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Attualità | 20 maggio 2018, 12:23

A Saluzzo Gian Carlo Caselli racconta Caselli: “Volevo fare un mestiere socialmente utile”

L’ex Procuratore capo di Palermo alla conviviale Rotary Saluzzo parla dei suoi 47 anni in Magistratura: “Nella bocca del leone” di mafia e Br. A Palermo: 650 ergastoli. Da Nord a Sud con tante etichette: Caselli fascista, comunista, mafioso. Una vita sotto scorta “prigioniero” dei Nocs

Saluzzo, presidente Rotary Saluzzo Andrea Galleano e Gian Carlo Caselli alla conviviale all'Interno 2

Saluzzo, presidente Rotary Saluzzo Andrea Galleano e Gian Carlo Caselli alla conviviale all'Interno 2

 

Gian Carlo Caselli racconta sé stesso alla conviviale Rotary di Saluzzo: oltre un’ora di racconto appassionato della sua  vita, a distanza ravvicinata con gli eventi di terrorismo e mafia che hanno segnato 30 anni di vita italiana e che lo hanno visto al centro. 

Ma anche una lezione di vita e integrità ha sottolineato il presidente del sodalizio saluzzese Andrea Galleano, che lo ha avuto ospite con la moglie Laura al tavolo d’onore all’Interno2. 

Sono stato in Magistratura per 47 anni, ora sono in pensione”. Ma si fa per dire, classe 1939, non ha mai  staccato. Attualmente dirige in Coldiretti la segreteria scientifica dell’Osservatorio sulla criminalità delle agrimafie ed è presidente onorario di Libera.

E’ autore di pubblicazioni sui temi della legalità e della giustizia, le sue direttrici di uomo e magistrato, una carriera scelta perché “volevo fare un mestiere socialmente utile”.  

A Saluzzo arriva con la scorta, a cui dedica la sua riconoscenza ”la scorta cambia la vita, ma la salva”. Nel suo caso alcune volte (due i dossier trovati nei covi Br e di Prima linea “ Operazione autostrada” e “Casella Postale”  i titoli  di fantasia in relazione al suo nome).

I miei figli (Paolo nato nel '71 e Stefano nel ’75) sono nati e cresciuti tra i mitra”. Una vita sotto scorta dal 1974, dai primi tempi dell’antiterrorismo, quella di Caselli e, a Palermo, maggiorata: anni da “prigioniero” dei 12 uomini del Nocs. 

La loro era una efficienza spietata contro cui non potevo far niente, sempre  però combinata con una grande cordialità nei rapporti con me e la famiglia. Saremo sempre grati  a questi amici che ci hanno accompagnato”. 

Anni durissimi, professionalmente e umanamente, ma il magistrato rispondendo ad una domanda in sala afferma. “Lo  rifarei”.

Il periodo della Magistratura è scandito da molte tappe. La prima fase a Torino,  dove nei primi anni Settanta è giudice istruttore penale e dove, fino alla metà degli anni Ottanta, si occupa di reati di terrorismo di Brigate Rosse e Prima Linea. 

A Torino, una città sotto attacco, il primo processo ai capi storici delle Br "Un processo che si conclude nel pieno rispetto delle regole e dei diritti di tutti gli imputati a cui viene concessa la facoltà di contro-interrogare i testimoni d’accusa, Sossi compreso che ne era stato ostaggio. Fu un fattore di crisi formidabileComincia anche da qui l’inizio della fine delle Br.  Torino che doveva essere conquistata come il Palazzo d’Inverno riesce a sbrecciare, anche con la celebrazione del processo, la  oro fortificazione”.

Dal 1986 al 1990 fu componente del Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura che bocciò la candidatura di Falcone “punta di diamante del pool contro la mafia “ alla Procura di Palermo, preferendo Antonino Meli  al posto lasciato libero da Antonino Capponnetto.

A Torino divenne poi presidente della Corte d’Assise. Ma quando, nel ’92  vengono  uccisi Falcone e Borsellino con gli uomini scorta “a rischio di sembrare afflitto da retorica o da super ego, ho sentito il dovere di chiedere il trasferimento a Palermo, decidendo di infilare la testa nella bocca del leone. Infliggendo alla  mia famiglia  nuove tensione e sofferenze”.

Procuratore a Palermo dal gennaio 1993, vi rimane 7 anni. Fu fatto un grande lavoro “davanti agli uffici c’era la fila di pentiti che volevano collaborare. La mafia si era accorta che lo Stato faceva sul serio. Tante collaborazioni e processi. 650 ergastoli. Siamo riusciti a sequestrare 11 mila miliardi di vecchie lire, una piccola finanziaria”.

Dopo l’esperienza palermitana Caselli diventa capo delle carceri, Direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria “ la fase più difficile della mia storia”.  

Nel 2001 è membro italiano di Eurojust, l’organizzazione comunitaria contro la criminalità organizzata, una specie di Superprocura dell’antimafia europea che vedeva i rappresentanti dei vari paesi affrontare insieme le problematiche transnazionali. “Io avrei continuato”.  Ma la rosa dei candidati dell’allora  Ministro Castelli non comprendeva il suo.  “Ci  volevano due  requisiti: professionalità e fiducia  da parte  del Governo. Non ho mai capito quale mi mancasse”. 

In questo  lavoro “bello ma impossibile, in cui non si riesce ad accontentare  tutti” afferma con umorismo  tante le etichette affibbiate al suo nome “fascista quando mi occupavo di terrorismo a Torino, mentre a Palermo ero diventato  comunista. A dirlo per primo è Totò Riina “Guardarsi da questo comunista!”. Fino ad essere indicato come “Caselli mafioso”: il massimo per lui, che noto tifoso del Torino, è come se sui muri scrivessero “Caselli juventino”.

L’ex procuratore capo di Palermo, che nel suo intervento cita i rapporti di stima e collaborazione con il generale Dalla Chiesa e Falcone, parla poi della sua verità sul processo Andreotti  ( titolo del suo omonimo libro) commentando i mediatici "Assolto! Assolto! Assolto!"  rimasti nella memoria del grande pubblico, urlati  davanti a microfoni e telecamere dalla giovane avvocata Giulia Bongiorno.

Tra i tanti sceglie di raccontare i due episodi più tristi, per comparare l’ esercizio della violenza  estrema e animalesca di Br e mafia, parlando nel primo caso del sequestro del fratello di Patrizio Peci, ucciso in una discarica e del  figlio tredicenne di Santino Di Matteo, ex mafioso, collaboratore d Giustizia, ucciso e sciolto nell’acido. “Basta con i luoghi comuni che la mafia non uccide donne e bambini “.

E’ stato Procuratore generale di Torino e poi Procuratore della Repubblica, veste nella quale ha coordinato le indagini sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Piemonte e sulle violenze  di frange estreme de  no Tav. 

Con la lotta alla mafia a che punto siamo? La domanda dalla sala gremita di rotariani, che Caselli ha tenuto legati al filo del suo racconto imperdibile.  “La lotta va avanti, infliggendo duri colpi ma la mafia è cambiata: è una mafia 2.0. Oggi c’è una mafia imprenditrice. Se una volta taglieggiava i negozi, oggi li compra. Una criminalità economica da 150 miliardi di euro l’anno: una infinità di risorse che ci viene portata via”.

La forza della mafia sono le relazioni esterne, ha concluso, rapporti di interesse e affari con personaggi  consistenti di vari ambiti della società. “Finchè queste relazioni forti e incestuose tra legalità e illegalità avvengono, è legittima la domanda: a che punto siamo?”.

Grande attenzione anche da parte della platea più giovane che Caselli, monumento  di abilità oratoria ed esempio di lotta al potere mafioso, ha calamitato.

In coda l’intervento di due giovani figlie di rotariani saluzzesi Lucilla Frandino e Francesca Dentis che hanno partecipato al corso di formazione promosso dal Rotary: il Rypen, nato per motivare nei giovani  il servizio all’umanità e alla comunità locale, con una adeguata preparazione e attraverso lo scambio di esperienze tra coetanei.

 

Vilma Brignone

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