IL FILM
Unico titolo al Torino Film Festival “I figli della Notte” , è l’opera prima di Andrea De Sica, figlio trentacinquenne del compositore Manuel De Sica scomparso di recente (cui il film è dedicato) e nipote di Vittorio; girato in trenta giorni nella claustrale atmosfera del Grand Hotel Subbiaco, in Trentino Alto Adige, dopo quattro anni di faticosa incubazione, vede lo stesso Andrea alla regia e alla sceneggiatura (insieme a Mariano di Nardo e a Gloria Malatesta) ed anche alle musiche.
Candidato come Nastro d’argento al miglior regista e come Nastro d’argento alla migliore scenografia il film ha già incassato 37, 7 mila euro.
TRAMA
Dopo l’ennesima bravata il minorenne Giulio (Vincenzo Crea), rampollo di buona famiglia legato morbosamente a sua madre, viene da lei spedito in una sorta di collegio elitario sulle Alpi e lì, internet bloccato e mezzora di telefono al giorno, fra le nevi ed il liquido controllo degli educatori, fa amicizia con Edoardo, sorta di Lucignolo che lo aiuterà ad ambientarsi nella struttura sopravvivendo a solitudine e “nonnismo”.
Sarà proprio il carattere ribelle di Edoardo (un ottimo Ludovico Succio) a condurre i due ragazzi in uno Chalet-bordello in mezzo al bosco fra pittoreschi avventori ed altri studenti, dove Giulio s’innamorerà d’una stripteaser slava intrecciando con lei una liaison dangereuse dal (prevedibilmente) tragico epilogo.
Con una suspence degna d’un thriller ed un immaginario che rievoca l’horror d’autore tutti i nodi verranno al pettine culminando in un finale dalla morale sconvolgente. E nichilista.
LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE
Prendiamo in prestito questo titolo “gramsciano” per parlare d’un film che attraverso un’ottica inconsueta si occupa d’una questione di scottante attualità visto che secondo molti analisti l’Italia è un paese di “leoni governati da agnelli” (parafrasando un grande film di Robert Redford) e l’offerta formativa del collegio di De Sica, dietro un’acuta selettività e una disciplina marziale, nasconde un margine di libertà fasulla che allungando il guinzaglio ai propri figliocci consente loro un morso alla mela del peccato al solo scopo di raffinarne l’istinto predatorio e la rapacità decisionale.
Il concetto microeconomico “d’interdipendenza strategica” (se un esercizio abbassa i prezzi anche gli altri sono costretti a farlo) è alla base d’ogni oligopolio ma l’ammonimento da parte d’un educatore a non coltivare amicizie esclusive è invece il segno distintivo d’una leadership che non ha nulla di democratico o partecipativo. Imparare la lezione significa superare ogni scrupolo e servirsi del sistema coi suoi retorici contrappesi istituzionali per arrivare là dove il fine non solo giustifica i mezzi ma li moltiplica viralmente.
La prostituzione (reale o stilizzata) è parte di questa pedagogia del potere che include il vizio nel proprio corpus normativo facendo della ribellione non un istinto sanzionabile ma l’energia necessaria ad edificare una classe dirigente priva di morale che usi la cultura in modo strumentale ed espella da sé ogni senso di colpa.
UN CASTELLO (ANZI UN HOTEL) DI CITAZIONI
Se l’omaggio a “Shining” di Kubrik è palese, dalla pallina da tennis scagliata contro il muro ai corridoi percorsi lentamente ad altezza triciclo, altrettanto evidente è il richiamo al David Lynch di Twin Peaks e in particolare al “One-Eyed-Jack”: basterebbero questi due nomi, cui De Sica si è ispirato anche per i movimenti di macchina e la scansione degli spazi, a farci intuire quanto raffinato sia l’apprendistato del regista che dopo un incipit stile “I turbamenti del giovane Torless” fonde le atmosfere de “L’attimo fuggente” (P.Weir) e di “In memoria di me” (S.Costanzo) in un universo chiuso à la Thomas Mann, involontariamente (?) omaggiato dal Sorrentino di “Youth”, flirtando maliziosamente con l’isolamento accademico de “I fiumi di porpora”.
Le montagne rocciose dell’ “Overlook Hotel” s’incastrano con le Alpi de “La Montagna Incantata” e se qualcuno scomoda Bellocchio, in alcune inquadrature sembra invece di assistere alla sussurrante intrusività di “Suspiria” di Dario Argento.
ANDREA DE SICA
Classe 1981 Andrea De Sica ha la musica (e il cinema) nel sangue; sono stati mille e più i provini fatti per selezionare i due protagonisti dinoccolati come soggetti di Schiele e con uno stile recitativo funzionale al clima autoreferenziale del film. Il figlio di Manuel, che di questa pellicola in fase di lavorazione diceva:”è un oggetto strano”, ne ha anche firmato la colonna sonora fra musica classica, sintetizzatori alla “Drive” e tormentoni pop come “Ti sento” dei Matia Bazar o “Vivere” (nella versione di Pavarotti), già utilizzata dal nonno ne “Il giardino dei Finzi Contini”,ma il suo scopo era quello di radiografare l’adolescenza, “età indefinita, dove tutto è ancora possibile” in un contesto poco esplorato che forma, o dovrebbe formare “ragazzi normali, potenzialmente pericolosi, che domani potrebbero essere a capo della Società”.
Laureato in filosofia De Sica ha iniziato la sua carriera come assistente volontario alla regia in “The Dreamers” di Bertolucci e ne “I figli della notte” si è ispirato alla vicenda di alcuni suoi amici che a sedici anni sono stati mandati in collegio sperimentando “l’angoscia della solitudine” per trattare però anche l’universale tema del rapporto padri-figli e di come le decisioni dei primi ricadano sui secondi.
CONCLUSIONI
Favola post-moderna con un bordello legalizzato che somiglia “alla casetta di Hansel e Gretel”, “I figli della notte”, secondo lo stesso regista, “sposta i confini da uno storia di adolescenti a un film di genere” e per quanto ci sia qualche ingenuità nella sceneggiatura non ha la pletorica presunzione delle opere prime ma al contrario si distingue per una certa maturità che in termini cinematografici significa avere già una precisa idea di cinema a prescindere dal soggetto trattato.
Anche il titolo ammiccante, che poco c’entra con la pesante metafora socio-politica, la durata ragionevole e i dialoghi teatrali contribuiscono a fare di questo film un esordio che alleggerisce la pesante eredità d’un cognome che ha significato così tanto per la cultura italiana. E non solo.