- 21 giugno 2021, 06:00

Il cattivo poeta: la sineddoche del fascismo

Scritto diretto e sceneggiato dal napoletano Gianluca Jodice (al suo primo lungometraggio), “Il Cattivo Poeta” è una pellicola che farà molto discutere anche perché scansiona gli ultimi anni di vita di un personaggio che ha fatto dello scandalo e dell’esagerazione la propria cifra esistenziale.

Il cattivo poeta: la sineddoche del fascismo

Scritto diretto e sceneggiato dal napoletano Gianluca Jodice (al suo primo lungometraggio), “Il Cattivo Poeta” è una pellicola che farà molto discutere anche perché scansiona gli ultimi anni di vita di un personaggio che ha fatto dello scandalo e dell’esagerazione la propria cifra esistenziale.

Un credibilissimo Sergio Castellitto è Gabriele D’Annunzio, il vate abruzzese confinato nella casa-museo del Vittoriale (per l’occasione concessa alla troupe dal presidente Giordano Bruno Guerri), negli anni che vanno dal 1936 al 1938; al bellissimo paesaggio del lago di Garda, impreziosito dalla fotografia di Daniele Ciprì, si contrappongono le rigide simmetrie del regime fascista ben disegnate da Tonino Zera, mentre attorno al poeta ormai dimesso ruota una corte di ex concubine e salmodianti gerarchi che dovrebbero servirlo e che in realtà ne misurano la temperatura politica per impedirgli di nuocere ai bellici disegni mussoliniani.

TRAMA

“D’Annunzio è come un dente guasto, o lo si ricopre d’oro o lo si estirpa”, dice un alto funzionario al giovane neo-federale di Brescia, prima di affidargli il delicatissimo incarico di assistere (spiare) il poeta e dopo avergli fatto ascoltare un nastro in cui questi si rivolge in modo critico contro il Duce: la scena cita (in)volontariamente il prologo di Apocalypse Now e in effetti il D’Annunzio/Castellitto di Jodice somiglia un po' al Brandesco Colonnello Kurtz, esiliato non nella giungla ma nel bellissimo complesso museale sul lago di Garda mentre Francesco Patané è un Martin Sheen la cui giovinezza è ingenuamente tesa agli ideali di gloria che ispira la parabola fascista.

Mentre si costituisce l’asse Roma-Berlino che porterà alla Seconda Guerra Mondiale, l’acerbo federale farà i conti con l’inoffensivo lirismo del Vate che prima virerà in sorniona consapevolezza e poi in lucida veggenza quando in una scena emblematica del film, ossessionato da una possibile infestazione di topi, lo afferrerà dicendogli: “Tu non capisci! Siamo sull’orlo del baratro! Entreranno anche a casa tua!!”.

Quando la donna che frequenta si toglierà la vita perché lui ha semplicemente obbedito a un ordine e la sua stessa famiglia inizierà ad aver paura, Giovanni Comini comincerà a dubitare della causa che serve e dopo aver facilitato l’incontro fra D’Annunzio e il Duce in una Verona blindata militarmente, incontro che si risolverà in una cocente umiliazione per il Vate, gli rimarrà vicino fino alla fine, ormai persuaso della grandezza di un uomo prigioniero più del suo personaggio che dell’enclave storica che lo serra come il guanto d’un falconiere.

 

D’ANNUNZIO FASCISTA(?)

 

Se “Il Cattivo Poeta” fosse un film ideologico la sua tesi sarebbe quella di dimostrare che Gabriele D’Annunzio non fu fascista, perché sebbene avesse aderito agli iniziali Fasci di Combattimento non ebbe mai un buon rapporto col Duce e ne osteggiò apertamente l’alleanza con Hitler (che definiva “quel nibelungo truccato alla Charlot” o “Attila imbianchino”, “pagliaccio feroce” e via dicendo); eppure l’opera di Jodice va ben oltre questo assunto, non limitandosi a smascherare un pregiudizio storico tutt’ora presente nella maggior parte degli italiani, ma consegnandoci un ritratto estremamente raffinato dello scrittore di Pescara, anche grazie alla recitazione di Castellitto che non è mai sopra le righe.

Autoironico e ormai vittima della cocaina, innamorato dell’Italia e in grado di schernirsi per le leggende erotiche costruite su di lui, il cattivo poeta è una scheggia impazzita all’interno della macchina suicida guidata dal Duce e quando sulla nave Puglia (ricostruita al Vittoriale e puntata al tramonto) cita alcuni suoi versi lo fa quasi scusandosi perché sa che la poesia non ha più il peso politico che aveva fino a qualche anno prima. E mai più l’avrà.

Il discorso che tiene di fronte a una dozzina di ex legionari fiumani, ormai prossimo alla morte, ne rivela tutta la fragilità, lui che aveva dichiarato che mai sarebbe diventato “un poeta in pantofole”, tiene la sua arringa letteralmente in ciabatte, nonostante le parole pronunciate continuino ad avere la consueta forza ed eleganza.

 

FIUME

 

Luisa Baccara (una meravigliosa Elena Bucci) racconterà al giovane Comini l’impresa fiumana con le lacrime agli occhi, spezzando quell’opera di rimozione collettiva che ha sempre accompagnato l’episodio nella memoria degli italiani: per 16 mesi D’Annunzio tenne Fiume autoproclamandosi Comandante e, senza spargere una goccia di sangue, fu amato e acclamato dai quasi 30 000 connazionali presenti in città.

Nell’agosto del 1920 perfezionò la Carta del Carnaro, un illuminante esempio di carta costituzionale che conteneva, in largo anticipo sui tempi, principi come il suffragio universale, l’uguaglianza fra uomini e donne (che potevano votare ed essere elette), il multi-etnismo, la scuola obbligatoria per tutti, il divorzio, la pensione d’invalidità e via seguendo.

Tradito dal Duce, a quei tempi “solo” giornalista di sinistra e in realtà informatore del Governo Giolitti, fu costretto ad abbandonare la città quando il 24 dicembre del 1920 l’esercito italiano la assediò, e rischiò di morire per due colpi di cannone vibrati dall’Andrea Doria all’indirizzo del Palazzo di Governo.

 

DELAZIONE E PIACERE

 

In un passaggio significativo del film, allineando il proprio profilo a quello del Duce, Starace (un impressionante Fausto Russo Alesi, tre volte premio Ubu, recuperate la sua interpretazione teatrale de “Il Grigio” di Gaber) porta Comini ad esporre i propri dubbi sull’imminente guerra e sulla figura del Duce, adottando una perfetta tecnica inquisitoria e dimostrando quanto corruzione e delazione fossero all’ordine del giorno nel fascismo ideologico (che non ammetteva alcuna obiezione dialettica endogena): i due torturatori che si accaniscono su un dissidente nel seminterrato del Palazzo di Giustizia riecheggiano uno dei capitoli più cupi de “Il Processo” di Kafka.

Fantasma dell’erotismo dannunziano e contraltare libertario all’oscurantismo di regime, la bellissima donna che si offre al Vate quasi all’inizio della pellicola, rivestita dalle senescenti ancelle del poeta, è il simbolo di quel Decadentismo (dieci denti, diceva Cardarelli) che ha fondato il mito dello scrittore abruzzese; una bellezza spigolosa, un po' Boldini un po' Klimt, estremamente diversa dalle forme felliniane della Gradisca, una bellezza consapevole e androgina il cui mutismo quasi ascetico contrasta con quello macchiettistico del Duce, che Jodice riduce a semplice burattino della Storia.

 

CONCLUSIONI

 

Mentre Sky sta per lanciare una serie sull’impresa fiumana, “Il Cattivo Poeta” rilancia la figura di D’Annunzio nella sua complessità di artista e personaggio politico, sospendendo ogni giudizio e delineandone la veggenza storica al di là dell’equivoco di collaborazionismo di cui furono vittima (postuma) anche Nietzsche e (in vita) Heidegger, anche se su quest’ultimo il dibattito è ancora apertissimo.

Germano Innocenti

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