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Attualità | 27 marzo 2020, 18:35

Il messaggio di incoraggiamento che arriva da “La rosa blu” di Savigliano

La vita nelle strutture residenziali per disabili gravi si è fatta più complicata con l’emergenza sanitaria in atto. Tuttavia l’entusiasmo che si vive in queste realtà, che consideravamo un mondo estraneo, rappresenta una poderosa iniezione di fiducia per tutti noi

Il messaggio di incoraggiamento che arriva da “La rosa blu” di Savigliano

Abbiamo scritto qualche giorno fa della vita nelle case di riposo ai tempi del Coronavirus. C’è un altro ambito – se possibile ancora più fragile – che riguarda le residenze per disabili gravi.

Solo in provincia di Cuneo ve ne sono decine tra case famiglia, Raf (Residenza assistenziale flessibile), gruppi appartamento ecc.

Siamo entrati in contatto, per quanto ovviamente a distanza, col Centro “La rosa blu” di Savigliano, gestito dall’Anffas Onlus.

La “Raf” opera sul territorio dal 2005 e ospita attualmente dieci persone con disabilità grave e gravissima. Ha in atto anche un progetto di laboratorio diurno di restauro e riciclo artistico, il Blu Lab, che coinvolge ragazzi con disabilità lieve e migranti.

Nella struttura operano un direttore, nove Oss (operatori socio sanitari), tre educatori, un’impiegata, due addette alla pulizia, e una cuoca.

Il rapporto tra operatori e ospiti, come si evince, è addirittura superiore all’uno a uno.

“Che qualcosa di anomalo, strano e preoccupante stesse accadendo – raccontano gli operatori – lo abbiamo percepito in modo viscerale lunedì 23 marzo: entrando in struttura ci siamo trovati di fronte uno scenario che ancora non avevamo potuto immaginare e men che meno interiorizzare.

Un esercito muto di attaccapanni “vestiti” con una giacca, scarpe e ciabatte, democraticamente separate in due scaffali, mascherine, calzari e gel occhieggianti su un tavolino posto al centro dell’ingresso. Un paesaggio lunare che ci ha sconcertato. Una fotografia che rimarrà nei nostri occhi per sempre”.

A proposito di occhi, indossando una mascherina durante il turno – proseguono - abbiamo constatato che gli ospiti ci scrutavano per immaginare il nostro stato d’animo: un sorriso celato, le rughe che si increspavano in una risata, una fronte corrucciata e pensierosa. Ma tutti loro hanno accettato di buon grado questa novità, sicuramente più velocemente di noi. Così come hanno accolto con allegria e curiosità di parlare con i familiari al telefono, in video chat o addirittura ricevendo lettere vergate a mano e in cui un solenne “TI VOGLIO BENE” ci costringe a riflettere sulla priorità delle cose, sui sentimenti e sul fatto che tutto questo ci cambierà per sempre e il cambiamento dovrà essere in positivo. E ora, che dobbiamo negar loro anche gli abbracci, ci dobbiamo ingegnare per sopperire a queste forme di affetto importanti in una comunità”.

Spiega la direttrice Adelaide Gullino: “Mai come in questi giorni gli operatori fanno i conti con il concetto di “prendersi cura”: di sé stessi in primis, dei propri familiari e per chi, come noi, opera nel socio assistenziale, delle persone che ci sono state affidate. Affidare significa: dare in custodia, consegnare all’altrui capacità la cura.

Per mantenere la promessa fatta di prenderci cure delle 10 persone che vivono qui, dobbiamo tener dietro alle misure atte a contrastare il diffondersi del virus che impongono alle strutture cambiamenti drastici e radicali.

Dal 9 marzo entrano soltanto gli operatori. Per i familiari è difficile rinunciare alla visita quotidiana. “Se non posso vederlo è come se non esistesse più”, ci ha detto una di loro e questo ha contribuito ad aumentare il peso che ci è piombato sulle spalle, la responsabilità enorme di tutelare le vite alla ‘Rosa blu’, quelle di chi ci abita e quelle di chi ci lavora”.

Non potendo svolgere attività all’esterno si sopperisce aumentando le attività di intrattenimento e di laboratorio e fra i ragazzi si scoprono attitudini e capacità che ancora non erano emerse, fatto nuovo e sicuramente positivo.

“Dal mondo esterno – considerano ancora gli operatori - percepiamo soprattutto noia e frustrazione, mentre qui invece non stiamo fermi un istante. Purtroppo anche il nostro laboratorio di restauro e riciclo artistico è stato interrotto, ma siamo fiduciosi che il Blu Lab riprenderà con maggior vigore appena tutto sarà finito per creare nuove meraviglie! (Fb e Instagram: BluLab)”.

Sul fronte dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti ecc.) anche qui si è quasi ridotti al lumicino.

“Facciamo tesoro – spiegano - del poco che siamo riusciti a recuperare o che ci hanno donato (ed è questa la nota positiva, la condivisione e l’aiuto tra associazioni ed enti) e continuiamo a cercare. Bere il caffe scordandoci di indossare la mascherina – annotano – è il momento in cui questo elemento estraneo e separatore sarà diventata parte di noi. E ci siamo quasi”.

“Lavorare alla ‘Rosa blu’ ai tempi del Coronavirus – concludono - significa: riscoperta della quotidianità, orgoglio e fierezza, doppia responsabilità, allegria, baci lanciati, sorrisi, tristezza, paura… resilienza”.

Occasioni di vita e nuove opportunità: è questo il messaggio di speranza che arriva da questa realtà in un momento in cui tutti stiamo toccando con mano quanto la “disabilità” sia arte integrante del nostro vivere.

Fino a ieri tendevamo a rimuoverla, quasi che fosse un qualcosa di estraneo alle nostre pigre e talvolta annoiate esistenze.

GpT

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