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Attualità | 29 dicembre 2019, 18:40

Apparizione della Madonna dei Fiori a Bra, una storia lunga 683 anni (FOTO e VIDEO)

Domenica 29 dicembre è stata festeggiata la ricorrenza, accompagnata dall’inaugurazione della statua dedicata al Beato don Giacomo Alberione

Apparizione della Madonna dei Fiori a Bra, una storia lunga 683 anni (FOTO e VIDEO)

Semplicità, devozione, grande partecipazione. Queste le dimensioni che hanno condotto tante persone al Santuario della Madonna dei Fiori di Bra, per partecipare alle celebrazioni in onore del 683° anniversario dell’Apparizione.

Il mistico racconto, tramandato nel corso dei secoli, permane vivo e intatto nelle menti e nei cuori di tutti i braidesi, che ogni anno puntualmente ricordano l’avvenimento con fede e amore.

Una gran folla accorsa già nei giorni del Triduo di preghiera, che è aumentata di numero domenica 29 dicembre, arrivando persino da fuori città, con pellegrini giunti a piedi da Madonna del Pilone, Cà del Bosco e Marene, per assistere alle funzioni religiose, in locandina dalla mattina alla sera. In particolare, durante la Messa solenne delle 10.30, che ha visto la presenza, oltre che del parroco don Gilberto Garrone, di Monsignor Marco Mellino, vescovo titolare di Cresima (Tunisia), Segretario del Consiglio dei Cardinali. Hanno concelebrato: don Guido Colombo, delegato nazionale Cooperatori Paolini e Consigliere provinciale Società San Paolo; don Innocenzo Dante; don Gianfranco Marengo, già parroco di San Cassiano ad Alba; don Venanzio Floriano; padre Domenico Marsaglia, frate domenicano di Castellinaldo.

Pletora di fedeli anche durante l’inaugurazione e la benedizione della statua in bronzo dedicata al Beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, che ha preso posto nella nicchia di sinistra della facciata esterna del Santuario antico, dove ora è possibile ammirare pure tre nuovi pannelli, di chiara spiritualità mariana, adagiati lungo la parete che separa il pruneto miracoloso dal sagrato. Nella breve riflessione, don Guido Colombo ha ricordato come la spiritualità di don Alberione non sia esclusiva della Famiglia Paolina, ma appartenga a tutta la Chiesa e ad ogni cristiano, che, come San Paolo, ancora oggi è chiamato a dire: “Non sono più io a vivere, ma è Cristo che vive in me”.

Santuario nuovo gremito durante il rito eucaristico in cui è stato forte il richiamo alla famiglia da parte di Monsignor Marco Mellino, proprio nel giorno della memoria della Santa Famiglia di Nazareth. “I fiori sono creature tenere, fragili, portatrici di bellezza e sono prova, ancora oggi, di un’azione di difesa della Madre di Dio per una donna, il suo bambino e la sua famiglia per una fioritura invernale che continua”.

Aggiungendo il legame che fonde la spiritualità di don Alberione al luogo mistico braidese: “Don Giacomo Alberione, sacerdote della Diocesi di Alba, nel 1914 iniziò la Famiglia Paolina, dando vita a ben cinque congregazioni, quattro istituti aggregati e l’associazione Cooperatori paolini. È nato a San Lorenzo di Fossano il 4 aprile del 1884 da genitori di origini braidesi e fin da subito ha avuto la sua vita legata a questo Santuario, tant’è che, in un biglietto autografo, scriveva: ‘Alla Madonna dei Fiori di Bra abbiamo speciali doveri di riconoscenza, ringraziare Dio per Maria’. E ancora nel 1950 ebbe a dire: ‘La mamma aveva consacrato noi figli a Maria, Regina dei Fiori, man mano che siamo nati’. A motivo dell’evento miracoloso, la Vergine dei Fiori è, a pieno titolo, la protettrice delle donne partorienti e dei nascituri. Possiamo ben pensare che dalla frequenza a questo Santuario sia maturata nel cuore del Beato l’intuizione dell’Istituto Santa Famiglia, voluto per offrire alle coppie un cammino di consacrazione, così da avere la costanza e la fedeltà al disegno di Dio nel mantenersi ferme e solide nel vincolo matrimoniale”.

Da qui il profondo significato simbolico della posa della statua del Beato don Giacomo Alberione, esattamente nel giorno votato alla Santa Famiglia: “Don Alberione è stato l’uomo della modernità, ha saputo cogliere come un’opportunità, piuttosto che un pericolo, l’apertura e l’interazione con i cambiamenti e l’evoluzione della società. Questa sua intuizione e questo suo modo di muoversi nella società contemporanea porta a dire che oggi non vogliamo vedere le nostre famiglie cristiane chiuse in un fortino per paura che si rompano o come dentro una bolla che le isoli dal mondo cosicché non si guastino. Piuttosto, con lo stesso spirito e la determinazione del Beato Alberione, le nostre famiglie cristiane devono stare dove sono, cioè nel mondo, per come il mondo è oggi, senza tuttavia omologarsi allo spirito del mondo. Tutte le famiglie cristiane sono chiamate a stare nel mondo come c’è stata la Santa Famiglia di Nazareth, con coraggio, forza e determinazione nell’affrontare le avversità, lasciandosi guidare da Dio, obbediente al suo comando e fedele alla sua Parola, affidando a Lui il suo fragile cammino”.

Commentando il brano evangelico, Monsignor Mellino non ha parlato di fuga dall’Egitto della Santa Famiglia, ma capacità di affrontare la realtà: “Il Vangelo non presenta la famiglia di Nazareth come una famiglia artificiosamente costruita, lontana dalle situazioni concrete e dall’effettiva possibilità di comportarsi come tutte le altre famiglie. Partire per l’Egitto e restare in terra straniera per anni è stato difficoltoso anche per Giuseppe e Maria, che hanno sperimentato sulla pelle paure, incertezze, disagi, come tutti i profughi. Ma in queste difficoltà, comuni ad ogni famiglia, c’è la dimostrazione che nessuna famiglia deve sentirsi esclusa dalla vicinanza amorosa di Dio. Tutto ciò è difficile, ma è tipico della vita, soprattutto della vita cristiana. Per potercela fare ci vuole un intenso legame tra i vari membri della famiglia ed il sostegno della fede condivisa da parte di ciascuno. La comunione d’amore e di fede rinvigorisce la famiglia cristiana, rendendola solida e forte. Legame d’amore significa che ciascuno in famiglia non sopporta, ma supporta l’altro, ossia porta su di sé l’altro con sentimenti di pazienza e carità, senza mai farlo sentire un peso o un intralcio. Comunione famigliare è desiderio sincero di dialogo, capacità di essere franchi, cercando di trovare sempre parole che uniscono, piene di tenerezza e mai parole dure e scagliate come pietre. E se in questo non sempre si riesce, fiorisca l’impegno di chiedere scusa e la capacità di perdonare di cuore per poi riprendere insieme il cammino, facendo di ogni fatica e incomprensione famigliare un’occasione per crescere ed intensificare la comunione, sempre con l’aiuto della fede e della grazia”.

Quindi, l’urgenza della preghiera al mattino ed alla sera e l’importanza dei sacramenti: “Famiglia cristiana significa avere e sentire Gesù come uno di casa, modello di riferimento, ispiratore delle proprie scelte quotidiane di vita alla luce dei principi e dei valori del Vangelo. Come diceva don Giacomo Alberione, una casa cristiana è un luogo dove si parla di tutto cristianamente. La testimonianza di una famiglia cristiana diventa occasione per saper mostrare misericordia, vicinanza, incoraggiamento là dove la vita famigliare non si realizza perfettamente con pace e con gioia o arriva a sgretolarsi lasciando cocci di vita da ricostruire e ferite nell’anima. Là dove c’è una famiglia cristiana è sempre un bel segno di fiducia e di speranza per tutti”.

Nei primi banchi le autorità civili, con a capo il sindaco di Bra, Gianni Fogliato, i discendenti della famiglia del Beato don Giacomo Alberione, una folta delegazione delle Figlie di San Paolo, Pie Discepole del Divin Maestro, Istituto Santa Famiglia, Cooperatori paolini e, soprattutto, tante famiglie strette in un unico, grande abbraccio.

La storia del Santuario della Madonna dei Fiori inizia il 29 dicembre 1336. Narrano le fonti che una giovane prossima al parto, Egidia Mathis, stava rientrando a casa, quando, a circa mezzo miglio dalla città, volendo rivolgere una preghiera a Dio e ringraziarlo della giornata, si fermò davanti ad un’edicola dedicata alla Vergine. Nella nicchia era dipinta una Madonna col bambino in braccio. Egidia si fermava spesso davanti a quell’icona e quel giorno non mutò le sue abitudini, benché avesse visto che lì vicino stazionavano alcuni soldati. Questi ultimi, guidati da languide intenzioni, appena la giovane si inginocchiò, cercarono di possederla.

Disperata, Egidia si abbarbicò al pilone e gridò: “Maria!”. Dal folto del bosco emerse una dignitosa matrona. Emanò una luce tale da far fuggire precipitosamente i malintenzionati. Egidia cadde a terra in preda alle doglie del parto, anticipato dallo spavento. Nella neve, la sconosciuta “Provvide abbondantemente ai bisogni dell’accelerato parto e, continuando la pietosa opera, fu tutta intenta a provvedere i lini opportuni al neonato ed a ristorare la madre”.

Poi, com’era apparsa, scomparve, senza lasciare ad Egidia il tempo di ringraziarla e di chiederle il nome. Ripresasi dalla straordinaria esperienza, la donna corse verso il paese col neonato in braccio. Giunta a casa, raccontò tutto ai parenti e agli amici, che, per verificare l’accaduto, si recarono subito sul luogo in cui si era svolto l’incontro con la Madre di Dio.

Lo stupore di Egidia e dei presenti fu grande quando si resero conto che gli arbusti di pruno selvatico, che circondavano l’edicola, avevano subìto una prodigiosa trasformazione. Le piante erano completamente fiorite, nonostante fosse pieno inverno. Tutti i rami erano ornati di fiori dalle bianche corolle sbocciate improvvisamente, che risultavano ancor più appariscenti in assenza di foglie.

Oggi, come allora, c’è ancora chi cerca di trovare una spiegazione scientifica e razionale a questo fenomeno. Nell’attesa, non rimane che godersi questo piccolo spettacolo della natura, offerto dalla divina grazia.

Silvia Gullino

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