Cuneo e valli - 26 settembre 2012, 17:02

Virginio: chi era costui? Il segreto di Piazza delle Erbe, a Cuneo

Un'intervista impossibile con un grande cuneese dimenticato

Cuneo, Piazza delle Erbe. Un uomo d’altri tempi mi attende, fermo, vicino a San Francesco. Lo sguardo è rivolto in alto mentre scuote la testa con disappunto.

V - Vede anche lei quello che vedo io?

Non sapendo bene quale possa essere la risposta giusta, scelgo di tacere.

V - Lei sa come si chiama questa piazza?

G- In molti la chiamavano Piazza delle Erbe anche se ora è piazza Virginio.

V- Ecco. Brava, almeno lei. Virginio e non Virgilio. Niente a che vedere con l’Eneide e ancora meno con la Divina Commedia. Sa chi era questo Virginio?

Alzo anch’io gli occhi verso la targa affissa su San Francesco per cercare una data, un nome di battesimo, ma niente, solo un nome: “Virginio”, appunto. Ammetto la mia ignoranza. L’uomo dall’aria severa mi porge la mano e si presenta:

V- Vincenzo Virginio. Cerea Madamin.

Non ha tempo di aspettare che mi riprenda da uno sbalordimento che liquida con un gesto stizzito della mano.

V- Siccome lì sopra non c’è scritto, glielo dico io. Sono nato proprio qui, a Cuneo, nel 1752 e sono morto povero in canna a Torino nel 1830. Ho dedicato tutta la vita e tutto il mio patrimonio a far capire ai piemontesi che le patate si potevano mangiare.

G- Quindi lei era un agronomo?

V- Ma nemmeno per sogno! Ero un avvocato e pure brillante. Mi sono laureato addirittura a vent’anni, solo che l’agricoltura è sempre stata il mio pallino.

G- Scusi, se ho capito bene, lei mi sta dicendo che all’inizio del 1800 i piemontesi non conoscevano le patate?

V- Per conoscerle le conoscevano, ma erano degli zucconi e le usavano come piante ornamentali e non volevano nemmeno sentir parlare di mangiarle. Erano tempi di carestia,la  gente moriva di fame, eppure continuavano a chiamarle le “radici del diavolo”. Ne avevano paura. Ignoranti! Lei non sa che cosa ho fatto per far capire loro che non solo non erano velenose e tantomeno maledette, ma erano buone e che avrebbero salvato il Piemonte dalla carestia.

G- No,non lo so. Che cosa ha fatto?

V- Di tutto. Ho persino fatto costruire delle preziose scatole in legno intarsiate che racchiudevano le patate, da offrire in dono alle signore torinesi, ho inventato ricette, le ho distribuite a mie spese sui mercati di Torino, Pinerolo e Cuneo.

G- Scusi, ma forse non ho capito bene. Ma la patata non è arrivata dall’America molto prima?

V- Certo. A metà del 1500, più o meno.

G- E dopo quasi trecento anni nessuno le mangiava? Niente purè, niente  patate fritte, gnocchi, ravioles e nemmeno i subrich?

V- Non capisco. Che cosa sono?

G- Come che cosa sono? Tutti sanno che cosa sono le patate fritte e gnocchi e ravioles li deve conoscere: sono due ricette  fondamentali della cucina piemontese e soprattutto cuneese. Sono a base di patate. E da quanto ho capito è tutto merito suo.

V - Non tutto, per la verità. Alla fine qualcuno che si fidasse di me l’ho trovato.  Il conte Luigi Mocchia di San Michele, per esempio. È stato il primo di Cuneo a pensare di destinare una parte dei suoi possedimenti alla coltura delle patate.

G- Quindi a conti fatti, tutto bene. Allora perché quella faccia scura? In fondo lei ha dedicato tutta la sua vita a questo progetto, ma il risultato è arrivato. Non è contento?

V- Insomma. È vero, il re mi ha concesso onorificenze e una pensione che, vista la mia situazione finanziaria, era anche meglio. Ho scritto un libro che ha avuto successo e mi chiamavano il Parmentier italiano e se lei mi dice che tutti usano le patate dovrei essere soddisfatto.

G- E invece?

V- E invece su quelle targhe non c’è nemmeno il mio nome. Capisce? Virginio….Virginio e basta. Ci credo che poi mi scambino per Virgilio. Nessuno sa chi sono e che cosa ho fatto. Proprio nessuno. Al posto mio non girerebbero un po’ anche a lei?

 

Fonti: Giovanni Cerutti Ritratti di cuneesi.  Primalpe edizioni

Domenico Sanino Mimì ed Ercole Oldofredi Tadini. L’artistica editrice            

Paola Gula