Difficile mettere nero su bianco lo straordinario excursus di Philippe Daverio, che riesce a farsi perdonare anche gli oltre 20 minuti di ritardo. Silenzio e attenzione al Toselli di Cuneo per l’incontro con uno straordinario divulgatore di cultura artistica e storica.
Daverio, partendo dalla romanità, da fatti storici, religiosi e artistici, spiega la voce nell’arte, quasi un paradosso. Partendo da Giotto e dai suoi affreschi, che testimoniano una delle grandi peculiarità dell’arte italiana. La narrazione del sentimento e l’espressività, un unicum che ha origini nella romanità, in San Francesco e in Domenico da Guzman, che fondano i due ordini mendicanti, in cui centrale è la predicazione, la voce. Poi Lutero, la Controriforma, il teatro d’opera, che in Italia plasma un’identità.
“Siamo un Paese fondato sul melodramma. Dovrebbe essere questo il primo articolo della Costituzione. Noi siamo quella cosa lì. Anche il design nasce da questo”, spiega scherzando Daverio. Che racconta il legame costante, in Italia, tra voce e immagine. La nostra è una pittura parlante in cui la collettività sociale si mescola.
È questa, per Daverio, la caratteristica specifica dell’espressività italiana, della nostra arte, della nostra lingua pittorica. Una pittura fisica come nessun’altra. “Gli italiani non lo sanno, ma sono aristotelici. La migliore gnosi italiana passa attraverso i sensi”, la sua conclusione. Leonardo Da Vinci è la sublimazione di questo.