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In Breve

| 11 gennaio 2020, 16:05

Per chi scompare, chi rimane e chi ritorna - Coco

La pratica del compostaggio umano spinge chi rimane a considerare dolore e senso di perdita elementi della propria quotidianità, ad affrontarli costantemente. A sperimentare la vita come un vero e proprio cerchio

Per chi scompare, chi rimane e chi ritorna - Coco

“Coco” è un film d’animazione di produzione anglo-spagnola del 2017 scritto da Lee Unkrich, Adrian Molina, Jason Katz e Matthew Aldritch, e diretto dagli stessi Unkrich e Molina.

Il film racconta la storia di Miguel Rivera, un bimbo che sogna di diventare un musicista famoso quanto il suo idolo Ernesto de la Cruz, nonostante la sua intera famiglia (tranne la nonna Coco) disprezzino la musica e intendano impedirglielo. Miguel, scoprendosi anche capace di attraversare la barriera tra il mondo dei vivi e dei morti, riuscirà non solo a realizzare il proprio desiderio ma anche e soprattutto a far luce sul disamore della famiglia per la musica… e a dare giustizia a un musicista da tempo dimenticato.

“In poche parole, l’ultima cosa che fanno molti di noi prima di abbandonare questa Terra è avvelenarla”.

Divertente, no? Il paradosso dei paradossi. E sì, mi rendo conto, non proprio la più gioviale delle riflessioni possibili per affrontare il secondo weekend dell’anno nuovo. Non gioviale, ma vera. Verissima.

A parlare è Katrina Spade, founder e Ceo di “Recoponse”, una società americana che ha sperimentato e lanciato la pratica funeraria ecosostenibile del compostaggio umano. Ovvero, penso l’abbia già immaginato, di trasformare i corpi dei defunti in terreno coltivabile.

Lanciato, si prevede, entro il dicembre 2020 a Settle (dove lo corso maggio il governatore dello Stato di Washington ha firmato la legge dedicata alla pratica del compostaggio umano) con un impianto dedicato, il servizio costerà 5.500 dollari e permetterà di creare, dopo un mese dall’inumazione in una “capsula” dedicata nella quale la decomposizione viene accelerata consapevolmente, circa un metro cubo di terreno coltivabile da ciascun corpo. Chiunque voglia potrà a quel punto tenerne per sé una parte o l’intera quantità; il terreno non ritirato viene invece inviato a una riserva apposita.

Pare fantascienza, no? E quindi che cosa può avere a che fare con uno dei più film d’animazione per bambini/ragazzi degli ultimi dieci anni (almeno, probabilmente di più)?

“Coco” parla di morte, un concetto che difficilmente si può trovare in un cartone animato (o almeno è quello che crede la maggior parte delle persone convinte anche che i cartoni animati non parlino  un po’ pure a loro), e lo fa con un’onestà e una chiarezza rare, ben sfruttando il folklore della cultura messicana. E oltre a regalare una delle colonne sonore migliori della produzione Disney-Pixar (ed è tutto dire), regala anche un’idea davvero interessante e cioè che nell’affrontare la morte non è importante ciò che del defunto resta di fisico e tangibile ma tutto il resto, tutto l’insieme delle esperienze e delle emozioni vissute e sperimentate.

A chi muore non aspetta il nulla, se c’è qualcuno che lo ricorda. E l’oblio è di certo peggiore della morte fisica.

In tutta sincerità, non riesco a immaginare un modo migliore per ricordare una persona cara scomparsa che saperla parte di una nuova forma di vita.

La pratica del compostaggio umano, che di certo sulle prime può apparire disagiante (specie per una società come la nostra che, per ragioni legate alla propria storia religiosa, ha fatto del concetto della morte un vero e proprio tabù), non ha solo seri e concreti risvolti ecosostenibili.

È letteralmente un modo diverso di avere a che fare con il dolore e il senso di perdita, una pratica che spinge chi rimane a considerarli elementi della propria quotidianità (che ritiri o meno il terreno coltivabile derivato), ad affrontarli costantemente. A sperimentare finalmente, o a ritornare a farlo, la vita come un vero e proprio cerchio.

No, aspettate. Quello era un altro film, vero?

simone giraudi

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