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In Breve

| 17 novembre 2018, 15:00

Il codice da Vinci (in cucina). Quinta parte

Mi tolga una curiosità. Se Leonardo è vissuto fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento e i fari sono stati inventati solo nell’Ottocento

Il codice da Vinci (in cucina). Quinta parte

“Se realmente sei, come ti descrivi, il re degli animali – direi piuttosto delle bestie essendo tu stesso la più grande- perché non eviti di prenderti i loro figli per soddisfare il tuo palato, per amor del quale ti sei trasformato in una tomba per tutti gli animali? […] Dimmi, non produce forse la Natura cibi semplici in abbondanza che possano sfamarti? E se non riesci ad accontentarti di tali cibi semplici, non puoi preparare infinite pietanze mescolandoli fra loro?”

 

(L.da Vinci, Quaderni d’anatomia II 14 r, conservati presso la Royal Library di Windsor)

 

Svegliarsi all’osteria “Tre Rane” e scendere dall’appartamento per gli ospiti messo gentilmente a nostra disposizione dall’oste quando la colazione e il pranzo si toccano come staffette. Un buon aroma di caffè tostato riempie la sala fiocamente illuminata con le tavole anatomiche di Leonardo che sembrano quasi palpitare a lume di candela.

“Buongiorno.”

“Buongiorno.”

“Dormito bene?”

“Dormito tardi. Devo dire che lei possiede una biblioteca veramente notevole. Monotematica ma notevole.”

“Grazie. È il lavoro d’una vita.”

“Cos’ha preparato di buono?”

“Caffè, vino allo zafferano, un tortino di sambuco e il biancomangiare”.

“Biancomangiare?”
“Si, era un dolce a base di mandorle inventato dal Maestro la cui ricetta ho liberamente reinterpretato basandomi su un omonimo dessert siciliano.”

“Sembra una leccornia elfica della Terra di Mezzo.”

“Prego?”

“Lasci stare. Sa che sono pieno di domande per lei?”

“Lo immagino. Le stesse che mi rimbalzano in testa da un Ventennio o giù di lì. Prima però faccia colazione mentre io ultimo il menu prandiale.”

L’ormai noto rumore metallico si alza di volume mentre il nostro anfitrione varca l’apertura a soffietto della cucina mostrandoci la pelata simile al cambio d’un’auto nuova di zecca. Annusare il vino allo zafferano e optare per un semplice caffè, nero come il colore della sopravvivenza fiscale in Italia, quindi piluccare il tortino di sambuco e concentrarsi sul biancomangiare che ci fodera il palato come un’ostia mandorlata.

“Sto preparando un pranzo vegetariano.”

“Leonardo era vegetariano?”

“Alcune testimonianze dell’epoca ce lo confermano. E lui stesso ne parla nei fogli del Codice Atlantico. Anche Freud ne accenna nel saggio “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci.”

“Non mi sorprende affatto.”

“Come tutti i geni era ricco di contraddizioni. Spregiava la guerra definendo l’uomo “la peggiore delle fiere selvagge” ma al tempo stesso era un ottimo ingegnere militare ed eseguiva schizzi dei condannati a morte durante l’esecuzione per studiare il modo in cui la paura ne deformava i lineamenti. Ma, tornando all’ambito gastronomico, da una lettera di Andrea Corsali dall’India, indirizzata a Giuliano de Medici (mecenate di Leonardo) e datata 1515, si evince che alcuni gentili chiamati Guzzarati non si cibavano di alcuna cosa che contenesse sangue né consentivano si nuocesse ad alcuna cosa animata. E la missiva si chiudeva col suggestivo: “come il nostro Leonardo da Vinci. Freud racconta della sua abitudine di acquistare uccelli al mercato solo per il gusto di liberarli stupendo i passanti.”

“Restando in tema di contraddizioni non subì anche un processo per omosessualità?”

“Si. E ne fu assolto. La smetta col biancomangiare o si rovinerà il pranzo.”

“Freud come commentava il gesto del Maestro di liberare uccelli in pubblico?”

“Non sia allusivo e ricordi sempre di chi stiamo parlando. Al di là della dotta dissertazione del padre della psicoanalisi sulla presunta omosessualità di Leonardo a partire da un suo ricordo d’infanzia (o forse un sogno) anche Lomazzo nel 1560…”

“…nomen omen…”

“Se vuole mi limito a cucinare.”

“Ok. Ok. Mi scusi.”

“Anche Lomazzo, dicevamo, fa fare a Leonardo nel suo “Libro dei Sogni” una dissertazione elogiativa dell’omosessualità chiamata “l’Amor de Garzoni” e ipotizza una possibile relazione del Maestro col servitore Salai mentre nel 1488 Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio, alludeva a un rapporto amoroso col Perugino definendo i due pittori: “due  giovin par d’etade e par d’amori.”

“Insomma gay e vegetariano. Era pronto per una carriera nell’alta moda.”

Osservare l’oste rientrare stizzito nelle cucine e maledire il proprio inarrestabile humour nero. Servendosi l’ultima fetta di biancomangiare. Trasalire poi all’accensione delle luci generali mentre lo chef ritorna in sala con un vassoio gremito di pietanze multicolori.

“Wow. Sembra un arcobaleno.”

“Leonardo aborriva la vicinanza di cibi dello stesso colore. Qui abbiamo sei broccoletti lessi con crema di aceto e miele, una cipolla lessa su una fettina di formaggio di bufala sormontata da un’oliva nera a spicchi…”

“Quindi vegetariano ma non vegano.”

“Esatto. Il formaggio di bufala è presente anche in questo assaggio di spinaci bolliti con un uovo in camicia senza guscio, poi abbiamo dei cetrioli in salamoia che il Maestro amava particolarmente e tre fettine di carota crude scolpite a forma di cavalluccio marino con sopra un cappero e una goccia di pasta d’acciughe.”

“Pasta d’acciughe?”

“Licenza poetica.”

“Ah”.

“È interessante lo studio di Leonardo sulle erbe del tempo, anche dal punto di vista medicamentoso.”

“Prima che inizi la sua tassonomia volevo farle notare, con rispetto parlando, che il mio bicchiere è vuoto. A meno che non vogliamo considerare vino quella schifezza corretta allo zafferano che mi ha servito per colazione.”

“Bicchieri vuoti come nel Cenacolo. Altro esempio di dogmatismo della Storia ufficiale. Secondo la Storia dell’Arte fra il 1495 e il 1499 viene commissionato a Leonardo dai Domenicani l’affresco dell’ultima cena presso il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Stando al monaco, e poi romanziere, Matteo Bandello (che ben conosceva il Maestro) egli lavorava con molta lentezza, a volte dando un paio di pennellate in una sola giornata o limitandosi a fissare il lavoro per ore dimenticandosi di bere o mangiare; la sua attenzione era rivolta in particolare alle figure e ai loro “moti mentali”e, a differenza di molte ultime cene che ponevano Giuda lontano dalla tavola, egli lo pose fra gli apostoli per evidenziare il primato del libero arbitrio sulla predestinazione che era uno dei dogmi-chiave della dottrina domenicana. Ha già finito?”

“Si, e sono sempre a secco.”

“Le porto il vino e le altre pietanze.”

Immaginare Leonardo aggrappato come un pipistrello alla sua impalcatura per giorni, mesi, anni, studiando la portata di ogni pennellata così come Michelangelo pochi anni dopo, sdraiato sotto le volte della Cappella Sistina, ormai cieco per la pittura che gli cola negli occhi: un santo non è perfetto ma è un uomo che dà la vita per un’idea che lo trascende.

“Ecco qui il vino ed altri assaggi di verdure: asparagi in tempura, carote cotte sotto la cenere e condite con vino caldo e miele, radici di pastinaca fritte, lattuga, indivia, malva in agro coi fiori pastellati come quelli di zucca e i gambi lessati e infine luppolo e primule bollite. In quella ciotola ci sono anche dei capperi passati prima in acqua calda e poi fredda…”

“Tipo sauna finlandese…”

“…e un po’ di cicoria selvatica con menta e polenta. Dov’eravamo rimasti?”

“Al suo eroe che digiuna lavorando con lentezza al Cenacolo…”

“Si, questo secondo la versione ufficiale. Secondo una lettera del priore di Santa Maria delle Grazie a Ludovico il Moro invece: “Mastro Leonardo insiste per saggiare tutti i vini al fine di trovare quello giusto per il suo capolavoro e […] mette fuori uso le cucine giorno e notte per preparare quegli intrugli che dice essere le pietanze di cui ha bisogno per metterle su quel suo tavolo […] e poi due volte al dì fa accomodare i suoi servi perché mangino tutto.” La lettera è datata 1496 ma non dissimile da questa testimonianza è quella di  Raymond Perault che l’anno successivo, in visita al convento, nota questo continuo traffico di vino e cibo commentando così: “Mastro Leonardo sembra interessato soltanto alla portata del suo tavolo e non alle persone che vi siedono intorno.”

“Due versioni abbastanza contrastanti.”

“Si. Il risultato finale sono fette d’anguilla, purè di rape, melograno, succo d’arancia, pane e bicchieri vuoti.”

“Un pasto frugale, oppure i servitori di Leonardo hanno già mangiato tutto.”

“Qualcuno contesta che l’anguilla non è un cibo kosher e che l’arancia fu introdotta dall’Oriente solo nel IX secolo dopo cristo ma torniamo allo studio di Leonardo sulle proprietà medicamentose delle piante: l’anice curerebbe il mal di testa e il cumino la dissenteria, la menta sarebbe un forte afrodisiaco ma curerebbe anche la rabbia,  il succo di papavero rosso potrebbe essere un ottimo rimedio contro l’ansia e l’insonnia mentre i semi di coriandolo tritati bloccherebbero il ciclo mestruale e attenuerebbero i postumi d’una sbronza. La salvia curerebbe il mal di denti e il sedano gli avvelenamenti, le bacche di mirtillo bruciate scaccerebbero le mosche e indossate a corona proteggerebbero dal caldo o dal freddo intenso. Il basilico sarebbe efficacissimo contro le punture di scorpione, l’erba gatta contro i morsi di serpente mentre il prezzemolo aiuterebbe molto in caso di dissenteria ma sarebbe anche un potente inibitore sessuale.”

“Suvvia, questo è folclore non scienza.”

“Forse. Posso farle adesso io una domanda?”

“Se non riguarda l’entità del mio 740…”

“A quali dubbi accennava prima?”

“Ce ne sarebbero tanti ma mi limiterò al più banale.” Lasciar rotolare il macinapepe in legno sul palmo della mano fissando l’oste come un giocatore di poker allo sgamo d’un bluff.

“Lei ha detto che Leonardo progettò questo macinapepe sul modello del grande faro di La Spezia.”

“Esatto.”

“Mi tolga una curiosità. Se Leonardo è vissuto fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento e i fari sono stati inventati solo nell’Ottocento (in particolare quello di La Spezia è stato costruito fra il 1840 e il 1880) a quali modelli avrebbe fatto riferimento il nostro genio? Partendo comunque dal presupposto che ogni faro è per definizione un faro elettrico e che l’elettricità e le sue applicazioni hanno cominciato ad essere studiate in concreto solo nella seconda parte del Settecento (?)”

 

(Continua…)                                                                                     

Germano Innocenti

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