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Al Direttore | 15 dicembre 2019, 20:15

Fratelli d'Italia lancia una proposta di legge per "ricostituire e accorpare le Province, ed eleggere direttamente presidente e Consiglio provinciale"

Riceviamo e pubblichiamo

La sede della Provincia, in corso Nizza a Cuneo

La sede della Provincia, in corso Nizza a Cuneo

Alla luce delle nostre esperienze politiche e amministrative e dei confronti con esponenti di varie forze politiche, riteniamo utili e urgenti azioni da predisporre per la riforma degli enti locali, per l’abolizione della legge Delrio del 2014, per la ricostituzione delle Province “storiche”e l’accorpamento delle Province di recente costituzione.

Sulla necessità di tenere in vita le Province, in passato le parti politiche hanno invertito le loro posizioni, e poi addirittura mescolate: negli anni ‘70 e ‘80 era il partito comunista che le voleva abolire, poi negli anni ‘90  e Duemila ci fu la corsa a costituirne di nuove per ragioni partitocratiche e clientelari, passando da 95 a 110.

Da qui proliferazione di centri di potere (Comunità montane, Unioni di Comuni, Ato, Consorzi locali, tutti con problemi di natura politica che non garantiscono i servizi ai cittadini),  e aumenti di costi. Prima il Movimento Sociale Italiano e dopo Alleanza Nazionale e la Lega furono gli unici ad opporsi al disegno di abolire l’Ente Provincia.

Anche Forza Italia e la Confindustria, nell’ambito della riforma federalista impostata solo su Regioni e Comuni, hanno sostenuto nella campagna elettorale del 2008  la tesi della loro abolizione. Il Pd e poi i 5Stelle ne hanno fatto un obiettivo propagandistico per la riduzione dei costi della politica.

Con la legge Delrio – ostinatamente voluta dal governo di centrosinistra Renzi – partiti ed organi di informazione governativi, di fronte alla opinione pubblica stremata da corruzione, sprechi e privilegi, ridotta a pensare che qualsiasi eliminazione delle strutture dello Stato fosse ormai indispensabile ed auspicabile, hanno trovato conveniente l’alibi della eliminazione delle Province, anziché accorparle o ridurle e renderle più funzionali.

Ma di fatto, in mancanza di progettualità lungimirante per la riforma degli Enti locali, e anche per ragioni di potere politico, le Province sono rimaste in piedi, ma le si sono ridotte in stato comatoso.

Sono state tolte risorse e allontanati dipendenti di esperienza e competenza. I risparmi sulla spesa globale sono stati modesti, tali da non valere lo scopo propagandato, come ha sostenuto l’ex ministro dell’Economia Tremonti. Oggi la stessa Corte dei Conti riscontra che dal 2012 al 2018  i tagli delle manovre economiche sulle entrate proprio delle Province sono  stati del 60%, “manifestamente ingiustificati”.

E’ stato un grave errore abolire la Provincia, una forma di organizzazione decentrata del territorio che appartiene alla storia del nostro Paese. Molto prima dello Stato centralizzato unitario di matrice francese, affonda le sue radici nella storia dell’antica Roma,  dove la rete provinciale dei prefetti è stata  il perno delle prime forme di decentramento dei poteri dello Stato.

Questo Ente intermedio fra Regione e Comuni, riconosciuto dalla Costituzione, ha un forte radicamento territoriale ed ha avuto un ruolo essenziale di programmazione fra soggetti pubblici e privati, e di sviluppo economico. Nel sistema delle autonomie la Provincia argina i rischi del centralismo regionale, che rivela una insensibilità politica e una non conoscenza o lontananza dai problemi della periferia che ricadono sensibilmente sui piccoli Comuni.

Altresì la Provincia favorisce la collaborazione tra aree confinanti che non sempre appartengono alla medesima Regione. Inoltre, si è persino privato i cittadini del diritto di andare a votare il presidente della Provincia e i consiglieri provinciali.

Con questa nuova espropriazione della democrazia partecipativa (come si voleva fare per la elezione del Senato) si è, tra l’altro, impedito che qualificati esponenti della politica locale e della società civile potessero essere eletti in Consiglio provinciale, per affidare questa possibilità solo ai consiglieri comunali già eletti, di cui molto spesso non si conosce né capacità né identità, da qui la scarsa partecipazione al voto di secondo livello.

Infine, tenendo conto delle funzioni della Provincia che si intendono affidare ai Comuni (in crisi finanziaria perenne) e alla Regione (il cui aumento di poteri determina la proliferazione  delle sedi decisionali e quindi lo sfarinamento delle responsabilità e delle efficienze, nonché interferenze, burocrazia e lungaggini operative), nonché le difficoltà per  la destinazione del relativo personale dipendente alla Regione (con maggiori oneri contrattuali), di fronte a queste condizioni preoccupanti, trasversalmente numerosi esponenti politici, amministratori locali e associazioni produttive sollevano proteste e si rendono conto di non avere più un interlocutore certo e operativo sul territorio per le funzioni cosiddette di area vasta (viabilità, trasporti, scuola, energia, irrigazione).

Ci saranno pure motivi di efficienza amministrativa e di programmazione se in Europa quasi tutti gli Stati hanno le Province o i Dipartimenti o i Distretti. La Francia ha tre livelli di organizzazione territoriale: Regioni (26), Comuni (36.700) e Dipartimenti (100); la Spagna ha 17  Comunità autonome regionali, 8.131 Municipi e 50 Province; la Germania ha 16 Lander-Regioni, 10.848 Comuni e 12 Land-Unioni di Comuni; la Romania ha 8 Regioni, 3.181 Comuni e 42 Distretti; l’Ungheria ha 7 Regioni, 3.152 Comuni e 19 Province; l’Austria ha 9 Stati federali-Regioni, 2.098 Comuni e 79 Distretti; la Polonia ha 2.478 Comuni e 16 Province-Regioni;  il Belgio ha 3 Regioni, 581 Comuni e 10 Province; i Paesi Bassi hanno 355 Comuni e 12 Province; la Grecia ha  325 Comuni e 13 Province-Prefetture; il Portogallo ha 2 Regioni, 308 Comuni e 18 Distretti. La Gran Bretagna, pur avendo storicamente particolari situazioni di governo, ha 326 Distretti e 55 Contee. La Svizzera ha 26 Cantoni, 2.212 Comuni e 118 Distretti.

A livello di territori provinciali ora emerge pressante la preoccupazione e l’esigenza  di avere maggiori fondi finanziari per la Provincia (d’altronde ciò è ben giustificato) , ma non si avverte che questo è un vecchio problema irrisolto che si trascina da anni e che necessita di una precisa disposizione normativa.

Il parametro dei finanziamenti dallo Stato alle Province è basato sul numero degli abitanti, e non considera anche l’estensione del territorio e il chilometraggio di strade da accudire. Chi ha governato – dal centro alla periferia – non ha mai affrontato questo problema.

Da queste premesse emerge la necessità di una rifondazione delle Province, che risponda alle esigenze di funzionalità legate all’attuazione del federalismo fiscale e all’adozione del criterio dei fabbisogni standard nel finanziamento delle funzioni.

Un effettivo risultato di riduzione della spesa pubblica e di migliore utilizzo delle risorse esistenti può derivare da un processo di razionalizzazione  delle dimensioni delle circoscrizioni provinciali attraverso l’accorpamento delle province più piccole, individuando indici demografici, geografici ed economici, che tengano conto delle peculiarità storiche e territoriali di ogni regione.

Ripristiniamo la elezione diretta da parte dei cittadini del presidente della Provincia, come disposto  con la legge 25 marzo 1993, n° 81. Quella legge ha interrotto il sistema che assegnava ai partiti un ruolo pressochè esclusivo  nella determinazione dei livelli di rappresentanza politica e valorizzava la responsabilità diretta dell’Amministrazione nei confronti del cittadino.

Ridiamo ai cittadini di ogni area del territorio provinciale il diritto democratico  di eleggere direttamente i loro rappresentanti in Consiglio provinciale.

Per il contenimento dei costi riduciamo al minimo  i compensi agli assessori, diamo ai consiglieri eletti solo rimborsi spese, eliminiamo le figure retribuite del presidente e vicepresidente del consiglio – creati all’insegna della spartizione dei poteri fra i partiti – le cui funzioni un tempo erano bellamente svolte dal presidente della Giunta provinciale. 

Secondo gli esponenti di Fratelli d’Italia di Cuneo questa riforma potrebbe avvenire per via ordinaria, in modo rapido, attraverso una legge delega.

Firmato: Paolo Chiarenza (ex consigliere provinciale di Cuneo); Roberto Russo (ex assessore provinciale di Cuneo);Enzo Tassone (vice coordinatore provinciale FdI Cuneo); Alberto Anello (ex consigliere provinciale Cuneo e sindaco di Casteldelfino); Guido Giordana (consigliere comunale Valdieri); Fabio Mottinelli (consigliere comunale Ceva).

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