Agricoltura - 05 agosto 2017, 14:34

#controcorrente: il grido di allarme lanciato dal presidente Asprofrut, Sacchetto, sul prezzo di vendita delle pesche che non copre i costi di produzione, è un ulteriore segnale di un settore in difficoltà

L'agricoltura per decenni è stata la “Cenerentola” dell’economia italiana a livello europeo. Con il ministro Martina e il viceministro cuneese, Olivero, si è avuto un cambiamento di rotta. Ma gli importi di acquisto di frutta e verdura vengono ancora decisi, senza possibilità di trattativa, dalla grande distribuzione e dall’industria che le trasforma

I contadini dei nostri giorni non sono più quelli di cinquant’anni fa e dei decenni prima, con i visi scavati dalla fatica e dal sudore di un lavoro portato avanti ancora quasi completamente a mano. La tecnologia, nella seconda parte del secolo scorso, ha compiuto passi da gigante, offrendo al mercato rurale macchine e attrezzature sempre più moderne e capaci di supportare lo svolgimento dell’attività in tempi ridotti e con minore sforzo fisico. Ma non solo.

Grazie all’impegno delle organizzazioni di categoria e di numerosi imprenditori del settore di nuova generazione si è avviato un radicale processo di cambiamento del mondo agricolo che privilegia la qualità rispetto alla quantità delle produzioni. Un percorso attraverso il quale si seguono disciplinari rigidissimi e vengono investite, ogni giorno, risorse, fantasia e creatività. Inoltre, si stanno promuovendo i prodotti con sistemi efficaci e innovativi.

Le fattorie hanno aperto le porte ai consumatori e, soprattutto, ai bambini, spiegando loro che il latte “si munge dalla mucca e non arriva dai contenitori del supermercato”. Alcuni risultati positivi sono stati raggiunti, ma il comparto continua a presentare difficoltà vistose. Ne è la prova il grido di allarme lanciato in questi giorni dal presidente dall’organizzazione Asprofrut di Lagnasco, Domenico Sacchetto, sul prezzo incassato da quanti producono pesche: 20 centesimi al chilogrammo contro i 30 centesimi necessari a coprire le spese dell’intero ciclo di coltivazione. A parte l’uva, il cui mercato viaggia ormai su lidi solidi e ben remunerati, è una situazione devastante “pagata” anche da molte altre colture di frutta e verdura.

Spesso tante produzioni non conviene neppure raccoglierle. Un controsenso. Se poi, a questo, si aggiungono i problemi dovuti alle malattie delle piante, i disastri provocati dai fenomeni meteorologici eccezionali o la confusione generata dalle denominazioni di origine, come è accaduto con la nocciola, tutti gli sforzi vengono resi inutili.

E’ pur vero che i prezzi di acquisto dei prodotti vengono decisi, senza possibilità di trattativa, dall’industria che li trasforma o dai maggiori gruppi della grande distribuzione i quali poi vendono la frutta e la verdura nelle loro strutture a importi superiori di 8-10 volte. Però è anche vero che, nei decenni passati, c’è stata da parte dei governi italiani, alternatisi alla guida del Paese, la totale assenza di una “seria” politica agricola a livello nazionale, succubi di scelte europee per noi sempre penalizzanti. La nostra agricoltura è diventata la “Cenerentola” economica dell’Unione.

E questo non ha aiutato. Con il ministro, Maurizio Martina, e il viceministro cuneese, Andrea Olivero, si è avuta un’inversione di rotta, ma di strada ne rimane ancora parecchia da fare. Come la semplificazione del pagamento dei contributi diretti della Pac o degli iter per accedere ai finanziamenti del Programma di Sviluppo Rurale. Ma anche attivando un percorso di mediazione sui prezzi senza lasciare questi ultimi totalmente in mano al mercato libero e selvaggio. L’attività agricola è sempre stata e continua ad essere una colonna portante dell’economia italiana. Le istituzioni, compatte, devono seguirla attentamente, perché non accompagnarne il cammino nei diversi settori di produzione, o peggio ancora, abbandonarla a se stessa, rappresenterebbe un suicidio.