3 miliardi di persone nel mondo confinati in casa per la pandemia da coronavirus. A Tokio la vita quotidiana scorre, con prudenza, in modalità “quasi” normale, mentre i ciliegi sono in scena con lo spettacolo della loro fioritura.
Pochi i contagi in Giappone, nonostante la vicinanza geografica con la Cina. Ad oggi superano di poco le mille unità, su circa 130 milioni di abitanti, esclusi i passeggeri della nave da crociera Diamond Princess, che è stata ormeggiata, in quarantena nel porto di Yokohama, per oltre tre settimane.
A fine febbraio il Governo ha chiuso tutte le scuole del paese, cancellato eventi sportivi come la maratona e i concerti. Il premier Shinzo Abe che ha invitato ad evitare le aree affollate e a norme per contenere l’espansione del coronavirus, non ha decretato, almeno per ora, lo stato di emergenza nazionale in considerazione dei dati non allarmanti.
Di alcuni giorni fa è l’annuncio del rinvio al prossimo anno delle Olimpiadi "Tokio 2020". Quale la reazione della gente?
“Positivissima, rilassata. Se l’aspettavano con la crisi sanitaria che sta interessando tutto il mondo. Con l’Europa malata e gli Stati Uniti che stanno chiudendo le frontiere, era la cosa più logica da fare”. A parlare al telefono è Enrico Perlo, cuneese, da 5 anni nella capitale nipponica. Sta lavorando da casa, come molti in Giappone “tutte le aziende che lo possono fare hanno incentivato lo smart working”.
Da lui un’istantanea della vita in città. “La metropolitana è piena di gente, anche se non come prima. E’ la settimana dei ciliegi in fiori e i giapponesi ( il pubblico di turisti quest’anno non c’è e lo spettacolo viaggia sul web) non mancano l’appuntamento con l'hanami, la tradizionale usanza nipponica di ammirare lo show della fioritura. Ma oggi il Governo ci ha tolto un pò il sorriso, invitando tutti a stare a casa nel lungo week-end.
Quindi invece di goderci belle passeggiate nei parchi a fare fotografie ai fiori, dovremo decidere quale film guardare su netflix. Noi, i fiori di ciliegio no, loro ci saranno, nei parchi".
Molte più persone indossano la mascherina, racconta. “Ma in Giappone è nella normalità indossarla dal 20 per cento della popolazione, come è abitudine avere quelle che da noi sono considerate norme di prevenzione. Non si danno la mano, non si toccano. Usano la mascherina non tanto per proteggere sé stessi, quanto per proteggere gli altri. E’ quasi un automatismo per non contagiare quando si è influenzati. Meccanismi allo stesso tempo di difesa e di rispetto per la comunità. E’ anche una attitudine di “cortesia sociale”, astenendosi dal tossire o starnutire in prossimità di altri.
A questo si aggiunge la cura maniacale per la pulizia, il non toccarsi tra persone Forse queste attitudini culturali hanno avuto il loro peso nella protezione contro il contagio”.
Come è stato fondamentale, aggiunge, l’alto di livello di tempestività alle prime avvisaglie di epidemia, quando la Cina ha comunicato la sua emergenza. “Il Giappone si è mosso in prima linea, subito, sui primi focolai, con controlli anti-contagio durante le due settimane del Capodanno cinese ( nel gennaio scorso) durante il quale la popolazione sinica viaggia all’interno del paese e soprattutto all’estero, arrivando in gran numero in Giappone, meta preferita per i viaggi brevi. Ha fatto rimpatriare da Wuhan a tempo di record i connazionali, ha tenuto isolata per 14 giorni la nave da crociera Diamond nel porto di Yokohama”.
Come in molte città del mondo, non sono mancati episodi di ansia collettiva con la corsa all’acquisto che, in Giappone, in particolare dopo l’annuncio della chiusura delle scuole fino ad aprile, ha portato all’esaurimento sugli scaffali dei negozi della carta igienica. “Continua tuttora a scarseggiare come i fazzolettini di carta. Un altro segno psicologico collegato alla malattia e alla loro esigenza di pulizia”.
Prima del Giappone Perlo ha lavorato per oltre 20 anni in Cina. Tra gli incarichi quello all'Istituto italiano alla cultura a Pechino. Nel paese ha vissuto, tra il 2002 e 2003, anche il periodo della Sars, la sindrome respiratoria acuta grave. Sulla Cina, che si svela come se, in una grande grotta buia affrescata, una torcia ne illuminasse scorci, angoli e dettagli, ha scritto il libro “Entrate e uscite tra la Cina e me stesso” edito da L’Artistica Editrice”.
Ci sono analogie con il periodo della Sars?
“L’ epidemia da coronavirus mi ha fatto tornare indietro a quegli anni. Quando eravamo in azienda con mascherina e guanti, quando in ufficio ci prendevamo la temperatura al mattino e alla sera e la annotavamo su un registro. Ero anche tornato a Cuneo con la famiglia. All’arrivo in Italia, ci siamo subito messi in quarantena, che allora era una settimana. Senza incontrare nessuno, nemmeno mia madre. Ricordo i piccoli villaggi cinesi le cui stradine di accesso erano bloccate da mattoni, alberi, altri ingombri di fortuna. Si autoisolavano per proteggersi da chi voleva entrare”.
In questo momento di pandemia come pensano all’Italia i giapponesi?
"Domanda difficile. L'Italia è direi il paese che i giapponesi amano di più, dove la grande maggioranza ha fatto un viaggio più di una volta. Cibo, fashion, automobili, tecnologia italiani, sono tutti molto apprezzati. Ma adesso è il momento del timore, della distanza, anche nei confronti nostri".