- 01 settembre 2018, 18:30

AAA cercasi antagonista, astenersi perditempo – Action Comics #1002

E' necessario che si allontani l'Arte della realtà e dalle sue regole, la fiction dal mondo concreto nel quale siamo immersi quotidianamente

AAA cercasi antagonista, astenersi perditempo – Action Comics #1002

“Action Comics” è una delle serie di fumetti americane più longeve della storia, capace di mantenere la propria numerazione esatta per lo strabiliante periodo di tempo che separa il 1938 e il non troppo distante 2011. E' universalmente riconosciuta come la collana che ha dato vita, corpo e spirito al più iconico dei supereroi, Superman: nell'agosto 2016 è ritornata alla propria normale numerazione con l'albo #957.

Non ho idea quanti di voi cari lettori – a proposito, come state? È un po' che non ci si sente! - abbiano intercettato la notizia, anche se il risalto che le è stato dato su vari organi di stampa internazionali ha raggiunto proporzioni inimmaginabili, tutto sommato.

Il fatto è questo: nel numero #1002 di Action Comics, uscito negli USA questa settimana (e quindi da noi in ritardo di circa un anno) il principale antagonista – un boss della malavita di nome Moxie Mannheim – utilizza, in un dialogo con uno dei suoi incapaci scagnozzi la parola “autistico” come ovvio insulto alle sue capacità pratiche e intellettive.

L'intero panorama americano degli appassionati lettori di fumetti è insorto, specialmente su Twitter, capitanati da Russ Burlingame del portale ComicBook.com. La loro tesi? Che trovare in un albo a fumetti rivolto al più ampio pubblico possibile la parola “autistico” come insulto sia vergognoso e fondamentalmente sbagliato a livello etico. Le obiezioni hanno raggiunto un volume e una risonanza tale da spingere Brian Michael Bendis – il nuovo autore responsabile di Action Comics a partire dall'albo precedente – a contattare gli editori per far rimuovere il termine da ogni successiva ristampa della storia, e ad assicurarsi che non rientri mai più in una che possa portare la sua firma.

Lasciatemelo dire chiaramente, visto che l'argomento non solo rientra in una delle mie sfere di interesse principali (i fumetti) ma di fatto mi tocca anche in senso professionale: è l'indignazione, la levata di scudi, a essere vergognosa e non l'inserimento di una parola all'interno di una sceneggiatura.

E lo è perché la costrizione a cui ha dovuto sottoporsi Bendis – un autore che stimo molto e che conosco, ma che non sempre apprezzo del tutto – è un sottile e velenoso tipo di censura derivata dalla totale mancanza di visione oggettiva e di comprensione di un'opera narrativa, due derive che hanno raggiunto ormai una gravità sinceramente disperante nella società di oggi.

Non c'è alcun dubbio che si debba usare il massimo rispetto nel trattare con qualunque altro essere umano, specie se è parte di un qualche tipo di “minoranza” (in questo caso dovuta a una particolare condizione di salute), ma è necessario che si allontani l'Arte della realtà e dalle sue regole, la fiction dal mondo concreto nel quale siamo immersi quotidianamente. Piccola pillola di storytelling: la narrazione non è realtà, è illusione di realtà a scopo d'intrattenimento.

Sembra assurdo doverlo chiarire ma quasi nessuna delle dinamiche che i lettori di Action Comics trovano nelle pagine della collana che possa ripetersi identica o anche solo simile nella nostra realtà fisica, come non c'è essere umano che parli per battute di dialogo: l'esasperazione è l'anima della fiction, specie in un mondo come quello in cui si muove il personaggio di Superman.

Lasciamo che nella narrazione gli antagonisti siano antagonisti e i supercattivi supercattivi per davvero, specie se dopo poche pagine – o pochi numeri – subiscono la necessaria conseguenza del proprio essere cattivi. Nelle nostre vite ci sono già troppi “lupi travestiti da agnello”, e anzi, spesso è un ruolo che ricopriamo noi stessi.

s.g.

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