- 15 maggio 2021, 15:02

Come fare per uscirne migliori - Land of the Dead

Non vi pare che i numeri della pandemia – oramai scivolati nell’elenco ordinato dei fatti da raccontare – abbiano lasciato il posto a vecchie diatribe, che non vedevano l’ora di ritornare in auge? Il conflitto israelo-palestinese, la questione migrante, i rapporti internazionali… in questa finestra di “pausa” (relativa) del virus sembra esserci esattamente il mondo di prima.

"Land of the Dead"

"Land of the Dead"

“Land of the Dead” (La terra dei morti viventi) è un film di genere horror e produzione franco-canado-statunitense del 2005, scritto e diretto dal maestro George A. Romero. La pellicola – che assieme a “La notte dei morti viventi”, “Zombie”, “Le cronache dei morti viventi” e “L’isola dei sopravvissuti” forma un tematico gruppo dal setting simile – racconta di un mondo completamente annichilito dall’invasione zombie, in cui gli esseri umani si rifugiano in città fortificate divise in quartieri a seconda dei ceti sociali; gli zombie, trattati come mera carne da macello con cui forzatamente convivere, cominciano a sviluppare una sorta di coscienza rispetto alla loro vita precedente, e ad agire non più soltanto come una crudele forza della natura ma come una vera e propria “classe sociale”.

“Ne usciremo migliori”. Pensateci: quante volte, nell’ultimo anno, avete sentito questa frase, urlata da un balcone oppure messa al fondo di un post su Facebook/Twitter/Instagram in cui si incensano i nuovi eroi della settimana? Ci scommetto, qualcuno di voi l’ha anche detta o pensata in prima persona.

Chiariamoci, non è che quello di questa settimana sia un processo alle intenzioni. Mi pare chiaro, comprensibile e in definitiva ovvio che in periodo di grande paura e incertezza l’essere umano cerchi disperatamente qualunque tipo di appiglio, anche il più insulso, specie se riguarda una “terra promessa” da raggiungere: il futuro come senso ultimo alle fatiche, alle privazioni e al dolore del presente. È normale.

Ma ora che la seconda ondata – anche nella nostra provincia, non solo in tutto il paese – sembra lontana, e la campagna vaccinale pur zoppicando sta procedendo avanti, credo sia bene sottolineare come quello sia stato uno slogan del tutto privo di fondamento.

Perché, semplicemente, se ne siamo usciti (ed è un “se” bello grosso) non ne siamo certo usciti migliori.

Come spesso accade nel genere cinematografico dell’orrore, se si vuole una rappresentazione spietata e senza tempo della società umana non si deve andare a cercare molto oltre l’opera di George A. Romero. “Land of the Dead” è un film politico – anche in modo più dichiarato rispetto ai suoi predecessori e seguiti, come se Romero si fosse rotto le scatole di chi non è riuscito a capire gli aspetti socio-politici di “La notte dei morti viventi” e di “Zombie” - , che parla della lotta di classe, della liberazione violenta di una minoranza (o meglio, di quella che viene resa una minoranza), di cosa voglia dire sul serio “uscirne migliori”.

Gli zombie di “Land of the Dead” sono quanto di più vicino possibile agli umani che sono stati in vita, ma la maggior parte di loro non se ne rende conto: vengono relegati ai margini della società, fuori dalle fortificazioni – ovviamente costruiti per tenerli lontani - , impossibilitati a essere più delle bestie che dovrebbero essere. 

C’è una scena specifica, però, che mi pare emblematica in questo momento storico esatto. Quella che vede un gruppo di zombie raggiungere il limitare di queste fortificazioni e minacciarne il danneggiamento; a quel punto, quindi, i soldati a guardia del confine cominciano a lanciare in cielo alcuni fuochi d’artificio: gli zombie si bloccano, distratti, imbambolati, incapaci persino di ricordarsi quel che avevano intenzione di fare fino a qualche istante prima.

Guardate alle notizie delle ultime settimane, a livello internazionale. Non vi pare che i numeri della pandemia – oramai scivolati nell’elenco ordinato dei fatti da raccontare – abbiano lasciato il posto a vecchie diatribe, che non vedevano l’ora di ritornare in auge? Il conflitto israelo-palestinese, la questione migrante, i rapporti internazionali… in questa finestra di “pausa” (relativa) del virus sembra esserci esattamente il mondo di prima.

E scusatemi se non me ne compiaccio. Se non sono contento se, per esempio, uno dei conflitti civili più orribili e insensati dell’epoca moderna non sia stato nemmeno un po’ scalfito da un evento di portata planetaria come l’epidemia di Coronavirus, come se si fosse soltanto seduto all’angolo per un po’, ad attendere il momento giusto per tornare a fare sul serio.

Imbambolati, distratti, incapaci di reagire. Queste sono le tre caratteristiche dell’umanità post-2020, un gruppo di corpi che respirano nella speranza di riappropriarsi della propria normalità, qualunque essa fosse e qualunque caratteristiche avesse, che ci piacesse davvero o meno. Come uno spettacolo pirotecnico, riproposto tutti gli anni e che conosciamo a memoria, ma che in definitiva non aspettiamo di godere ancora, e ancora, e ancora.

simone giraudi

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