Sulla strada che da Cuneo conduce a Fossano, a un paio di chilometri dal centro abitato della Città degli Acaja, ci sono due cartelli con la scritta “Pomodori per conserva. Frutta e verdura fresca” che indicano lo storico viale di platani lungo 150 metri. Al termine del percorso sterrato, al numero 45, si trova l’azienda agricola di Emanuele Bressi, per tutti Lele, 35 anni, diploma di tecnico Agrario e laurea da Educatore Professionale. E’ sposato con Veronica, nata nel 1987. Hanno tre bimbe: Sofia, Letizia e Beatrice di 6, 4 e 2 anni. La moglie, però, ha un’altra occupazione.
Lele coltiva dieci giornate di terreno, delle quali tre occupate dalle sette serre di pomodori “Cuore di bue” e le restanti dalle zucche. Ad aiutarlo, a livello famigliare, c’è papà Franco di 67 anni, mentre mamma Liliana del 1955 ha sempre svolto altri lavori.
Inoltre, a seconda del periodo e delle necessità, si aggiungono 4-5 dipendenti stagionali (marzo-ottobre) di cui almeno due, in tirocinio, con storie di vite difficili alle spalle. “Ci tengo particolarmente - sottolinea Lele - a questo aspetto di inserimento nell’attività delle persone svantaggiate, che porto avanti in collaborazione con vari Enti, Associazioni e Caritas. Perché, proprio per il loro vissuto problematico, hanno bisogno di essere reinseriti nel circuito del lavoro e in quello sociale”.
Quindi, l’azienda sviluppa anche un’importante funzione nella comunità? “E’ la parte che dà un valore aggiunto al mio mestiere. Infatti, non c’è solo la bellezza di produrre e far parte del mondo rurale che mi appartiene da sempre, ma il poter aprire le porte a quanti hanno avuto una strada in salita. L’agricoltura può abbracciare queste persone perché ha una gamma di attività molto variegate a livello di impegno. Quindi, in base alle caratteristiche di ognuno c’è la possibilità di inserirlo nel posto giusto. Il lavoro nei campi, però, è molto duro. Di conseguenza, ci si fa le ossa. Tutto ciò, per loro rappresenta un aiuto che consente un più facile percorso occupazionale successivo”.
UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO
L’azienda ha sede nella struttura nobile di Villa Cambursana, i cui primi documenti risalgono a metà del 1800. All’inizio del 1900 lo Stato ne acquista una buona “tranche” per costruire la caserma “Perotti” che si trova nelle vicinanze della cascina.
I bisnonni di Lele lavorano, come mezzadri, la parte di terreno rimasta disponibile. Poi, nel 1967, i nonni, Giovanni e Lucia, riescono ad acquistarne 40 giornate. “Mio padre - racconta Franco - si confidava sempre dicendo che non aveva dormito parecchie notti a causa dei debiti contratti. Con mia madre ha fatto tanti sacrifici per pagarli”. Lui, però, è pronto ad aiutarli fin da subito.
Nel 1994 Giovanni se ne va nei cieli dell’infinito. Franco prosegue la conduzione dell’azienda che produce cereali: soprattutto grano, mais e soia. Poi, a partire dai primi Anni Duemila, dopo le divisioni dei terreni, rimane da solo a gestire le 10 giornate della cascina e la parte abitativa avuta in eredità dai genitori. Nel tempo libero gli danno una mano i figli Chiara e Stefano che, in seguito, scelgono altre strade. Il più convinto del mestiere è Lele, anche se, allora, si occupa di altri lavori e continua a impegnarsi in cascina solo quando può.
Franco ha una passione: coltivare l’orto. E capisce che produrre unicamente cereali non è più sostenibile dal punto di vista economico. Perciò, siamo nel 2006, con il sostegno sempre più sostanzioso di Lele, costruisce le prime due serre in cui pianta i pomodori. Alle quali ne segue una terza.
Nel 2012 Lele e Veronica si sposano, ma come regalo di nozze chiedono le risorse necessarie a realizzare un altro impianto coperto. “E’ stata una grande soddisfazione - dice Lele - perché abbiamo portato il nostro primo contributo concreto all’azienda”.
Intanto, papà Franco mette in campo la quinta struttura. Poi, nel 2015 arrivano le ultime due. Il 2016 è l’anno della svolta. Lele diventa titolare dell’attività il 21 giugno. “Sono la terza generazione di famiglia - spiega - che gestisce l’attività. E per dimostrarlo abbiamo anche uno strumento concreto, il timbro fiscale, sempre rimasto lo stesso: da piccolo lo vedevo usare da mio nonno; poi è passato a mio padre e dopo a me. C’è solo stato il cambio del nome”.
IL PERCHE’ DELLA SCELTA
Papà Franco: “Ho costantemente aiutato i genitori e coltivato questi campi. Mi è sempre piaciuto il mestiere di agricoltore. E quando hai la passione per una cosa nulla ti può fermare: neanche i temporali di questi anni che, a volte, destano proprio preoccupazione”.
Contento della decisione di suo figlio? “Certamente, tanto. Al punto che ancora adesso a volte gli chiedo se è davvero convinto della scelta effettuata. Quasi non ci credo”.
Lele: “La decisione di tornare qua l’ha dettata soprattutto il mio allontanarmi dall’azienda. E’ vero che ho sempre aiutato mio padre. Però, a un certo punto, terminata la Scuola Agraria, non me la sono sentita di proseguire subito l’attività. Ho preferito andare fuori casa. Anche viaggiando. Sono stato un anno in Sudamerica e ho vissuto un’avventura bellissima e arricchente a livello umano. Inoltre, ho lavorato in diverse strutture imprenditoriali della provincia di Cuneo. Grazie a questo mi sono creato un bagaglio di rilevanti esperienze”.
Dopo cosa è successo? “E’ stata mia moglie, quando eravamo ancora fidanzati, a dirmi: “Lele da come ti comporti, dalle parole dei nostri discorsi, da quanto traspira dalla tua pelle, prima o poi torni da dove sei partito. Puoi girare il mondo, ma il tuo vero desiderio è lavorare nell’azienda di tuo padre”. Aveva ragione. E, adesso, sono contento della scelta”.
Cosa le ha insegnato papà Franco? “La passione per tutto ciò che fai. Non ha importanza se piove, se la temperatura è fredda, se il sole ti scotta: quando devi andare nei campi ci devi andare comunque. Mettendoci anche il tuo modo di essere. E poi i risultati arrivano”.
LA PRODUZIONE AZIENDALE
Nelle sette serre, irrigate tutte a goccia, per una copertura totale di due giornate (una giornata serve per i passaggi da una all’altra), Lele produce i pomodori “Cuore di bue”: il fiore all’occhiello dell’attività. “E’ un coltura - sostiene - dal sapore straordinario. E poi comunque, pur coltivandola in tutta Italia, ogni terreno le fa acquisire delle caratteristiche particolari. La nostra è dolce e piacevole da assaporare”. Una serra è riscaldata, per anticipare il periodo della produzione. La prima raccolta avviene a metà maggio. Quindi, si prosegue fino metà ottobre. Nel resto dei campi prevale la coltivazione delle zucche “Delica”.
LA VENDITA ALL’ORTOFRUIT, QUELLA DIRETTA E LA TRASFORMAZIONE DEI POMODORI IN CONSERVA
L’80% dei pomodori e tutte le zucche vengono ritirate dalla Cooperativa Ortofruit Italia di Saluzzo. Però Lele inizia anche un altro percorso, con la vendita diretta in azienda e ad alcuni negozi del Piemonte del “Cuore di bue”. Il 15% della coltura. “La scelta - afferma - è stata una conseguenza della richiesta della Cooperativa di avere prodotti il più possibile della stessa taglia come vuole la Grande Distribuzione alla quale l’Ortofruit smercia i pomodori. Infatti, quelli troppo grandi o troppi piccoli o di forma strana non vengono esposti sui banconi. Allora ci siamo chiesti: perché dobbiamo buttarli? E’ anche una questione di rispetto per il cibo prodotto. Così abbiamo deciso di valorizzarli proponendoli al consumatore in cascina”.
Il pomodoro, di solito, viene venduto appena raccolto. Quindi, con un gusto di qualità superiore. Quando non è possibile viene immagazzinato nell'antica stalla che, avendo muri molto spessi, è fresca e ne garantisce la conservazione in modo naturale. Così mantiene il sapore di quando viene staccato dalla pianta.
Il restante 5% del “Cuore di bue” è destinato alla trasformazione in conserva, che porta il nome “Tumatì” ripreso dal piemontese “tumatica”. Le confezioni sono da 1700, 580 e 390 grammi. Anche questa produzione è venduta direttamente ai consumatori e ai negozi.
Lele: “La trasformazione è stato il passaggio successivo alla vendita diretta. Chi veniva in azienda ci chiedeva se preparavamo la conserva. Allora mia moglie ha iniziato quasi per gioco a realizzarne delle piccole quantità. L’abbiamo fatta assaggiare agli amici e veniva apprezzata. Così abbiamo deciso che poteva essere un’altra strada da percorrere per valorizzare ulteriormente il pomodoro. La produzione, al momento, ce la cura una ditta esterna. Da alcune centinaia di vasetti confezionati nel 2016 siamo passati a qualche migliaia del 2018. Un buon risultato”.
Due percorsi che hanno portato un altro valore aggiunto? “Certamente. Siamo molto soddisfatti del tipo di smercio in quanto stai direttamente a contatto con i consumatori che, con il tempo, diventano degli amici. Spesso ti raccontano le loro storie. E noi li ascoltiamo. Perché il rapporto tra le persone conta molto”.
Per chi vuole comprare i prodotti, Lele e Franco consigliano di telefonare prima al numero 328 3365310 o scrivere alla mai info@agricolturabressi.it
Inoltre, avendo avuto molte richieste, per le Feste di fine anno hanno in progetto di realizzare delle confezioni natalizie con i vasetti di “Tumatì”.
LA GARANZIA DELLA QUALITA’ E DELLA SICUREZZA ALIMENTARE
L’azienda, seguita dai tecnici della Coldiretti, utilizza il disciplinare della coltivazione integrata.
Lele: “Non siamo certificati biologici, ma del bio impieghiamo molto metodi. Come la concimazione dei terreni solo con sostanza organica, i bombi per l’impollinazione, il lancio degli insetti antagonisti e la “confusione sessuale” per combattere i parassiti, l’irrigazione a goccia per il risparmio di acqua. L’erba la tagliamo con il decespugliatore. Impieghiamo il chimico in rare occasioni e solo quando è strettamente necessario. Altrimenti sono tutti processi naturali. Bisogna lavorare bene ed essere sempre onesti nel proprio mestiere. E al biologico ci arriveremo pur senza certificazione. Inoltre, l’energia prodotta attraverso l’impianto fotovoltaico ci rende autosufficienti a livello di azienda e di struttura abitativa”.
La scelta di utilizzare le serre? “Va nell’ottica della qualità. Se coltivi il prodotto al coperto lo salvi dai fenomeni meteorologici devastanti. Inoltre, si sta scoprendo che in serra i pomodori non ingialliscono e non si spaccano sulla superficie esterna. Infine, si riesce a creare l’ambiente migliore per la loro crescita controllandone le caratteristiche. Durante l’inverno alziamo i teli per dare modo al terreno di ossigenarsi”.
Quali controlli vengono effettuati? “Facciamo parte del circuito GlobalGap che rilascia la certificazione richiesta dalla Grande Distribuzione. Quindi, i controlli sono severi e costanti. Questa parte è molto importante per l’azienda in quanto ti fa capire se hai commesso eventuali sbagli e, di conseguenza, ti aiuta a migliorare le produzioni successive”.
LE PROSPETTIVE FUTURE
Lele: “Con la famiglia verremo a breve ad abitare qua. Una scelta consapevole, che stiamo facendo con il tempo e dopo un periodo in cui vivevamo lontano dall’azienda. Siamo cresciuti come famiglia e abbiamo capito che ora i tempi sono maturi. Un percorso che si avvicina un poco al mio del tornare a lavorare con papà, ma dopo un periodo trascorso fuori. Le altre prospettive sono tecniche. Innanzitutto, ampliare la vendita diretta e di trasformazione anche all’estero. Per iniziare abbiamo un discorso imbastito con delle persone che lavorano in Lussemburgo e stanno creando dei Gruppi di Acquisto della conserva. Poi, valorizzare ancora di più la nostra coltura. Inoltre, insieme agli amici - i fratelli Airaldi - stiamo progettando un sistema automatico di apertura delle serre per il controllo della temperatura interna. Quando entrerà in funzione riusciremo a ottenere sempre le migliori condizioni per i pomodori”.
LE SODDISFAZIONI
“Sono tante - precisa Lele - ma tutte da costruire giorno dopo giorno. Quando consegni il cassone o la cassetta con dentro i pomodori, riesci ad assaporare la bellezza della fine di un percorso. A quel punto vuol dire che hai prodotto, raccolto e venduto la tua coltura curandola dall’inizio alla fine. Non sempre con altri lavori succede, soprattutto quelli in ufficio. Poi, comunque, quando arrivano le persone contente di comprare il tuo “Cuore di bue” e, dopo, ti dicono che era proprio buono ti lascia un gioia immensa nel cuore. Vuol dire che stai lavorando bene. Adesso, ogni tanto, in giro mi chiamano Mister “Tumatì”. Questo significa che, giorno dopo giorno, stai seminando e lasciando un segno. Con la soddisfazione di aver dato un volto nuovo all’azienda”.
I PROBLEMI
Lele: “Quello maggiore è il tanto tempo che il lavoro toglie alla famiglia: 10-12 ore al giorno. E’ la questione che mi pesa di più. C’è poi il forte oscillamento dei mercati e quindi dei prezzi di vendita. Allora devi cercare di valorizzare nel modo maggiore possibile il prodotto. Inoltre, dalle Istituzioni servirebbe l’aiuto vero di cui hanno i bisogno i giovani imprenditori agricoli. Ad esempio nei Programmi di Sviluppo Rurale ci sono troppi paletti. E dovrebbero darci una mano nella promozione creando delle strade preferenziali e aiutandoci a costruire delle filiere forti dal produttore al consumatore. Senza dimenticare la formazione: chi fa il nostro mestiere ha la necessità di continui aggiornamenti per essere sempre al passo con i tempi”.
PERCHE’ COMPRARE I PRODOTTI DELL’AZIENDA?
“Sono buoni due volte - conclude Lele - perché dietro alla cura delle produzioni e alla loro raccolta ci sono le mani dei dipendenti con problemi sociali e la passione straordinaria di una famiglia impegnata a portare avanti una piccola realtà”.
Dice Lele al termine della chiacchierata: “Abbiamo deciso di non sistemare un cancello per chiudere l’azienda, ma i valori e gli ideali che abbiamo scelto di portare avanti ci hanno fatto propendere per tenere sempre aperte le porte alle persone che arrivano”.
Un gesto che ben si sposa con le storie dell’attività e di Lele: aperte al mondo. Essere agricoltore vuol dire anche avere nel proprio dna la cultura del condividere e dello stare insieme. E Lele e Franco lo hanno messo in pratica da sempre.