E’ un mondo relegato a un passato romantico, alla radiosa stagione di un’arte ora annichilita dall’avanzare inesorabile della tecnologia, quello che Alba si lascia alle spalle con la scomparsa di Giorgio Agnelli, mancato ieri mattina all’ospedale "San Lazzaro", dove era ricoverato da sabato scorso in conseguenza di una caduta. Aveva 85 anni.
Insieme ai fratelli Aldo ed Enzo, oggi ultranovantenni, Giorgio portò avanti la bottega di fotografia che, avviata dal padre Pietro nei primi anni Venti, lungo almeno sei decenni rappresentò un punto di riferimento per generazioni di albesi. "Storico fotografo albese", lo si ricorda nei manifesti che danno notizia della sua scomparsa, annunciando i funerali per la mattinata di domani, mercoledì 19 giugno, alle ore 10 in cattedrale, dove ad accompagnarlo per l’ultimo viaggio saranno la moglie Evelina, la figlia Monica con Mario, il nipote Edoardo e gli stessi fratelli Aldo, Enzo e Luigi.
Così lo ricorda oggi Bruno Murialdo, testimone ed erede di quella importante esperienza a metà tra l’arte e un prezioso artigianato la cui dimensione oggi si è in parte perduta.
"Quello degli Agnelli non era soltanto uno studio fotografico, era molto di più, era il cenacolo dell’arte fotografica in quei tempi. Già il padre Pietro era stato un grande fotografo, arrivava da Milano, aprì una prima bottega che poi si spostò in via Mazzini, di fronte all’allora cinema Corino. Allora in città c’erano le caserme, si lavorava tantissimo sui ritratti. In un terzo momento si spostarono in via Maestra, dove rimasero sino alla chiusura, nei primi anni ’80, là dove è rimasta l’insegna della bottega.
Io conobbi Aldo al Savona e dopo le scuole a Torino chiesi di poter collaborare con loro. Dei tre, Aldo era il reporter, un fotografo incredibile. Conosciuto ai più per la sua amicizia fraterna con Beppe Fenoglio e per i lavori legati al fotografo partigiano, in realtà è stato autore di importanti reportage, realizzati anche lontano dalle sue amate Langhe. Enzo invece era l’artista di famiglia, autore di racconti per immagini alcuni dei quali sono rimasti inediti. Vicino al movimento surrealista, con Piero Masera partecipò anche alla Biennale di Venezia. Giorgio – e io per anni insieme a lui – invece si occupava del lavoro in studio, dei ritratti e del ritocco manuale, ma soprattutto della camera oscura, dello sviluppo. Un lavoro pesantissimo, che ti costringeva a trascorrere dieci ore al giorno praticamente al buio, e che al contempo richiedeva grandi capacità tecniche, una professionalità che nell’odierno mondo del digitale si è ovviamente persa.
Loro tre, insieme, facevano fotografia a livelli che non era così comune vedere a quei tempi. Da Alba si spostavano anche a Milano, dove lavoravano per diverse importanti aziende, in tempi nei quali per spostare l’attrezzatura di un fotografo ci voleva un furgone e quella dello scatto era un’arte, figlia di una professionalità che potevi costruire solo col tempo e l’esperienza. Un abisso dalla pratica di oggi, dove per scattare una foto anche di notte è sufficiente la funzione automatica di uno smartphone…".