IL FILM
È tratto da “Una questione privata”, romanzo di Beppe Fenoglio pubblicato postumo nel 1963, il diciannovesimo film dei fratelli Taviani che stavolta vede solo Paolo alla regia per i problemi fisici di Vittorio che ha collaborato però alla sceneggiatura; curatissima la fotografia di Simone Zampagni e perfette le scenografie di Emita Frigato mentre le musiche sono di Giuliano Taviani (figlio di Vittorio) e Carmelo Travia ed i costumi di Lina Nerli Taviani (moglie di Paolo).
Presentato a Toronto l’8 settembre 2017 (mai data fu più pertinente) e poi al Festival del Cinema di Roma “Una questione privata” è coprodotto da Ermanno Olmi e dalla figlia Elisabetta anche se il regista de “Il villaggio di cartone” ha un altro modo di rappresentare la guerra (basta guardare le trincee d’alta quota in “Torneranno i prati”).
Magistrale Luca Marinelli nel ruolo di Milton mentre Valentina Bellè (Fulvia) e Lorenzo Richelmy (Giorgio) appartengono, come il resto del cast, ad una sorta di corale stasimo che scandisce il dramma personale del protagonista.
TRAMA
Le note di “Over the rainbow” (la canzone preferita di Fenoglio) accompagnano i pomeriggi di Milton, Fulvia e Giorgio in quell’estate del 43 che precede la fase finale del conflitto e quando proprio Milton tornerà nella stessa casa vestendo gli scomodi panni del partigiano e incontrerà la vecchia governante questa insinuerà un dubbio dentro di lui che si trasformerà presto in gelosia.
Solo l’amico Giorgio, partigiano a sua volta, può sollevarlo dal dolore esistenziale che lo affligge ma proprio quando egli si precipita a cercarlo scopre che è stato rapito dai fascisti e che solo uno scambio di ostaggi può salvarlo.
Milton riesce a catturare “uno scarafaggio” ma poco prima di operare lo scambio questi tenta la fuga ed egli lo uccide istintivamente poi disperandosi per la mancata occasione. Eppure, roso da una malattia mortale che riesce persino ad appannare la paura della morte, l’alter ego fenogliano affronterà un intero reparto di nemici pur di ritrovare il suo amico e dare pace a un tormento ineludibile che lo spingerà a correre a perdifiato nelle Langhe inseguito dai miagolii dei proiettili.
LANGHE TEMPESTOSE
“Cime Tempestose” è il romanzo di cui parlano Milton e Fulvia nell’apertura del film e il romanticismo incestuoso della Bronte sembra trasferirsi negli occhi inquieti d’un Marinelli innamorato ma anche strozzato dalla timidezza che guarda con cameratesca invidia la bellezza poco letteraria dell’amico Giorgio capace di arrampicarsi sugli alberi e danzare con l’inconsapevole oggetto d’un triangolo amoroso laddove lui è solo in grado d’insegnarle l’inglese e scriverle struggenti lettere (“Fulvia, splendore…”).
La brughiera inglese delle sorelle Bronte si trasforma nelle Langhe di Fenoglio e Pavese, terra magica invasa da una nebbia scenica che nasconde amici e nemici, inghiottendo i riferimenti storico-geografici e rappresentando quella che Calvino definì: “ la guerra vista di scorcio”.
È proprio la nebbia la vera protagonista di questa pellicola che assume su di sé l’incorporeo peso d’una gelosia in grado di far emergere una questione così privata da ridurre la guerra ad uno sterile inseguimento fra fantasmi. Ma quella dei fratelli Taviani non è una trovata intellettuale fine a se stessa perché in alcune parti della storia, come nel silenzioso abbraccio di Milton ai genitori sotto i portici battuti dal vento o nella scena della bimba che dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua si riadagia fra i famigliari fucilati dai fascisti, emerge tutta la spinta morale di narrare ciò che è accaduto (come hanno già fatto ne “La notte di San Lorenzo”).
I…TAVIANI BRAVA GENTE
“In una lunga corsa ossessiva un dramma tutto personale […] perché nei giorni atroci della guerra civile il destino di ciascuno deve confondersi con il destino di tutti”, queste le parole di Paolo Taviani che ben si sposano con ciò che Calvino disse del libro di Fenoglio (“follia amorosa come l’Orlando Furioso”).
In fin dei conti la folle corsa di Marinelli/Milton è l’estroflettersi della tragedia individuale dalla massa scultorea della tragedia storica e il suo essere continuamente risospinto nella casa della quiete e della pace, delle interminabili ore non dell’amore ma dell’innamoramento, è il dramma d’una generazione che ha dovuto compiere la scelta fatale che a noi è stata risparmiata: fascismo o antifascismo?
Fulvia, indolente e capricciosa come la Micol del Giardino dei Finzi Contini, che arrotola sigarette di rosa e si fa correggere la pronuncia inglese è l’amore adolescenziale mai raggiunto e quindi cristallizzato nella teca delle cose da difendere, molto più tangibile di macro-concetti quali patria o nazione eppure è proprio l’esasperato individualismo di questa vicenda che dimostra quanto ogni conflitto sia la sommatoria di innumerevoli questioni private e non la fredda risultante di odi razziali o irredentismi nazionali.
L’ambientazione sfocata e i personaggi minori appena abbozzati, i dialoghi teatrali e la Storia che sfiora la storia come un transatlantico una scialuppa sono il tentativo da parte dei due registi, non nuovi alla rivisitazione dei classici, di mettere in scena pulsioni più umane dell’umano “tradendo” (come ha detto in conferenza-stampa Paolo) il libro di riferimento.
L’esperimento riesce solo in parte perché tranne Marinelli la cifra recitativa non è esaltante e in un film d’astrazione (più che di sottrazione) gli attori dovrebbero al contrario fare la differenza; in più l’adozione d’un italiano neutro che ricorda un po’ quello “da esportazione” rimproverato a Moravia sacrifica la potenza localista della lingua di Fenoglio sull’altare d’un’universalità che rischia di diventare anonimato.
“I’M ON THE WRONG SECTOR OF THE RIGHT SIDE”
Antifascista ma non comunista, studioso di letteratura anglosassone e fortemente radicato nella sua provincia in un periodo in cui comunista e antifascista erano sinonimi e l’esterofilia un peccato imperdonabile, Beppe Fenoglio era “dalla parte sbagliata della parte giusta” e al di là dell’esperienza di partigiano, che lo segnò al punto di volerlo ricordare sulla propria lapide, la rivolta di Milton-Beppe-Johnny fu soprattutto nel linguaggio.
L’ibridazione italiano-inglese del capolavoro “Il partigiano Johnny” e il dialogismo duramente spremuto dalle Langhe de “Una questione privata” furono una ribellione stilistica a un fascismo sconfitto politicamente ma non culturalmente che rifiutava le lingue straniere e voleva distruggere i dialetti in funzione d’un italiano “puro” che finiva col diventare macchiettistico (v. “Fascisti su Marte”).
La rivolta di Fenoglio fu anche quella delle poesie in friulano di Pasolini (“La meglio gioventù”) e in entrambi vibra(va) un amore per “l’umile Italia” tanto autentico quant’era posticcio e livellante quello del Fascismo.
CONCLUSIONI
Paolo Taviani ha più volte ripetuto il valore antinegazionista di questo film e la sua urgenza di trasmettere ciò che è stato alle nuove generazioni e in tal senso “Una questione privata” assume un deciso valore pedagogico. Eppure proprio questo nobile proposito toglie qualcosa sul piano artistico alla pellicola che coi suoi continui flashback e gli attori che annunciano ciò che stanno per fare non ha poi molto d’innovativo e rischia di non uscire dalla cornice di semplice testimonianza d’autore.