/ 

In Breve

| 14 luglio 2018, 14:30

La leggenda del pomo d’oro (terza parte)

“Dalla censura al classico. I tabù alimentari sono come quelli sessuali. Magari fra qualche anno mangeremo insetti e diverremo ermafroditi.”

La leggenda del pomo d’oro (terza parte)

Mentre il pomeriggio allunga le sue ombre sul pavimento del “Passato di Pomodoro” osservare Maia, la maître de salle messicana, deporre sul tavolo (già turrito da tre vuoti di bianco) un’ambigua portata annunciandola così: “ecco una bruschetta alla crema con due fette dolci di gelato al lievito madre, marmellata di pomodori, sfere di datterino, mozzarella e basilico.”

Infilare in bocca un assaggio dell’insolito dessert avvertendo sulla lingua l’acidità dello snobbatissimo (da noi) ortaggio sciogliersi al contatto col gelato mentolato al basilico e strutturato dalla mozzarella.

“Chef a cosa sta pensando? La vedo assorto.”

Ritagliare dallo sfondo l’enorme sagoma confezionata di bianco che fissa la parete con la manona alla barba così scura da metallizzarsi al contatto mentre gli occhi da cantante neomelodico s’incollano a un quadro dalla laboriosa cornice col trasognato torpore d’un sicario colombiano.

“Sto guardando questa riproduzione de “La cucina degli angeli” di Murillo, risalente più o meno alla metà del Seicento. Il pittore amava ritrarre scene di genere e questo gli è valso un certo ostracismo artistico anche se nel particolare soggetto che abbiamo di fronte la fusione fra immagini di vita quotidiana ed angeli trasforma l’opera in un’allegoria. Senza dilungarci in noiose esegesi in basso a destra, davanti a due angioletti indaffarati come aiuto-cuochi fra pentole di rame, scorgiamo una zucca, due melanzane e un pomodoro. Ciò sta a significare che la Spagna del Seicento conosceva e usava le pomme d’amour. Nevvero”.

“Chef poco fa lei parlava della resistenza che l’Europa fece prima di far entrare il pomodoro nella propria alimentazione e questo per la sua appartenenza alla famiglia delle solanacee e in particolare per la somiglianza col frutto infernale della mandragora, caro agli alchimisti medievali. Ma accennava anche ad altre motivazioni di natura teologica.”

“Si. Nell’era della globalizzazione il cibo ha perso la sua tipicità ma anche il suo esotismo così a noi moderni occidentali può sembrare assurdo quanto il pomodoro venne guardato con sospetto dagli europei del XVII e XVIII secolo. Si diceva facesse cadere i denti e che il suo profumo rendesse folli, lo scrittore LeClerc definiva le sue piante “frutti malefici, infidi e ingannevoli” ed i cattolici l’avevano inserito nel libro nero dei “cibi riprovevoli”. Il suo colore acceso, la brillantezza luciferina e l’innaturale succulenza suggerivano lussuria e depravazione al punto che l’abate Chiari scriveva: “non c’è nulla di più malefico” e il drammaturgo Tirso de Molina ne confermava l’impudico fascino: “o insalata di pomodori di guance rosse dolci e a un tempo piccanti”. C’era solo un altro frutto, ugualmente importato, a godere d’una simile fama. Nevvero.”

“Quale? Chef possiamo considerare concluso questo splendido ed erudito banchetto per vararci finalmente nell’acquavite?”

“Siate pazienti. Mancano ancora due portate ed una piccola sorpresa che ho preparato per voi. Disertare il percorso enogastronomico a questo punto sarebbe come abbandonare il cammino di Santiago a un chilometro dalla meta. Davvero. Nevvero.”

“Davvero o nevvero?”

“Entrambi. Comunque erano le melanzane, l’altro frutto messo al bando dai cristiani nell’Europa del Sei-Settecento. Chiamate “mala insana” e importate dal mondo arabo venivano considerate dai gentili dei frutti insalubri mentre gli ebrei li apprezzarono subito al punto che Artusi scrive: “[…] quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più dei cristiani.” Nevvero.”

“Anche fisiognomicamente. Quindi, ricapitolando, la somiglianza con la mandragora e il rosso peccaminoso bastarono al pomodoro per essere messo al bando dalla Chiesa cattolica?”

“In realtà c’erano anche dei motivi più pratici ma vedo che Maia sta portando il secondo dessert, nevvero.”

Osservare, rapiti, sezioni di pomodori conditi con pompelmo, verbena, olio d’oliva e lamponi, il tutto tempestato di chicchi di melograno come rubini su un’armatura reale.

“Quali motivi chef? Lei sa tenere il suo pubblico sulle spine, non c’è che dire.”

“Il pomodoro non era una spezia né un alimento in grado di saziare in sé, in più oltre al colore sospetto non somigliava ad altri frutti conosciuti (ed accettati) e si doveva modificare l’ambiente per coltivarlo. A peggiorare le cose fu il fatto che venne inizialmente apprezzato come salsa in un periodo storico in cui gli alimenti erano ricoperti di spezie provenienti dalle Americhe al punto che, fedelmente con quanto scriveva l’eminente teologo Clemente Alessandrino nel III secolo (“l’uomo, per natura, non è un mangiatore di salse”), il pomodoro divenne l’emblema del peccato di gola. Guarniva i piatti ed eccitava la fantasia dei censori dell’epoca. Nevvero.”

“Pensare che io l’ho sempre considerato un frutto povero e un alimento popolare.”

“Era un altro l’alimento importato dalle Americhe a svolgere una funzione popolare in quei tempi, sia per l’aspetto che per la facilità di coltivazione. Non indovinate di quale si tratti? Nevvero.”

Chiusi in un silenzio ittico finire il dessert puntando lo sguardo oltre la spalla del cuoco come dal primo banco durante l’appello per l’interrogazione.

“Ma la patata ovviamente! Nevvero.”

“Sempre detto io (mortificato). La patata è un evergreen.”

“Idiota”.

“Scura, rotonda, sporca di terra, la patata divenne il frutto preferito dai proletari e dalla Chiesa, visto anche che il suo nome inca, “papa”, la trasformò nel frutto o nel cibo del Papa (pope-ato). Da una parte quindi il pomodoro, oscenamente rosso e ricco di succhi, dall’altra il delizioso tubero, terreo e asessuato, in grado di riprodursi da sé e senza alcun bisogno di semi. Non c’era storia. Eppure in questa guerra il pomodoro vinceva una silenziosa e fondamentale battaglia, quella della bellezza. Nevvero.”

Mentre il pomeriggio inizia a seppiarsi assaggiare dei pomodorini gialli marinati e glassati con succo di ciliegia e un aspic di acqua di pomodoro sempre con ciliegie osservando il volto dello chef, dorato da un riflesso di grappa barricata, torcersi in un sorriso di profonda tenerezza.

“Il Re Sole amava ornarsi di pomodorini, Sir Raleigh ne regalò una piantina ad Elisabetta I e la città di Tolone ben quattro al Cardinale Richelieu come simbolo della dignità cardinalizia. Scriveva in Italia Aldovrandi: “[…] da ghiotti di cose nove è desiderato […] ma al mio gusto è più presto bello che buono.” La Rivoluzione Francese infine, con la massiccia migrazione verso Parigi delle masse rurali del Midi, che ben conoscevano l’ortaggio, inaugurò la moda d’intrecciare dei pomodorini nei corpetti delle ragazze. Nevvero.”

“Lo scandalo è sempre stato la spezia preferita dalla moda.”

“Questo è vero ma intanto, affianco all’alta moda e agli esperimenti botanici, il pomodoro iniziò a diffondersi nelle campagne e fra la gente comune. Si mangiava sia crudo che cotto, manteneva sapore e colore dopo la cottura, si abbinava ad ogni altro alimento, costava poco e insieme al pane e alla cipolla (senza dimenticare il tubero papalino di cui sopra) divenne un importante antidoto alle carestie. Per non parlare del fatto che a differenza del Nord Europa, dove si era soliti mangiare principalmente carne e pesce, il bacino del Mediterraneo aveva sempre fatto largo uso di verdure in cucina. Siamo vicini a uno sdoganamento popolare. Nevvero”.

“Ed è qui che subentra il mio fastidio.”

“Come la Rivoluzione Francese consentì la diffusione del pomodoro a Parigi e nel nord della Francia così la spedizione dei mille garibaldina fece nel settentrione italiano anche se già nel 1837 si era creato l’immortale connubio coi maccheroni e nel 1884 Matilde Serao parlerà della pizza al pomodoro come uno dei maggiori “commestibili di cui è formata la colazione e il pranzo di moltissima parte del popolo napoletano”. Nevvero.”

“Dalla censura al classico. I tabù alimentari sono come quelli sessuali. Magari fra qualche anno mangeremo insetti e diverremo ermafroditi.”

“Prima di lasciarvi vi enuncerò un aneddoto narrato nel 1891 dal preziosissimo Artusi: “C’era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso dappertutto[…] dal suo zelo scaturiva più del Bene che del Male […] il popolo arguto lo aveva battezzato Don Pomodoro, per indicare che i pomodori entrano dappertutto”. Nevvero”.

“Come i preti del resto. Conserva(tori) dello status quo. Arrivederci chef! Grazie dell’ottimo pranzo e della potatura dei miei pregiudizi, avevo confuso la controcultura con la cultura popolare e la Riforma con la Controriforma; d’altronde ogni forma di razzismo è un oscuramento delle fonti e come il cattolicesimo ha sposato (a porte chiuse) il paganesimo così la cucina mediterranea ha adottato un alimento usato da un popolo antropofago trasformandolo in dogma culinario nazionale. Nevvero”.

 

                                                                                                                              

Germano Innocenti

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A APRILE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

WhatsApp Segui il canale di Targatocn.it su WhatsApp ISCRIVITI

Ti potrebbero interessare anche:

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium