- 15 dicembre 2019, 10:19

Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che brace (parte seconda)

Il rumore della pioggia che filtra come un tenero soffritto dalle pesanti porte affrescate d’adesivi Michelin trasforma la location del ristorante Perseus in una natura morta impolverata mentre i clienti scemano e noi lavoriamo alla nostra fiorentina coi suoi quattro pollici rosè che ricordano taluni tramonti sui lungotevere romani.

Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che brace (parte seconda)

Il rumore della pioggia che filtra come un tenero soffritto dalle pesanti porte affrescate d’adesivi Michelin trasforma la location del ristorante Perseus in una natura morta impolverata mentre i clienti scemano e noi lavoriamo alla nostra fiorentina coi suoi quattro pollici rosè che ricordano taluni tramonti sui lungotevere romani.

“Abbiamo lasciato il giovane e vigoroso Perseo sull’isola di Serifo, coccolato dal tiranno Polidette che nel frattempo si è innamorato della madre Danae (che non lo ricambia); il monarca, che come tutti i re non accetta molto bene i rifiuti, finge di volersi sposare con un’altra donna e chiede a tutti i suoi amici come regalo nuziale un cavallo ma Perseo che non ha la possibilità di accontentarlo si offre di donargli qualsiasi cosa lui voglia purché la smetta di importunare sua madre. Polidette gli chiede allora la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni, sicuro che il ragazzo perirà nell’impresa, lasciandogli finalmente campo libero con Danae. Ma Perseo, armato di sandali alati, di una sacca magica, dell’elmo di Ade che dona invisibilità e d’un falcetto di diamante datogli da Ermes affronta la temibile nemica e grazie al celebre scudo lucido come uno specchio vi fa riflettere Medusa tramutandola in pietra e poi decapitandola.”

Il gestore del ristorante ci fissa col sopracciglio circonflesso e l’espressione sagace. Il fiasco di Chianti è più che dimezzato e dopo aver ingollato un boccone di carne che avrebbe strozzato un cottimista calabrese chiedere: “quando nasce il mito della fiorentina?”

“Secondo qualcuno risale al tempo dei Medici e precisamente alla festa di San Lorenzo (10 Agosto), quando si arrostiva la carne in falò pubblici e alcuni cavalieri inglesi in visita a Firenze l’assaggiarono coniando per la prima volta il termine “beef steak”.

“C’è anche un’altra versione”, sentir dire al cameriere culturista con le ascelle pezzate come i bovini che idolatra, che nel frattempo ci serve una seconda porzione di fagioli cannellini.

“La seconda versione fa risalire la leggenda solo (si fa per dire) all’Ottocento, quando facoltosi signori anglosassoni potevano permettersi tagli pregiati di beef steak e roast beef. D’altronde le cugine (illegittime per qualcuno) della nostra benemerita sono le americanissime “t-bone” (col filetto di 1,3 centimetri) e “porterhouse” (col filetto di 3,5 centimetri).”

“Salatura sempre posteriore alla cottura?”

“Si, col sale Maldon che si produce nella regione inglese dell’Essex e che è particolarmente indicato in quanto i suoi cristalli a struttura piramidale accolgono meglio il sapore e si sciolgono lentamente incentivando la croccantezza sul palato.”

“Sempre l’Inghilterra.”

“Esatto. Come per la storia o l’archeologia serve uno straniero per sottolineare o valorizzare quello che noi diamo per scontato o che è troppo vicino per essere apprezzato fino in fondo.”

“Il vitellone di razza chianina, quello che l’ha sotto i denti ora, è diretto discendente del “bos primigenius”, per intenderci il bue che i primi cavalieri raffiguravano nelle pitture rupestri all’interno delle caverne. In quell’era in Inghilterra c’eran le scimmie”.

Tagliare un’altra stringa di carne iniziando a sagomare la T verticale che separa filetto e controfiletto, ormai sazi ma decisi a raggiungere la vetta incappucciata d’un niveo grumo di grasso.

“Quando la carne l’è finalmente cotta, prima di servirla su un piatto caldo di ceramica (preferibile al legno), va messa per quattro o cinque minuti tra due fogli d’alluminio in modo che i succhi si distribuiscano omogeneamente e le fibre muscolari si rilassino”.

“Ormai mi avete trasmesso tutti i segreti. Posso sbraciare fiorentine come se piovesse.”

“Non penso proprio”. Corale riso di dissenso stile “Amici miei”.

“Può anche leggere di Santa Maria del Fiore su un bel libro o vederci su un documentario me se nun la tocca o nun ne sente l’odore …”

“Suvvia, paragonare un po’ di carne cotta alla brace al Duomo di Firenze …”

“Ora piglio foco.” Il culturista si alza in piedi paonazzo in viso mentre il proprietario del ristorante si copre gli occhi presagendo il peggio.

“Sa cos’è successo tra il 2001 e il 2005?”

“L’euro ha dimezzato il nostro potere d’acquisto?”

“No. O meglio anche. Il morbo della mucca pazza l’è successo. Con relativa messa al bando della fiorentina. L’intera popolazione di Firenze vestì il lutto anche perché non l’era ancora spuntata la moda dei vegani e la ciccina la si mangiava tutti, persino i neonati nella culla. Ma non ci siamo arresi, in molti continuarono a venderla di contrabbando, qualcuno col marchio “nuoce gravemente alla salute” come per le sigarette …”

“Mi ricordo un giorno un corteo funebre per le vie del centro”, mormora il gerente con fare teatrale, forse per stemperare la rabbia del proprio cameriere, “sui manifesti a lutto c’era scritto: “ rimasta invalida preferì la morte” e una poetessa declamava dei versi: “Nessuno mi difende?/Per me nessuno pugna?/Sparirò dal menu con un colpo di spugna!”.

“Capisco il dramma ma …”

“No, lei nun capisce proprio nulla. El mi babbo disse poco prima di passare all’altro mondo: “è come se ci portassero via l’Inferno di Dante o la Cupola del Brunelleschi. E non ha fatto in tempo a vivere la festa che facemmo il 1 Gennaio del 2006 quando il bando finì.”

“Anche se il bando che c’è adesso l’è più sottile. E politicamente corretto. Anzi cotto.”

“E Perseo?”. Attaccare il campanile della nostra fiorentina ciucciando l’osso e stando ben attenti a non incontrare lo sguardo da hitlerjugend del body builder.

“Perseo, volteggiando sulla Filistia, vide Andromeda incatenata da Poseidone a uno scoglio per la vanità di sua madre che l’aveva definita più bella di tutte le ninfe del mare. L’eroe la trasse in salvo dalle fauci del mostro cui era destinata e la chiese in sposa come ricompensa dopo aver tramutato in pietra (con la testa di Medusa che aveva con sé nella sacca magica) Agenore e i suoi amici che ne insidiavano l’onore.”

“Finito”.

“In realtà manca l’ultima parte della leggenda.”

“No. Ho finito la carne. Resta una lapide a forma di T”.

“Dolce?”

“Più che altro mi piace pensarmi gentile, con punte di generosità.”

“Mi riferivo al dessert, bischero.”

“Ah ah. Cos’avete di buono?”

“Ovviamente cantucci e vin santo. Ma anche la tipica schiacciata alla fiorentina.”

“Al sangue anche lei?”

“In realtà vuota o con la panna. Oppure con una piccola variazione nostrana: la crema chantilly.”

“Li prendo entrambi e vada per la crema.”

“Digestivi?”

“Può lasciarli sul tavolo. Non farò prigionieri.”

Riconciliato dalla mia battuta il cameriere bilancia i piatti su un avambraccio grosso come un gancio da traino riguadagnando le cucine insieme al titolare la cui pelata al neon balugina aurei riflessi stile cupola d’una moschea.

Fissando mannaie e forbici, foto seppiate e il monumentale altare di lombate in serie, chiedersi quanto tempo manchi prima che tutto questo sparisca ingoiato da un misto di buon senso ecologico e fervore animalista, quindi affogare i nostri amorali quesiti nell’affluente infernale più dolce che esista: la grappa di moscato.

Il conto, in cui la carne pesa quanto la paranoia da sbarco nel bottino elettorale della Lega, viene saldato al bancone e dopo aver perso l’uso delle falangette per la stretta di mano del cameriere, avviarsi all’uscita imbottiti d’un quantitativo di proteine bastevole a soddisfare una batteria di alligatori del Nilo.

“Non dimentica qualcosa?”

“Ho lasciato la mancia sul bancone …”

“No. No. L’ultima parte della storia di Perseo.”

“Sono tutto orecchi. Come (non) disse Niki Lauda.”

“Perseo tornò all’isola di Serifo e sempre usando la testa di Medusa pietrificò Polidette che continuava a importunare sua madre quindi consegnò il governo della città al padre adottivo Ditte. Quando fece ritorno ad Argo tranquillizzò il nonno Acrisio ancora spaventato dall’oracolo di Delfi ma partecipando ai giochi lo ferì inavvertitamente a una gamba lanciando un disco e, come da profezia, questi perì. Dopo aver fondato Micene anche Perseo morì e Athena lo trasformò in costellazione ponendolo accanto all’amata Andromeda.”

“Parafrasando il vostro sommo poeta, in chiave mitologico-gastronomica, ora uscirò a riveder  le stalle (stelle)”

 

Germano Innocenti

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