Agricoltura - 31 luglio 2018, 07:45

Lo straripante entusiasmo di tre giovani laureati che gestiscono l'azienda agricola biologica "L'Ostal", in frazione Cavaliggi di Valgrana

Ivo, Sabrina e Annalisa coltivano tre ettari di terreno soprattutto a mele, poi a piccoli frutti, pere madernassa e susine ramassin. Trasformandone una parte in deliziose leccornie. Il tutto nel rispetto delle radici contadine e ispirati a quanto diceva sempre il nonno di Ivo: "Non è la terra che appartiene all'uomo, ma è l'uomo che appartiene alla terra"

Annalisa, Ivo e Sabrina nel campo di more

Annalisa, Ivo e Sabrina nel campo di more

Un paio di chilometri dopo il centro abitato di Valgrana, salendo lungo la provinciale che conduce a Monterosso, sulla destra c’è la svolta per la frazione di Cavaliggi. Appena imboccata la strada si trova l’azienda agricola “L’Ostal”. A condurla sono tre laureati: Ivo Arlotto, 40 anni, ingegnere civile; Sabrina Veglia, 33 anni, dottoressa in tecnica erboristica; Annalisa Fortuna, 36 anni, biologa.

Nonostante i problemi, l’impegno giornaliero di molte ore, anche quattordici, e la fatica, sono accomunati da un entusiasmo straripante per il loro lavoro. Svolto totalmente con metodi biologici. E con la volontà ferrea di recuperare la memoria contadina e un territorio che, negli Anni Settanta-Ottanta, anziché individuare i possibili percorsi per coltivarlo, è stato abbandonato dai proprietari a favore della ricerca di migliori fortune in città.

Un tempo, dove loro, adesso, hanno i depositi per le attrezzature, il laboratorio di trasformazione di quanto prodotto e l’abitazione, c’era solo l’ettaro di terreno in proprietà, sparpagliato in più appezzamenti e gestito dalla famiglia di Angelo: nonno di Ivo. Un contadino del secolo scorso, nato nel 1914, con i piedi ben piantati per terra e l’attività svolta secondo le regole delle stagioni e della natura. Ivo ha imparato da lui il significato di amare il luogo in cui si è nati e si vive. E da quell’insegnamento è nata la storia della nuova azienda.

“Nel 1996 - racconta Ivo - anche il nostro terreno correva il rischio di essere abbandonato. Allora, mi sono chiesto: cosa ne possiamo fare? E, nonostante studiassi, ho deciso di occuparmene. Cercando di percorrere le orme di mio nonno che, nel 1982, aveva già ottenuto la certificazione biologica: uno dei primi della Valle Grana. Per me contava il rispetto della terra, attraverso il recupero della tradizione. Guardando le coltivazioni con gli occhi del futuro, però mantenendo i sapori dell’agricoltura di un tempo”.

In questo senso va pure la scelta del nome dell’azienda: “L’Ostal”, termine provenzale che significa casa, intesa come accogliente focolare domestico per ritrovare le proprie radici e costruire una comunità di persone e un lavoro in comune. Cioè i principi contadini di una volta. Dopo la partenza, come si è sviluppato il percorso? “Terminata l’Università - risponde Ivo - ho iniziato a lavorare in uno studio tecnico, ma ho continuato a gestire la piccola azienda aiutato da mio padre Elio. Abbiamo impiantato un frutteto con vecchie varietà di mele e, nel 2004, costruito un primo piccolo laboratorio di trasformazione della frutta”.

Nel 2006, Ivo si dedica completamente alla nuova avventura e l’attività vede l’ingresso di Sabrina originaria della frazione Paschera San Defendente di Caraglio. “Condividevo totalmente - dice Sabrina - la sua filosofia di lavoro. E pur laureata non mi piaceva l’idea, con tutto il rispetto per chi lo fa, di andare a chiudermi in un negozio. Pensavo anch’io di aprire un’attività di trasformazione. E così, vista la sua esperienza già avviata, abbiamo deciso, insieme, di unire le menti e le mani e di costruire qualcosa che, attraverso il cibo prodotto in modo naturale, potesse fare del bene a noi e alle altre persone”.

L’azienda cresce ancora con l’affitto di ulteriori terreni, l’acquisto di nuove attrezzature e l’ampliamento del laboratorio. Nel 2010 arriva Annalisa, che abitava a Novi Ligure ma aveva la nonna di Caraglio e in paese ci passava le vacanze. “Attraverso i miei studi - afferma - ho potuto toccare con mano gli effetti negativi sulla salute dei trattamenti chimici. Il metodo biologico, invece, non è solo un marchio, ma una scelta di vita. E questo mi ha subito affascinato tantissimo”.

Adesso “L’Ostal” ha cinque ettari di terreno dei quali due destinati a prato e tre coltivati soprattutto a mele, poi in misura minore a pere e kiwi e in piccole porzioni, a ciliegie, lamponi, more, ribes e albicocche. Le antiche varietà di mele recuperate e piantate, spesso in pochi esemplari, sono una quarantina. Tra queste, ci sono la trusa, la bruschet, la buras, la marcun, la carpendu, la contessa. Vengono utilizzate, proprio per il loro straordinario sapore, nelle trasformazioni in succhi e confetture. Ma sui terreni vengono prodotte anche altri tipi di mele più conosciute e destinate alla vendita fresca. Come la gala, la braeburn, la golden orange, la dalinette, la crimson, la darian. E, poi, spiccano la pera madernassa e la susina ramassin: la prima originaria dell’Albese e importata in Valle Grana ai primi del 1900; la seconda peculiarità di tutto il Piemonte. Altre coltivazioni riguardano le patate e le erbe aromatiche.

Nell’azienda, Ivo si occupa dell’organizzazione agricola, Sabrina della trasformazione in laboratorio e Annalisa della parte amministrativa, della promozione e della vendita.

LE CARATTERISTICHE DEL BIOLOGICO

“Il diserbo - precisa Ivo - viene effettuato il più possibile a mano, con attrezzature meccaniche o con sostanze naturali. Sfruttiamo anche il pirodiserbo: attraverso un macchinario attaccato davanti al trattore si spruzza l’acqua calda che fa seccare l’erba. La lotta ai parassiti avviene usando zolfo e bicarbonato ammessi dal regolamento europeo. La qualità del prodotto finale è fondamentale, ma conta la qualità dell’ambiente. Quindi usare il meno possibile le sostanze, pur autorizzate, per cercare di riportare l’equilibrio agricolo. Le coltivazioni devono imparare a autodifendersi”.  

I TRASFORMATI, IL SIDRO E L’ACETO DI MELE

I prodotti ottenuti dalla trasformazione della frutta sono tanti: confetture; concentrati senza zuccheri aggiunti; sciroppi; succhi di frutta. Con, a farla da padrone, la mela, essendo la coltivazione più praticata. E poi, antipasti e conserve. Su tutte, però, spiccano due “chicche”: il sidro e l’aceto di mele. “Li facciamo - sottolinea Sabrina - con le vecchie varietà di mele e, di conseguenza, regalano profumi e sensazioni gustative particolari. L’aceto viene prodotto con un invecchiamento molto lento nelle botti di rovere e lo si imbottiglia senza pastorizzarlo. Quindi, gli acetobatteri continuano sempre a lavorare e lo mantengono vivo. Il sidro è un mezzo secco rifermentato in bottiglia, ideale da consumare come aperitivo o a tutto pasto. Anche i processi di trasformazione si caratterizzano solo per l’uso di ingredienti naturali, come lo zucchero di canna per addensare le confetture e il succo di limone per acidificare”.

LA VENDITA

L’85% della produzione è commercializzata fresca in cassette, il resto trasformato nel laboratorio. La vendita avviene ai negozi, ai gruppi di acquisto, alla piattaforma commerciale BioeEtik di Caraglio e direttamente in azienda.  

I PROBLEMI

Ivo: “Su tutti, il percorso burocratico al quale devono sottostare le aziende. Quando facevo l’ingegnere, dicevo: “mastico” ogni giorno solo e sempre carta, se diventerò agricoltore ne produrrò di meno. Invece, purtroppo, non è così. Siamo costretti a farne di più. Altro problema, presente soprattutto nelle zone pedemontane e montane, è la frammentazione degli appezzamenti: una grande difficoltà per ottenere il biologico, se il tuo vicino di campo non segue quel metodo, ma anche perché impieghi molto tempo per spostarti da un terreno all’altro. Inoltre, proprio a causa dello spezzettamento marcato dei campi, spesso sono a rischio i confini, mai ben definiti. Infine, la fauna selvatica, da noi soprattutto i caprioli, creano molti danni alle coltivazioni. Sarebbe necessaria una loro presenza equilibrata attorno alla zone agricole”.  

LE SODDISFAZIONI

Ivo: “Quella economica inizia appena adesso, dopo venti anni di attività, a essere sostenibile. Comunque rispetto alle ore impegnate porti a casa sempre poco. Ma la filosofia che sta dietro al lavoro ti ripaga comunque della fatica”.

Sabrina e Annalisa: “La soddisfazione maggiore è quando il cliente torna in azienda perché è stato contento del prodotto acquistato”.

Ma non solo. C’è un altro aspetto entusiasmante. Si tratta dell’incontro con i turisti che vogliono conoscere l’azienda, ma, in particolare, quello con i bambini delle scuole. Nel vedere i piccoli brillare di gioia, per aver gustato una mela di cui non conoscevano il sapore o sorprendersi per il racconto di quanto facciamo ogni giorno, provi un’emozione fortissima”.  

L’INNOVAZIONE

Sottolinea Ivo: “Conta quella tecnologica, ma serve soprattutto quella mentale, in modo da ritrovare il giusto equilibrio della natura. Innovare, nel biologico vuol dire capire quali sono le cose da non fare o quali sono le cose che si possono non fare”.  

LE PROSPETTIVE FUTURE DELL’AZIENDA

Sabrina: “Cercare sempre di migliorarsi, perché non si finisce mai di imparare. Tenendosi aggiornati e stando al passo con i tempi”.

Ivo: “Il rapporto tra la vendita dei prodotti freschi e di quelli trasformati va bene così: quindi, l’obiettivo è di mantenerlo nelle stesse percentuali. E non abbiamo in previsione ampliamenti dell’azienda in quanto, pur già con l’attuale prezioso aiuto di mio padre, servirebbe altra manodopera che non potremmo permetterci”.

Uno slogan per presentare “L’Ostal”? In coro: “Venite a trovarci perché vi accoglieremo con un sorriso e vi troverete a vostro agio”.  

UNA RICHIESTA ALLE  ISTITUZIONI

Dovrebbero provare a mettersi nei nostri panni - affermano Ivo, Sabrina e Annalisa - per capire cosa significhi portare avanti un’azienda. Bisogna essere più liberi dalla burocrazia, per coltivare come si faceva una volta. In modo da essere più liberi di essere sereni” .  

Nonno Angelo amava ripetere: “Non è la terra che appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla terra”. Parole sagge. Ivo, Sabrina e Annalisa le stanno applicando nel loro lavoro quotidiano. Trascinati da un’altra profonda convinzione: “Si parla tanto di sviluppo sostenibile, però se non si riesce a insegnare alle nuove generazioni il rispetto della natura non si va da nessuna parte. Bisogna trasmettere loro non delle belle parole, ma fatti concreti legati a una diversa filosofia di vita”.    

Sergio Peirone

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