Le persone che scendono in piazza per dire la loro, quando lo fanno in modo pacifico e nel rispetto degli altri, rappresentano il sale della democrazia. Un tempo era compito dei partiti indirizzare l’opinione pubblica anche attraverso manifestazioni di protesta o di consenso rispetto all’operato dei governi centrali o locali. Da quasi venti anni, invece, i partiti hanno spesso lasciato riempire i loro vuoti alla società civile.
L’ultima espressione di questa protesta non violenta è il movimento delle “Sardine”. Nato su iniziativa di quattro giovani guidati da Mattia Santori, attraverso il tam-tam sui social il 14 novembre, alla prima uscita, ha portato in piazza Maggiore a Bologna oltre diecimila persone. Senza simboli e bandiere, se non le “sardine” di cartone, e usando il confronto pacato, si è posto l'obiettivo di lottare contro il clima di odio e di paura che sta condizionando l’attuale periodo storico. E cambiare il linguaggio vuoto e senza contenuti dei partiti e dei loro leader per rappresentare i malesseri ormai sempre più presenti nella democrazia italiana. Ma avendo ben chiari i valori da condividere scritti nella Costituzione.
Da quel giorno gli incontri sulle piazze sono continuati in numerose altre città del nostro Paese. Anche a Cuneo, dove lo scorso 30 novembre si sono ritrovate in largo Audiffredi, di fianco al Municipio, almeno 700 persone provenienti da tutto il territorio provinciale. Su “invito” dei promotori del gruppo: Simone Borio; Alessandro Dogliani; Matteo Manescotto; Alessandro Cerrato e Isabella Maiorana.
E’ dal 2002 che, ogni tanto, la società civile, quando non ne può più del “nulla” costituito dai partiti, scende in piazza. Hanno iniziato, quell’anno, i “Girotondi”. Poi, sono nati i movimenti “Popolo Viola”, “Se non ora quando?”, “Arancione”. In Piemonte abbiamo avuto anche quello delle “Madamine”. Che fine hanno fatto? Sono spariti.
Gli unici a resistere nel tempo sono stati i 5 Stelle. Ma quando sono diventati forza di governo hanno perso la loro forza dirompente di rappresentanza del disagio esistente nella comunità.
Qual è il rischio delle “Sardine”? Pur rispettando il loro impegno e la loro voglia di veder costruire un modo nuovo di fare politica non avranno futuro se non diventeranno un qualcosa di organizzato che propone alternative. Per carità, a loro può bastare il fatto di aver chiesto un maggiore coinvolgimento. E i partiti, almeno nei prossimi mesi, ne dovranno tenere conto.
Ma per cambiare le cose ci vuole la politica strutturata e portata avanti con coerenza e nell’interesse dei cittadini. Al contrario le piazze, pur piene, possono solo accendere speranze.