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Attualità | 28 settembre 2019, 10:27

Con Ernesto Marocco se ne va l’ultimo dei tanti partigiani mantesi

Una pezzo di storia, un ricordo con la lente di ingrandimento sulla figura e vita politica di Ernesto Marocco da parte del professor Livio Berardo, già presidente dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo e Provincia

Da sinistra Ernesto Marocco, Ernesto Marocco prima di partire per il fronte siciliano, Marocco con i compagni della Matteotti alla sfilata del 6 maggio 1945 a Cuneo

Da sinistra Ernesto Marocco, Ernesto Marocco prima di partire per il fronte siciliano, Marocco con i compagni della Matteotti alla sfilata del 6 maggio 1945 a Cuneo

Un approfondito ricordo con la storia politica di Ernesto Marocco, deceduto una decina di giorni fa,  il cui funerale è stato celebrato giovedì 19 settembre nella parrocchia di Manta.

Aveva 96 anni, quasi 97 era l’ultimo partigiano di Manta. Scrive Livio Berardo, storico, già presidente dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo e Provincia, raccontando della sua vita.

"A Manta era nato il 30 settembre del 1922 nella casa annessa al mulino che il padre Battista possedeva e gestiva lungo la strada statale. Poiché Battista non aveva voluto prendere la tessera del Partito fascista, negli anni ’40 il prefetto aveva ordinato la chiusura dell’azienda.

Chiamato alle armi, Ernesto, previo addestramento alla Cecchignola, viene mandato con il 22° fanteria in Sicilia ad arginare lo sbarco alleato del 9 luglio 1943. Ma la 6 a armata del generale Guzzoni e le due divisioni tedesche nulla possono contro il superiore armamento degli angloamericani: il 17 agosto la Sicilia è persa. Più di 100 mila soldati italiani sono fatti prigionieri, 4.678 sono i morti, 36.072 i dispersi.

Marocco è nella compagnia Comando. Vede cadere molti commilitoni, ma è fra quelli che riescono a traghettare in Calabria. Nel frattempo il regime fascista è crollato e il nuovo primo ministro Badoglio ha iniziato trattative segrete per uscire dal conflitto.

Raggiunto un accordo di armistizio, il governo italiano ne rinvia di giorno in giorno la pubblicazione, finché alle 18,30 dell’8 settembre la BBC, rompendo gli indugi, ne dà l’annuncio. Alle 19,30 alla radio la voce di Badoglio registrata su un disco conferma la notizia, ma non dà disposizioni chiare e univoche. Senza ordini, mal dirette dagli ufficiali superiori, convinte che la pace sia arrivata, le truppe si sfaldano.

Marocco, aggregato al 34° reparto della Guardia territoriale dopo il rientro in Piemonte, è sorpreso dall’evento in bassa valle Varaita, dove è in servizio. Fra l’11 e il 12 settembre manipoli di SS entrano in provincia e catturano gli uomini dei presidi e gli sbandati della 4 a armata per avviarli verso i Lager. Ernesto non si fa prendere. L’esempio del cugino Modesto Rabbia, maggiore di età e di esperienza militare (è sergente maggiore del 6° reggimento lancieri) lo porta fra i garibaldini. A casa non può ritornare.

Infatti l’ufficio della Militärkommandantur 1020 (Amministrazione militare germanica di Cuneo), insediatosi a Saluzzo, ha fatto riaprire il mulino, per macinare il grano da destinare alle truppe tedesche e agli “assistiti alimentarmente”, cioè ai possessori di tessere annonarie. Inoltre sfrutta la forza motrice del bedale per far girare un tornio con un’officina in cui si riparano fucili e pezzi di ricambio per automezzi.

Un capitano e tre soldati della Wermacht si stabiliscono nel mulino: i militi dormono nell’officina, mentre l’ufficiale occupa una camera nella vicina casa Trucco, l’elegante villa liberty abbattuta in tempi recenti per fare posto a un palazzaccio.

Quando il 13 luglio 1944 Rabbia (Scugnizzo) scende con Bob (Andrea Matteoda), Lupo (Emerito Salza) e Nino (Sebastiano Dentis) alle carceri giudiziarie di Saluzzo (collocate nell'antico palazzo comunale), per liberare il calzolaio antifascista Mario Secondini e la sua famiglia, Marocco prepara sulla collina mantese la base dove la squadra garibaldina possa pernottare.

Il 20 novembre 1944 dalla zona di Montà-Canale d’Alba arriva sulle colline fra Verzuolo e Manta una ventina di uomini armati. Sono partigiani matteottini della  “Fratelli Ambrogio”.  La direzione regionale del Partito socialista ha deciso di costituire una nuova brigata, la 13a, intitolata al martire dell’antifascismo saluzzese Liderico Vineis.

Nel terribile inverno ’43-’44, a causa del clima rigido e soprattutto della smobilitazione indotta dal proclama del maresciallo Alexander, molti partigiani rientrano a casa: la nuova formazione riesce a recuperare e reclutare alcune decine di “sbandati”. Il nucleo più consistente è di Manta, una sessantina di uomini per lo più ex GL (Ettore Foglio, Luigi Signorile, Giovanni Pasero, ecc.). Marocco arriva invece dalle brigate Garibaldi: nella Matteotti trova, oltre all’insediamento in luoghi familiari, una maggiore sintonia ideologica.

La brigata ha base a "Casa Rossa" Il 28 febbraio 1945, per non esporre a rappresaglia la popolazione di Manta, si sposta a Santa Cristina. In vista dell’insurrezione generale i partigiani si spartiscono i compiti. La protezione della cartiera Burgo dai tedeschi in ritirata è assunta dalla Sap (Squadra di azione patriottica) garibaldina e dalla 2a banda della brigata Saluzzo di Giustizia e libertà, comandata dal morettese-mantese "Miche Berra, mentre la centrale elettrica di S. Caterina è affidata alla Matteotti, che, dopo aver partecipato all’occupazione di Saluzzo, si dirige verso Carignano per partecipare all’ingresso in Torino.

All’indomani della liberazione a Manta smobilitano ben 110 partigiani: matteottini, garibaldini della 181 a brigata, GL della brigata Saluzzo e della val Varaita. Un numero impressionante: se conteggiamo solo i combattenti con residenza nel comune, 58 sugli allora 1894 abitanti, essi rappresentano il 3% di tutti i mantesi, bambini e vecchi compresi.

Basti pensare che da Saluzzo salì in montagna il 2,6% della popolazione, da Savigliano il 2,14% e che la media provinciale, la più alta d’Italia, fu dell’1,95%. Se utilizzassimo i numeri della smobilitazione, la percentuale toccherebbe il 5,8% degli abitanti. Non è dunque un caso che alle elezioni amministrative del 31 marzo 1946 il Fronte popolare, formato da socialisti, comunisti e azionisti, abbia prevalso nettamente sulla coalizione Dc-liberali e che il successivo 2 giugno annoveri Manta tra i non molti comuni della provincia in cui nel referendum istituzionale la repubblica ottenne più voti della monarchia. Marocco era tornato al lavoro di mugnaio, dopo essersi iscritto al Psi.

La sua storia politica sarà quella di molti socialisti di base, una convinta fedeltà al partito negli anni difficili e un distacco ai tempi dell’unificazione con il Psdi, per guardare prima allo Psiup, poi al Pci. Schivo e riservato, non ha mai cercato riconoscimenti: l’onorificenza ministeriale del 2016 è arrivata d’ufficio.

Ernesto parlava con ironia del mitra come impaccio negli sganciamenti e demitizzava le azioni di guerra. Ma ha saputo trasmettere gli ideali di libertà e di giustizia sociale ai figli Anna e Giulio, che non a caso negli anni ’70 è stato uno degli esponenti di punta nel Consiglio di fabbrica della Burgo Scott con Michele Binello, il compianto Giulio Dalbesio e il futuro segretario provinciale della Cgil Mario Borgna.

La scomparsa di Ernesto, proprio perché chiude e suggella il ciclo di vita dei partigiani in un comune in cui l’adesione alla resistenza è stata così alta, segna la fine di un’epoca."

Livio Berardo

 

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