Il nome, come sempre negli atti parlamentari, è totalmente burocratico.
Si chiama Decreto Appropriatezza, è entrato in vigore il 21 gennaio 2016 e lo ha voluto il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, con l’obiettivo di far pagare interamente dai cittadini 203 prestazioni mediche nei settori odontoiatria, genetica, radiologia diagnostica, esami di laboratorio, dermatologia allergologica e medicina nucleare. Quindi, taglio totale del ticket, peraltro già non proprio a buon mercato, se non in condizioni di assoluta necessità che deve stabilire, a suo rischio, il medico curante di famiglia.
Il provvedimento, tra l’altro approvato nel silenzio più assoluto il 9 dicembre 2015, secondo il Governo Renzi, servirebbe a diminuire fortemente le richieste, soprattutto di analisi, da parte dei dottori che, fino a ora, erano considerate troppe e troppo costose per il Servizio Sanitario Nazionale. Anche se nella lista delle prestazioni compaiono voci indispensabili per il controllo del paziente come il colesterolo, i trigliceridi, altri esami del sangue e diverse tipologie di risonanze magnetiche. Certo, il medico può continuare a chiederle, ma ne deve spiegare il motivo (patologia, età, periodo passato dal precedente esame). Nel caso delle radiologie diagnostiche possono essere prescritte solo in presenza di malattie oncologiche in atto. Altrimenti se il dottore lo fa in modo considerato troppo “facile” e, quindi, definito sospetto dal Decreto, è chiamato a pagare sanzioni di tasca sua.
Che dire? Probabilmente, in passato, ci sono anche state, da parte di qualcuno, delle ricette scritte senza approfondire il necessario, ma il provvedimento è un modo scandaloso di tagliare un altro pezzo della sanità pubblica con il quale si cambia radicalmente il rapporto di fiducia tra il “camice bianco” e il paziente. Il medico, oltre a uno svilimento del proprio ruolo, teme ripercussioni nei suoi confronti e l’incertezza con cui gli si possono attribuire le responsabilità nelle prescrizioni: quella parola chiamata, appunto, appropriatezza. Il paziente non riesce a capire come mai esami fino a prima normali, adesso se li deve pagare tutti di tasca sua. Però si parla di salute e le diagnosi, spesso, si chiariscono, con sicurezza, solo dopo vari tentativi.
Conseguenze? Incomprensioni, disagi, rischi di peggiorare la situazione di malattie in fase iniziale e, quindi, ancora recuperabili dal punto di vista terapeutico. Il medico diventa il “vaso di coccio” stritolato nella morsa del paziente che va da lui per curarsi e lo Stato che non gli permette più di farlo come vorrebbe e come la sua esperienza richiederebbe.
Ma non si è sempre detto, in tutti i campi, e in particolare nella sanità, che prevenire è meglio di curare? Si sono scritti libri, sono stati fatti convegni: e la prevenzione continua essere sulla bocca di tutti come unico strumento per salvare il corpo umano da possibili malattie senza scampo. E da spese successive per curarle che sono ben più onerose per il Servizio Sanitario Nazionale. Ebbene questo Decreto va esattamente nella direzione opposta.
L’unica speranza è la vittoria del buon senso e che quanti avranno il compito di accertare le eventuali responsabilità dei medici non siano burocrati ignoranti in materia ai quali è stato detto di pensare unicamente al fattore economico, ma persone capaci di valutare i casi con preparazione.
Il nostro sistema sanitario pubblico, pur con i tanti problemi da affrontare ogni giorno, dovuti tuttavia sempre all’aumento dei tagli durante gli anni, è stato definito uno dei migliori del mondo. Il presidente degli Stati Uniti, Obama, ha lottato con tutte le sue forze per introdurre un modello per certi aspetti simile al nostro attraverso una copertura, seppure parziale, delle spese, a carico dello Stato.
L’augurio, di certo, è che la sanità italiana non diventi mai totalmente privata, con il paziente in balìa di imprenditori senza scrupoli e di assicurazioni pronte a contestare banali dettagli pur di non tirare fuori i soldi per le prestazioni mediche di cui si è avuto bisogno. Il Decreto Appropriatezza, però, rappresenta il primo gradino, concreto e subdolo, della privatizzazione statalizzata: di un sistema, cioè, con un’offerta sempre minore di prestazioni da pagare utilizzando i ticket. Tra l’altro denari che, per molti cittadini, in stato di sofferenza economica, costituiscono già un enorme “peso” al quale dover far fronte.
Il rischio, comunque, dietro la porta c’è: tagliando, in silenzio, un pezzo per volta, il passaggio alla privatizzazione completa della sanità non è per nulla da escludere.