso la capitale ma serviva un aereo. Mi attivai con i funzionari Onu che tuttavia non erano autorizzati a trasportare haitiani. Allora dirottai sul traghetto che trasportava banane e carbone verso la capitale e riuscii a farla sistemare nella cabina del capitano perchè la nave trasportava 10 volte il suo carico e lei era grave su una barella. Guardai la nave partire dalla collina di casa mia. La vidi oscillare per l'eccessivo peso e infine naufragare. In mare una macchia rossa di sangue per la gente che era stata tranciata dall'elica. Mi precipitai al porto. La bimba, nel luogo protetto della cabina, era ancora viva. Ruscii a riportarla a riva. Una funzionaria Onu che conosceva la storia mi vide e organizzò il volo verso la capitale la mattina successiva. Oggi quella bimba ha quasi 18 anni, è un po' claudicante ma è viva. Molti haitiani muoiono in ospedale per una siringa che non si può acquistare”.

A Port-au-Prince regna un perdurante clima di insicurezza. L'economia è in mano a una ventina di famiglie ricchissime mentre l'80% della popolazione vive in bidonville. Scuole e strutture sanitarie funzionano a singhiozzo, non c'è acqua nelle case e l'erogazione della luce elettrica è ridotta a poche ore alla settimana. C'è tanta delinquenza che si diffonde tra i più giovani: da qualche tempo gruppi armati eseguono sequestri lampo di persone per soldi o anche solo per gioco.

A Jérémie, dove vive padre Massimo, la povertà è ancora più massiccia perchè Haiti è un paese centralizzato che non si cura delle province. La strada che collega alla capitale è disastrosa: occorrono 7 ore per percorrere 257 km che diventano giorni se si viaggia in camion.

“La forbice tra i paesi poveri e quelli ricchi si sta allargando – racconta padre Massimo -. Gli haitiani sprofondano perchè sono poveri. Basti pensare che l'uragano Matthew ha ucciso oltre mille haitiani, mentre nella confinante Santo Domingo i morti sono stati 4, e negli Stati Uniti poco più di una decina. Cosa pensano gli haitiani dei paesi sviluppati? Vedono lo scintillio del denaro facile. Molti di loro infatti stanno lasciando il paese perchè sono intaccati nell'animo”.

Il Cile ha aperto le porte all'immigrazione di Haiti ma lo ha fatto a singhiozzo per cui si vedono ogni giorno lunghe file di haitiani che aspettano in aeroporto. Il presidente Usa Trump invece ha ritirato i permessi concessi da Obama dopo il sisma del 2010 per cui si assisterà a devastanti flussi di ritorno dagli Stati Uniti.

Massimo Miraglio è tornato a Borgo San Dalmazzo anche per ringraziare: “Ogni mese e mezzo arrivano dall'Italia container carichi di medicinali, alimenti, materiale scolastico e vestiario. Poi ci sono i volontari che mi raggiungono per lavorare al cantiere dell'ospedale. Sto portando avanti anche altri progetti come la distribuzione medicinali e la costruzione di case in ambiente rurale. Tutto questo grazie all'aiuto che ci viene dall'Italia, da Cuneo, Borgo, da tante parrocchie, privati e associazioni. Io mi sento sostenuto. Con il cuore pieno di riconoscenza vi dico grazie e vi incoraggio a continuare”


cristina mazzariello

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