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Attualità | 18 novembre 2019, 10:49

Ad Haiti da settembre è guerra civile. La testimonianza di padre Massimo Miraglio: "Popolazione in strada, bande armate e blocco di ogni attività"

Il sacerdote camilliano, originario di Borgo San Dalmazzo, da 15 anni è in missione ad Haiti: "La situazione nel Paese ha continuato a peggiorare e stiamo vivendo una delle più dure crisi che il Paese abbia mai conosciuto"

Padre Massimo Miraglio con i bambini di Haiti

Padre Massimo Miraglio con i bambini di Haiti

Ci sono luoghi nel mondo che non meritano neanche l'attenzione dei media. È il caso di Haiti, la parte sfortunata dell'isola caraibica Hispaniola: sembra quasi l'inferno vicino alla paradisiaca Repubblica Dominicana.

Devastato prima dal terremoto del 2010 e poi dall'uragano Matthew nel 2016, Haiti è un paese in ginocchio dove povertà, corruzione e inquinamento la fanno da padrone. E oggi è teatro di una terribile guerra civile. Peccato che nessuno ne stia parlando. Sui giornali nazionali ci sono riferimenti alla guerra civile in Cile, ma neanche una riga sulla disastrosa situazione di Haiti.

Ne abbiamo avuto notizia da Padre Massimo Miraglio, sacerdote camilliano di 53 anni, originario di Borgo San Dalmazzo. Da 15 anni è in missione ad Haiti. Oggi è mente e braccia del progetto per l’Ospedale per la Cura delle lesioni Cutanee (CLC) Saint Camille a Jérémie, piccola cittadina di provincia. Era tornato in Italia quest'estate per la morte del padre, ma dal suo rientro in Haiti il 5 settembre non ha belle notizie: “La situazione nel Paese ha continuato a peggiorare e stiamo vivendo una delle più dure crisi che il Paese abbia mai conosciuto. Vedo che in Italia non si fa cenno a questa situazione gravissima, siamo un piccolo Paese e lontano migliaia di chilometri!”

Come ci ha anche raccontato la mamma Silvia, che vive a Borgo, è molto rischioso per Massimo raggiungere la capitale Port au Prince (300 km di distanza da Jérémie) dove arrivano i container di alimenti e farmaci dall'Italia. Ci sono bande armate per la strada che sequestrano i mezzi e impediscono il passaggio.


Pubblichiamo interamente la lettera che ci ha inviato.

HAITI, UNA CRISI INFINITA

Da anni ormai Haiti si trova in una situazione terribile, da una parte una serie di catastrofi naturali che si sono abbattute sul Paese dall’altra una classe politica incapace e corrotta ed una borghesia avida e insensibile che hanno portato il Paese a sprofondare in un abisso ed hanno contribuito a renderlo una delle nazioni più povere del pianeta.

Gli aiuti, le donazioni, i prestiti a tasso zero di Istituzioni internazionali e di Stati amici avrebbero dovuto non solo venire in aiuto alla popolazione colpita negli ultimi anni da diverse catastrofi naturali (terremoto, colera, uragano Matthews) ma anche finanziare opere strutturali per incamminare Haiti sulla via dello sviluppo. Questo denaro invece, ha ingrassato i politici, le famiglie della grande borghesia e i loro sgherri. La povera gente non ha beneficiato di questi aiuti ed ha dovuto accontentarsi delle misere briciole cadute dalla tavola dei ricchi epuloni locali. Tante promesse mai mantenute (lavoro, cibo), tanti progetti mai o mal realizzati (luce, acqua, ospedali, scuole, strade …) hanno esasperato la popolazione che dai primi di settembre è scesa in strada in massa, paralizzando tutti i settori della vita pubblica.

L’opposizione politica che tenta di canalizzare la protesta popolare, esigendo le dimissioni del Presidente Jovenel Moise, è formata da una miriade di partiti e di associazioni incapaci di mettere insieme un programma politico comune che possa portare il Paese fuori da questa crisi infinita. Alla testa di questi gruppi d’opposizione troviamo spesso le stesse persone che per anni hanno fatto parte del sistema e che oggi, per pura convenienza, sono schierate dietro le barricate.

Alle giuste richieste del popolo che in collera rivendica un cambiamento radicale e reclama le dimissioni del Presidente e di tutta la classe politica, si è aggiunta però la violenza feroce di numerosi gruppi armati, sparsi in tutto il Paese che, finanziati alcuni dal potere costituito altri dal ceto borghese e altri ancora dall’opposizione politica, seminano il terrore e uccidono senza pietà.

Migliaia di giovani dei quartieri popolari sono stati arruolati e ben armati. Infiltrati tra coloro che manifestano per le strade della capitale e delle altre cittadine di provincia, dietro alle enormi barricate e ai cumuli di pneumatici in fiamme che paralizzano la circolazione stradale, organizzati in bande o in piccoli gruppi, con ogni mezzo questi giovani sono sempre pronti, giorno e notte, a rapinare e a uccidere la popolazione inerme, a saccheggiare le attività commerciali, ad assaltare gli autocarri che assicurano il trasporto di persone e di merci dalla capitale alla provincia.

A Jérémie dove abito e lavoro ormai da 15 anni, le manifestazioni continuano ma sono state fino ad oggi meno devastanti e controllate, anche se con difficoltà, dalla polizia locale. La popolazione fa le sue giuste rivendicazioni e la gran parte delle attività sono paralizzate: le scuole sono chiuse così come tutti gli uffici pubblici, le banche aprono a singhiozzo, … Anche a Jérémie, mischiati tra la folla dei manifestanti si trovano i violenti, finanziati dai politici del luogo. Non sono mancati i feriti anche molto gravi in scontri tra gruppi di violenti e la polizia o tra gruppi di facinorosi e si sono verificati atti di vandalismo. Durante le manifestazioni il centro città è invaso da una cortina tossica data dal fumo dei pneumatici in fiamme che sbarrano la circolazione e dai lacrimogeni lanciati dalla polizia, questa situazione obbliga centinaia di persone, tra cui molti bambini, a evacuare interi quartieri e a cercare aiuto nell’ospedale cittadino, impreparato però a gestire qualsiasi emergenza.

Il blocco di tutte le attività ha aumentato la sofferenza della popolazione, soprattutto della maggioranza che già viveva di stenti e a cui questa paralisi ha tolto anche quel poco che gli permetteva di sopravvivere.

La penuria dei beni alimentari e di carburante in arrivo dalla capitale che dista 300 km, ha aumentato di molto il costo della vita. I camion in viaggio dalla capitale Port au Prince verso Jérémie sono spesso vittime di furti e obbligati a pagare, lungo tutto il percorso, somme di denaro alle diverse bande che presidiano armate la strada. Nei giorni delle manifestazioni gli autocarri vengono spesso sequestrati, messi di traverso sulle carreggiate, danneggiati ed utilizzati dai manifestanti e da gruppi armati per bloccare la circolazione stradale.

Se la situazione si presenta grave a Jérémie, sulle alte colline e nei fondivalle che circondano la cittadina sta crescendo rapidamente una terribile emergenza alimentare. La scarsa produzione agricola non permette alla gente di sfamarsi e sempre maggiore è la dipendenza dalle derrate in arrivo dalla capitale. Quel piccolo surplus di produzione che ogni famiglia in passato riusciva a vendere sul mercato locale o ad inviare sul mercato della capitale era appena sufficiente a coprire le spese necessarie per vivere, oggi le famiglie contadine, ridotte in miseria, non producono a sufficienza per sfamarsi e non hanno nessuna entrata in denaro per affrontare le spese essenziali: alimentari, scolastiche, mediche, di trasporto, …

I racconti, i volti della gente che incontro durante la distribuzione dei medicinali o dei disperati che vengono a cercarmi nel cantiere dell’ospedale per parlarmi delle loro sofferenze mi dicono quanto la situazione sia drammatica.

Le scuole sono chiuse ed i bambini e i giovani sono costretti tristemente a rimanere a casa, i contadini che ogni martedì approvvigionavano il mercato locale non scendono più in città, i depositi semi vuoti di derrate alimentare hanno prezzi proibitivi e tengono la porta socchiusa per paura di essere attaccati, i cantieri sono fermi manca il cemento e il ferro, l’ospedale civile è privo d’acqua, d’energia elettrica ed i pazienti che devono subire operazioni chirurgiche debbono oltre alla lista completa dei medicinali procurarsi anche 30 litri di carburante per la generatrice. La popolazione è sfiancata dalle troppe difficoltà, angosciata da un futuro che sembra sempre più duro e senza vie d’uscita, umiliata dalle tante promesse fatte dalla classe dirigente e mai mantenute.

Alla missione anche noi siamo obbligati, per mancanza di materiale, a fermare temporaneamente il cantiere dell’ospedale e i lavori di riabilitazione di alcune case rurali (progetto “Lakay se lavi”) mentre continua numerosa l’accoglienza quotidiana della gente per medicinali, beni di prima necessità e per un sostegno economico malgrado il nostro deposito sia quasi vuoto e l’approvvigionamento da Port au Prince sia molto difficile.

La nostra presenza, in questo frangente, vuole far sentire alla gente che siamo dalla loro parte, che sosteniamo gli sforzi per un Haiti migliore, che siamo sensibili alle loro sofferenze e generosi nei loro confronti.

Vi chiedo, per quanto possibile, di continuare a sostenere il nostro lavoro, qui a Jérémie, attraverso l’Associazione “Madian-Orizzonti” Onlus C/C postale 70170733 causale “Jérémie - HAITI”.


P. Massimo Miraglio

camilliano

Jérémie - HAITI

cristina mazzariello

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