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Curiosità | 04 agosto 2019, 14:19

A Bra, l'integrazione è una missione possibile. Successo per la festa senegalese

Quattro chiacchiere al suono di “kora” con la band senegalese dei “Ngallam”, i Gioielli

A Bra, l'integrazione è una missione possibile. Successo per la festa senegalese

Accoglienza: il filo rosso che lega la città della Zizzola all’Africa. Ogni anno una grande agape e tante persone si danno appuntamento per un evento all’insegna della gioia e della condivisione.

Questa iniziativa è organizzata dall’Associazione Senegalese Bra Alba Roero e Langhe presieduta da Mor Samb e rappresenta un’opportunità di scambio culturale e sociale per poter continuare a crescere come comunità in un clima di alta serenità. In fondo, stare insieme a tavola è la forma più semplice di integrazione, da continuare a coltivare insieme ai valori di solidarietà, amicizia e rispetto.

È successo anche nella serata di sabato 20 luglio, presso l’auditorium del Centro Polifunzionale “Giovanni Arpino”. Al centro della festa, la comunità senegalese ed i suoi esponenti. Tutti vestiti in modo impeccabile, con il loro abito per le feste importanti.

Grintose e vistose le donne, abbigliate in modo elegantissimo, alcune con dei foulard in testa dello stesso colore del vestito.

Indossavano un “taille basse” o un “robe taille mame”, uno degli abiti tradizionali. Imperdibile la cena a base di prodotti tipici con la quale si è aperta una kermesse dedicata alla contaminazione culturale senegalese. Passano bicchieri di zenzero e karkadè prima dei piatti a base di riso e pesce.

Quindi, la sfilata di abiti tradizionali africani e poi la notte in musica. Canti e balli a tutto ritmo con le percussioni e le ricche suggestioni dell’Africa, magicamente ricreate dalla cantante Daba Seye.

Nel 2018 era toccato, invece, alla band musicale dei “Ngallam”, i Gioielli, un’esperienza di ieri che sembra rivivere oggi.

Nella cornice coreografica offerta dal ballerino Mbaye e dalle danzatrici Ndiawa e Awa, si staglia Babel Thian, leader del gruppo, il Grio, cioè il cantastorie e suona il djembe, alla stregua di Abou Samio, mentre Tidiane Djop suona il sabar e Sali Dum Dum si scatena alla batteria.

Haruna è il Djaly, nome che viene attribuito al suonatore della “kora”, uno strumento ancestrale e regale, come ci spiega lui stesso: "La kora è uno strumento molto importante, realizzato con una zucca intagliata a formare una gran cassa, poi rivestita con pelle di antilope. In passato, veniva suonata solo per i Re e per la classe nobile. Quando si suona la kora non ci deve essere alcun tipo di disturbo. È uno strumento che ha un’anima, è come l’arpa che ne è una derivazione. Una persona normale non aveva l’onore di ascoltare la sua melodia. Ora siamo tutti nobili, perché ascoltiamo la kora insieme, ma una volta succedeva diversamente. Era un onore riservato ai Re".

L’incanto di una notte di mezza estate accende la magia ed ecco rinascere il contegno d’altri tempi. Una chiacchierata con il sottofondo della kora, per me significa immergersi nella tradizione della nobiltà africana, essere una Regina e Babel un valente Grio con tante storie da raccontare alla mia corte. Fossero tutte così le interviste!

Da dove venite?

“Siamo di origini senegalesi e viviamo a Torino. Io sono arrivato in città quasi diciassette anni fa. Quando sono giunto ero solo, successivamente mi hanno raggiunto anche dei fratelli, cugini e nipoti. Il gruppo è nato tre anni dopo il mio arrivo”.

Come nasce la vostra passione per la musica?

“Questa passione nasce, perché noi siamo nati in una famiglia di musicisti, artisti internazionali. La famiglia dei “Grio” è l’unica che fa arte africana e suona strumenti tradizionali. Tutti i giorni viviamo in casa quest’arte che viene trasmessa oralmente ed a livello genetico. È un’antica tradizione passata da padre in figlio; le nuove generazioni modernizzano un po’ le cose, ma la tradizione rimane alla base”.

Chi sono i “Grio”?

“I Grio sono i cantastorie, i messaggeri. Erano i soli autorizzati a trasmettere i messaggi del Re. Erano i confidenti dei sovrani, poiché raccontavano le loro storie, anche le più intime, le storie della famiglia e del regno. Nei tempi antichi non esistevano i telefoni ed altre tecnologie, quindi i Grio erano utilizzati per tramandare oralmente i messaggi, le notizie importanti, in modo che arrivassero anche alle successive generazioni, così da perpetuarle”.

Che tipo di musica è la vostra?

“La nostra è musica tradizionale africana che prende tutta la parte dell’Ovest. Il sabar, che si suona solo in Senegal ed in Gambia, assieme al djembe e la kora, sono gli strumenti che si usano in questa parte dell’Africa: Senegal, Guinea, Burchina, Mali, Costa d’Avorio. Tutta quella parte occidentale del continente condivide la musica dell’Africa nera”.

Che cos’è la musica per voi?

“La musica è una terapia che noi viviamo tutti i giorni. Quando suoni, vai in trance. La cosa più bella, secondo il mio punto di vista di musicista, è quando faccio contenta un’altra persona, quando suono qualcosa e qualcuno mi ascolta. Ciò ti dà la soddisfazione di vivere, di sorridere. Condividere anche solo un momento piccolo insieme vuol dire tanto. Significa essere in pace con se stessi e con gli altri”.

Che cosa volete comunicare con la vostra musica?

“Con la musica comunichiamo tutto. La gioia, il sorriso, l’effetto che abbiamo su chi ci ascolta e tra di noi sul palco. Comunichiamo che è meglio fare la musica che la guerra. Meglio fare la musica che odiarci tra di noi. Condividere qualcosa che ci accomuna per saper la previsione dell’altro. Vogliamo far passare il messaggio della nostra tradizione in un Paese dove non vivi, dove non sei nato, cresciuto, dove hanno bisogno di sapere chi sei. Tramite la musica ed i nostri piccoli strumenti, vogliamo far sapere chi siamo, portando la pace sempre con noi e combattendo per essa. Con gli strumenti musicali trasmettiamo la pace e dove noi viviamo la portiamo”.

Che cosa vi ispira?

“Essendo un musicista le ispirazioni vengono da sole, in ogni momento: lavorando, quando sei sotto la doccia, mentre cammini. E lo senti subito che è una cosa bella; non vedi l’ora di trasmetterle anche agli altri. Quando trasmetti emozioni e vedi che gli altri reagiscono, capisci l’anima della musica che continua ad aver vita”.

Il brano a cui siete più legati?

“Tutti, perché ogni brano è importante come l’altro, soprattutto quando si parla di serenità e pace. I brani sulla condivisione sono i brani che allunghiamo un po’ di più, perché vogliamo che il messaggio passi, reagisca anche il pubblico, magari cantando e suonando con noi. Però tutti i brani sono importanti, ogni pezzo parla di qualcosa di importante”.

La musica aiuta a vivere meglio?

“Sì, dà una vita migliore. Quando fai musica non pensi ad altro e questo è già un fatto importante”.

Che cosa vi manca della vostra terra?

“Tutto, perché quando lasci la tua patria per andare in un’altra devi diventare un guerriero. Ti trovi allo sbaraglio, ti manca la tua gioventù, i tuoi compagni, i tuoi genitori. Però devi tenere conto che sei stato tu a voler partire, a scoprire qualcosa di nuovo. E se il Paese in cui arrivi ti dà la possibilità di integrarti, qualcosa di buono succede sicuramente. Una volta arrivato sei come tutti gli altri residenti e condividi la vita con loro. Questo non cancella il legame con la nostra terra. Durante i periodi di ferie si ritorna in Africa e si va a trovare la famiglia. Anche questo ha il suo sapore”.

Che cosa ti piace dell’Italia?

“Tutto, ci vivo da diciassette anni. Mi piace, ci lavoro, ci sto bene. Sono come gli italiani e tutti i giorni condivido la vita e la giornata con loro. Mi piace ogni cosa”.

… E degli italiani?

“Mi piacciono anche loro, altrimenti non riuscirei a condividere le cose insieme”.

Il posto più strano dove avete suonato?

“Per noi un posto vale l’altro. Quindi, il luogo più strano deve ancora arrivare nella vita”.

Chi è il vostro pubblico?

“Italiani, africani e tutti coloro a cui piace il nostro genere musicale, fatto di ritmo e gioia”.

Il vostro motto?

“Evviva la pace!”

Sogno nel cassetto?

“Ogni giorno sogno che la nostra lingua e la nostra musica siano capite da chi non ci conosce. Speriamo di riuscire a trasmettere tutto ciò a chi ci ospita, come è successo a Bra”.

 

Nella loro esibizione parole di convivenza e di pace. Qualche bambino salta di qua e di là, i più piccoli presenziano con i loro abitini colorati. Ma loro ascoltano e basta, capiranno in futuro.

Silvia Gullino

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