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Attualità | 31 ottobre 2020, 19:13

La seconda ondata travolge Verduno: l’ospedale avviato verso i cento ricoveri Covid

Raddoppiato quattro volte in appena tre settimane, il numero degli ospedalizzati al "Ferrero" è destinato a eguagliare entro breve i livelli toccati ad Alba in primavera. Intanto non si trovano gli infermieri e Oss necessari alla riapertura di Bra

L'ospedale di Verduno (archivio - Ph Barbara Guazzone)

L'ospedale di Verduno (archivio - Ph Barbara Guazzone)

Ai livelli del marzo scorso. E’ già questa la situazione dei ricoveri all’ospedale di Verduno, dove gli ultimi giorni di un ottobre inaugurato con una manciata di pazienti hanno fatto segnare una nuova pericolosa impennata nel numero di persone accolte in corsia per curarle dalle complicanze del Covid-19.

Secondo le informazioni da noi raccolte in ospedale, nelle ultime ventiquattr’ore sarebbero ben 18 i nuovi degenti accolti negli spazi dedicati del "Michele e Pietro Ferrero": il reparto rimasto attivo dalla scorsa primavera al quinto piano della struttura, la cui capienza è ora arrivata a un massimo di 64 posti letto, e l’unità aggiuntiva da 24 posti attivata nello scorso fine settimana, mentre nelle ultime ore si segnala anche l’occupazione di 6 letti in rianimazione.

Un totale vicino ai novanta ricoverati e un conto che numericamente è già pericolosamente prossimo a quello che aveva caratterizzato le settimane più critiche della prima ondata, quando il totale delle persone assistite nelle corsie del "San Lazzaro" di Alba aveva superato di poco il centinaio di pazienti.

Allora, per rispondere alla crescente richiesta di ricoveri e fare spazio a nuovi pazienti si era trovata la soluzione del "covid hospital" allestito proprio a Verduno e aperto il 20 marzo con una dotazione che – rispetto ai più ambiziosi propositi di partenza annunciati dalla Regione – si era fermata a 55 posti-letto (151 i degenti curati in circa tre mesi di attività) anche per l’oggettiva difficoltà di reperire personale medico e infermieristico in grado di occuparsi di un reparto cui si chiedeva di dare assistenza a pazienti "a bassa intensità di cura", che avevano quindi superato il momento più critico della malattia e che venivano dirottati qui da Alba come da altri ospedali del Piemonte.

Una difficoltà che allora si era superata anche grazie all’aiuto della ventina di infermieri messi a disposizione dall’Esercito e al reclutamento – da parte dell’Asl e del commissario straordinario Giovanni Monchiero – di un gruppo di 13 giovani medici, neolaureati e neoabilitati, guidati nella loro prima esperienza sul campo da cinque colleghi "anziani" (i dottori Claudio Novali, Alessandro Garibaldi, Carlo Garrasi, Giuseppe Galeasso, Mauro Pratesi, Giuseppe Sera e Roberto Gayet) e al coordinamento degli specialisti Massimo Perotto e Nicolò Binello – a loro volta chiamati in Langa dopo che la Regione aveva deciso di sostituire gli incaricati della prima ora, l’ex primario della Rianimazione cuneese Giuseppe Cornara e il collega alessandrino Ivo Casagranda.

Replicare ora quel modello e riallestire un ospedale "polmone" verso il quale trasferire i pazienti meno gravi? La Regione ci sta pensando, guardando in questo caso alla sede del "Santo Spirito" di Bra. Ma le difficoltà, sempre legate al reperimento del personale, non mancano e sono anche peggiori di quelle incontrate nella prima fase dell’emergenza.

"Ad oggi sarebbe impensabile – ha spiegato ieri al nostro giornale il segretario provinciale della Uil Fpl Giovanni La Motta. Infermieri e Oss sono già sotto organico di almeno cinquanta unità a Verduno, oltre a essere allo stremo delle forze e ridotte nel numero anche dalle quarantene. Se la Regione vuole riaprire Bra deve trovare le persone per farlo. Ma se nella prima fase quelle professionalità le abbiamo reperite da altre regioni e anche dall’estero, ora tutto il Paese vive la stessa identica, gravissima emergenza, e quel personale non lo si trova più".

Una situazione grave, considerato anche che nel volgere di tre settimane (ancora lo scorso 9 ottobre il "Ferrero" contava appena 5 pazienti Covid) il numero dei ricoveri è raddoppiato oltre quattro volte e che, se si proseguirà con una progressione simile, la capacità di accoglienza del nosocomio è destinata ad andare presto esaurita.

Poi è vero che, rispetto alla prima fase, sono certamente migliorate la capacità di cura (l’auspicio è anche quello di un’almeno minima riduzione dei lunghissimi tempi medi di permanenza dei pazienti). Ma fintantoché gli effetti delle chiusure – peraltro parziali – disposte da Governo e Regione non si tramuteranno in un’effettiva frenata delle ospedalizzazioni, la prospettiva è quella di un Piemonte avviato su una china decisamente pericolosa dal punto di vista della tenuta sanitaria, come peraltro denunciato nella dura lettera che i medici riuniti dell’Anaao hanno inviato ieri al ministro Speranza e al governatore Cirio, accompagnata dalla richiesta di un lockdown regionale.

Da qui l’esigenza, evidentemente non ancora sufficientemente chiara a troppe persone, di allineare i propri comportamenti individuali alle raccomandazioni più volte arrivate ancora nelle ultime settimane dai responsabili della sanità locale e non solo, per evitare che un quadro già decisamente grave possa diventare drammatico.

Ezio Massucco

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