“Ero lì, seduta ad una scrivania, triste, che pensavo che la mia vita stesse prendendo una brutta piega e che dovevo cambiare qualcosa, e chissà, magari aprire un cassettino o togliermi un sassolino da una scarpa. Cosa a 26 anni meritava essere vista? Poi l’illuminazione ed un sorriso. Sai che c’è? Vado a vedere l’oceano!” È nata quasi per gioco l'avventura di Noemi Giraudo, bovesana di 26 anni, che da sola ha percorso 1.100 chilometri in bici verso Arcachon. Grande appassionata di natura e bicicletta, ha goduto del sostegno incondizionato della sua famiglia: mamma Katia, papà Valter e il fratello maggiore Nicholas.
Cosa ti ha spinto davvero a prendere e partire?
“Venivo, come tutti, da un periodo difficile. La pandemia e il lockdown erano stati molto pesanti per me che lavoravo nella ristorazione. Rientrata al lavoro mi sono resa conto che non mi soddisfaceva più. È stata una scelta sofferta e complicata ma ho deciso che avevo bisogno di tempo per me. Così sono partita. Un viaggio programmato in sole tre settimane. Lo sapeva solo la mia famiglia e qualche amico più stretto”.
Perché la scelta dell'oceano e la destinazione Arcachon?
“Mi sono interrogata su cosa avrei voluto vedere che non avevo mai visto. Ho pensato che avrei dovuto raggiungere l'oceano in bicicletta. Mio papà era andato qualche anno fa a visitare la Duna di Pilat nel Bacino di Arcachon (la duna di sabbia più alta d'Europa, ndr) ed ero rimasta incantata dalle sue foto. Così ho deciso di tagliare la Francia in diagonale e di godere dell'oceano da lassù”.
Raccontaci qualche dettaglio tecnico del tuo viaggio.
“Sono partita lunedì 4 ottobre nel pomeriggio. La prima tappa ad Aisone, nella casa dei miei bisnonni. Il giorno dopo la salita al colle della Maddalena, quella più dura. Ho pedalato 14 giorni, facendo una media di circa 65 chilometri. Dodici tappe su quattordici di montagna. Di notte dormivo in tenda o nelle gîte d'étape. Sono arrivata a destinazione martedì 19 ottobre e poi sono rimasta in Francia fino al 24 spostandomi fino a Bordeaux. Ho percorso un totale di 1.100 chilometri con la mia fedele bici gravel, una bici da strada un po' più comoda, ideale per questa lunga avventura. Poi sono tornata con il treno da Bordeaux a Marsiglia e infine con Flixbus fino a Torino, dove la mia famiglia è venuta a recuperarmi”.
Non hai avuto paura ad affrontare questo viaggio da sola?
“Non ho neanche pensato di cercare un compagno di viaggio. Avevo bisogno di tempo per me. Non mi è pesato affatto e non mi spaventava l'idea di essere sola”.
Raccontaci il giorno dell'arrivo ad Arcachon.
“Avevo calcolato di fare gli ultimi 129 chilometri in due giorni, ma poi ho incontrato due persone in tempi diversi che mi hanno detto che ce l'avrei fatta in un colpo solo. E allora ho tirato ad arrivare, anche perché il giorno dopo era previsto maltempo. Sono arrivata ad Arcachon alle 17 del pomeriggio e ho visto un tramonto super bello.
Le emozioni di quel momento faccio fatica a raccontarle. Non riesco ancora a spiegarle. Quando ho visto la duna mi è venuto il magone e sono scoppiata a piangere. Un pianto di gioia e soddisfazione. Sono corsa in campeggio, ho fatto il check in e sono salita sulla duna. In cima mi ha colpito il vento oceanico e poi la vista meravigliosa dell'Atlantico. Lassù ho capito che ce l'avevo fatta”.
C'è un altro luogo che ti ha colpito durante il viaggio?
“Sì. Sono rimasta affascinata dal plateau de l'Aubrac, un vasto altopiano che assomiglia molto a Campo Imperatore in Abruzzo, ma senza le montagne grandi intorno. Una landa desolata piena di mucche, un ambiente naturale che mi ha dato una grande sensazione di libertà”.
In un viaggio come il tuo, quanto contano gli incontri con le persone?
“Quando si viaggia da soli, ci si mette nella condizione di parlare con tutti. Il popolo francese mi ha stupito, salutano sempre. È tutta gente molto calorosa e accogliente.
Grazie all'app 'Warm Showers' (uno strumento per lo scambio di ospitalità tra cicloturisti, ndr) sono stata ospitata sulle Alpi da una famiglia francese: mamma, papà e figlia di 13 anni. Da loro mi sono sentita come a casa, mi hanno trattato come una figlia.
Poi ho incrociato il cammino di Santiago, pieno di pellegrini e di giovani. Una sera dei ragazzi mi hanno fatto cenno di sedermi con loro. Era un gruppo di francesi, con un inglese e un canadese. Ho cenato e fatto festa con loro, trascorrendo una piacevole serata”.
Consiglieresti questo viaggio?
“Lo consiglierei a tutti, in particolare alle donne: partite, andate e non abbiate paura! Non c'è nulla di cui temere. Il mondo è fatto di tante belle persone. Basta affidarsi al sesto senso e non commettere imprudenze”.
Hai già voglia di ripartire?
“Il secondo giorno ad Arcachon ho chiamato al telefono mamma e le ho detto che avrei continuato ancora. Ma era giusto chiudere questo viaggio così.
Certo, tornare non è facile. Appena arrivata a casa ero sulle nuvole, in un limbo in cui capivo poco, con un sorrisino ebete stampato sulla faccia.
Ho già in mente altri progetti di viaggio. Per il momento però sono a Boves e sto cercando lavoro. Carica di questa grande e bella esperienza alle spalle”.
A chi dedichi questa avventura?
“A Etienne, un mio grande amico scomparso lo scorso inverno sotto una valanga (Etienne Bernard, 27enne di Campitello di Fassa, scomparso nel gennaio 2021, ndr). Aveva una passione smisurata per la montagna e un amore incondizionato per la natura. Nei tratti in cui ero completamente immersa nella natura, sentivo la sua presenza molto vicina.
Mi sono immaginata più volte la sua voce e il suo sorriso coinvolgente dirmi 'Grande Wyo (il mio soprannome) stai facendo qualcosa di grande per te! Sei una forza'. Me lo immagino proprio bene.
Gliel’ho dedicato proprio perché è stato un pensiero molto presente. E perché mi piace pensare che tutti noi, suoi amici, continuiamo a conoscere il Mondo con lui a fianco”.