- 26 novembre 2017, 06:30

Borg McEnroe, il “rovescio” del mito

È una produzione ugrofinnica il biopic che racconta la storica sfida fra i tennisti Borg e McEnroe, per la regia del semiesordiente Janus Metz Pedersen

FILM

È una produzione ugrofinnica il biopic che racconta la storica sfida fra i tennisti Borg e McEnroe, per la regia del semiesordiente Janus Metz Pedersen, con la sceneggiatura di Ronnie Sandhal, le musiche (curatissime) di Vladislav Delay e Jonas Struck ed il montaggio, fondamentale in questi tipi di pellicola, di Perk Kirkegaard con Per Sandholt. Un po’ piatta la fotografia di Niels Thastum mentre ai costumi Kicki Ilander restituisce tutto il feticismo del tennis commerciale che proprio la figura di Borg (in)volontariamente inaugurò.

Proprio nei panni del campione svedese è Sverrir Gudnason (svedese anche lui ma di origini islandesi), al suo fianco Tuva Novotny, che interpreta il ruolo dell’ex-tennista rumena e futura moglie di Borg Mariana Simionescu, mentre Shia Labeouf è un riccioluto e irascibile McEnroe.

Notevole come sempre Stellar Skarsgard (il papà del nuovo It) nella parte di Lennart Bergeline, l’ex capitano svedese di Davis che divenne allenatore e padre putativo del giovane fenomeno a partire dalla sua prima vittoria a 15 anni.

Presentato a Toronto, in Italia il film è stato distribuito dalla Lucky Red e proiettato alla Festa del Cinema di Roma.

 

TRAMA

Usando la finale  di Wimbledon del 1980 come spunto narrativo, il film si snoda attraverso una serie di flashback nell’infanzia dei due campioni, anche se la parte relativa a Borg è notevolmente più lunga (difatti in Svezia il titolo originale della pellicola è semplicemente “Borg”) non solo per un ovvio campanilismo di produzione ma anche per dare maggior spessore a un personaggio a volte troppo frettolosamente liquidato come “uomo di ghiaccio”.

Da una parte “Iceborg” quindi come fu definito ai tempi, il martello pneumatico abile da fondocampo e incapace di mostrare emozioni, dall’altra “superbrat” McEnroe, il monello punk d’origini irlandesi sempre pronto ad attaccare briga col pubblico o col giudice di sedia, definito “la lama” per il suo gioco d’attacco, veloce e aggressivo.

Non dirò l’esito della finale non per evitare lo spoiler, visto che si tratta cronaca sportiva, ma perché, nonostante tale match sia stato considerato uno dei più belli della storia del tennis, è del tutto marginale rispetto all’obiettivo del regista che ha invece voluto mostrare quanto di Borg ci fosse in McEnroe. E viceversa.

 

“LA NASCITA DELLA TRAGEDIA” SU UN CAMPO DA TENNIS

Quando nel 1872 Nietszche  scrisse uno dei suoi libri più importanti non poteva sapere che le sue intuizioni sarebbero state confermate su un campo da tennis poco più d’un secolo dopo.

Secondo il pensatore tedesco che ha rivoluzionato la filosofia occidentale, la tragedia attica (quella di Sofocle ed Eschilo) era la sintesi fra l’elemento apollineo (da Apollo, dio della luce e della razionalità) che costituiva l’armonia dell’epica e l’elemento dionisiaco (da Dioniso, dio dell’ebbrezza) che costituiva il caos musicale del lirismo.

La sua analisi è diventata una metafora antropologica universale così possiamo dire (semplificando parecchio) che in ogni uomo convivono il dionisiaco e l’apollineo e la loro sintesi, che in Nietszche celebrava il superuomo tragico, è un gioco d’equilibri lungo una vita.

Da una parte Borg quindi, l’armonia plastica e la razionalità, dall’altra McEnroe, la furia dionisiaca; attorno e nell’etere, migliaia se non milioni di spettatori come per il teatro della Grecia antica.

Eppure nel ripercorrere l’infanzia del mito svedese Janus Metz evidenzia proprio il suo istinto di ribellione (pensare che il famoso rovescio bimane, il primo nella storia, derivava dall’impugnatura a martello della mazza da hockey, altro sport in cui Borg eccelleva) non dissimile dagli eccessi di McEnroe che invece da ragazzo adorava il futuro antagonista al punto di vestirsi come lui.

Mentre fissa la registrazione d’un match di John, Bjorn è ammirato dalla capacità del nemico di restare lucido mentre sproloquia e proprio in finale lo stesso McEnroe terrà un inedito comportamento esemplare senza contestare niente a nessuno.

Diverranno amici i due e, come nell’altra pellicola cui il film, direttamente o indirettamente, si ispira (e cioè “Rush” di Ron Howard), l’antagonismo sportivo fra due modi apparentemente antitetici d’intendere la competizione rivela in realtà la coesistenza fra dionisiaco e apollineo.

Borg e McEnroe non sono rivali ma le opposte facce della medaglia del mito.

Come Niki Lauda e James Hunt. O Achille e Ulisse, verrebbe da aggiungere.

 

BORG “COBAIN”

L’avvento e la consacrazione di McEnroe segnano, come avrà a confermare anni dopo lo stesso Borg, l’inizio d’una parabola discendente che lo porterà a ritirarsi prematuramente a soli 26 anni. Con undici titoli del grande slam vinti (5 volte Wimbledon, consecutivamente) diverrà una leggenda e il suo aspetto angelico unito alla pressione mediatica senza precedenti, ricordano un’altra leggenda (del rock stavolta) che non riuscì a resistere all’insostenibile peso del successo: Kurt Cobain.

Il leader dei Nirvana si tolse la vita nel 1994 entrando a far parte del famigerato club dei 27 anni (Hendrix, Morrison, Joplin eccetera) e il mito della sua giovinezza continua a brillare inesausto forse proprio per la tragicità della sua fine. Anche Borg tentò il suicidio anni dopo il ritiro ed ebbe una lunga serie di vicissitudini  che non ha senso esporre qui ma uno dei pregi più importanti di “Borg McEnroe” sta proprio nell’evidenziare la solitudine del fuoriclasse svedese e il peso dell’essere il numero uno del mondo.

Nei suoi occhi cerulei e nelle espressioni smarrite, nella fuga dai (e dalle) fan ma anche nell’adorazione incondizionata del personaggio, che spesso riduce la persona a una sua semplice appendice, rivediamo l’angoscia dell’angelo Cobain.

Anche se lui era mancino come McEnroe.

 

POLVERE DI STELLAR

Stellar Skarsgard è Lennart Bergelin, allenatore personale di Borg ed ex-professionista di tennis; la difficoltà di questo ruolo sta tutta nella capacità, da parte dell’attore, di mettere in luce  l’eminenza grigia del suo personaggio senza mai brillare. Ed è un po’ questa la cifra dell’interprete svedese, feticcio di Lars Von Trier e presente in tantissime produzioni (anche televisive), da blockbuster come “Uomini che odiano le donne” o “Angeli e Demoni” fino a pellicole cult come “Will Hunting”.

Attore non protagonista che diviene protagonista lavorando sui segmenti oscuri della trama senza mai essere un “minore” né scadere nella facile autoghettizzazione del caratterista, Stellar merita una menzione particolare per questa sua gregaria (e quasi letteraria) capacità di eccellere.

 

CONCLUSIONI

“Borg McEnroe” è un film che riesce a coniugare la cronaca sportiva d’un evento concitato come la finale di Wimbledon col percorso personale di due tennisti mai così vicini come da avversari. I movimenti di camera durante gli scambi e la cura del suono sono eccellenti, gli attori funzionano e i flashback sono ben dosati, a volte si corre il rischio della ricostruzione postuma degli eventi alla luce degli sviluppi successivi ma questo piccolo neo d’ingenuità registica non toglie nulla a un film originale e ben scritto.

Se gli appassionati di tennis vorranno rivedano su youtube le partite di questi due campioni dopo il match dell’80 e si renderanno conto che, fedeli alla massima di Picasso per cui “un bravo artista copia e un grande artista ruba”, essi ruberanno l’uno il modo di giocare dell’altro modificando sensibilmente il proprio bagaglio tecnico. Ed emotivo.

 

Germano Innocenti