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Cronaca | 04 febbraio 2022, 18:13

Caporalato a Saluzzo, processo agli sgoccioli. Parla Momo: “Mai preso soldi dai braccianti”

Lunedì prossimo, la requisitoria della Procura. Sette i soggetti sui banchi degli imputati. Almeno 19 i lavoratori che avrebbero ricevuto una paga oraria inferiore a 5 euro. Secondo l’accusa dietro l’organizzazione si sarebbe celato un vero e proprio sistema, coi braccianti che in caso di controllo dovevano fingere di non capire e comunicare un orario di lavoro falso

Immagine di repertorio

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È agli sgoccioli e lunedì prossimo si inizierà al tribunale a Cuneo la discussione del processo sul fenomeno del caporalato nel Saluzzese.

Un procedimento che trae origine dall’indagine avviata nel luglio 2018 e che un anno dopo portò in carcere un cittadino originario del Burkina Faso (dal suo soprannome il titolo dato all’indagine: Momo).

Un ex lavoratore, che secondo l’accusa insieme ai titolari di due aziende - una frutticola a Lagnasco e una di pollame a Barge, imputati anch’essi - avrebbe recuperato manodopera tra gli stagionali che ogni anno giungono sul territorio per la raccolta della frutta.

Nel corso dell’istruttoria erano state sentite le voci dei braccianti e de sindacati. A ottobre, è stata la volta di Momo Tassembedo, il presunto caporale. L’imputato ha negato di aver mai percepito soldi dai braccianti, a fronte delle accuse mossegli dalla Procura che sostiene che dietro l’organizzazione, si sarebbe celato un vero e proprio sistema di sfruttamento.

‘Momo’ sarebbe stato infatti il ‘referente’ e il ‘reclutatore’ dei braccianti. Almeno 19 i lavoratori che avrebbero ricevuto una paga oraria inferiore a 5 euro, che in caso di controllo avrebbero dovuto fingere di non capire e comunicare un orario di lavoro falso.

“Ho iniziato a lavorare tramite Momo. La mattina lavoravo nei campi di frutta per 7 euro l’ora e la notte raccoglievo i polli. Qui ero in nero – aveva riferito un lavoratore –. I soldi mi venivano dati mensili, ma nell’azienda di Barge venivo pagato in contanti da Momo.

Era un’attività notturna quella della raccolta dei polli. L’orario non era fisso perché dipendeva da quanto lavoro c’era. Iniziavo più meno all’1 di notte. Per quel lavoro c’erano delle condizioni: i capi pagavano Momo in contanti e lui si teneva la parte che considerava giusta per sé, perché ci aveva trovato l’occupazione, e il resto lo divideva per noi.

Momo sul nostro salario prendeva dai 50 agli 80 euro. Io prendevo circa 500/600 euro, dipendeva dai periodi. L’altro lavoro che mi aveva trovato era la raccolta delle pesche".

Tassembedo arrivò in Piemonte nel 2011 e non aveva un lavoro.

Viveva alla stazione di Saluzzo. Poi, l’incontro con la titolare dell’azienda frutticola, che a quanto raccontato, gli avrebbe offerto un’occupazione. “Il figlio non lavorava ancora lì -ha riferito l’imputato-. Sono stato ospite in cascina dove c’erano altri lavoratori. I titolari di Lagnasco mi avevano chiesto di trovare dei lavoratori.

Mi davano loro le direttive. Io spiegavo ai miei connazionali cosa fare. C’era una paga in busta nella quale venivano segnate non più di sette giornate di lavoro mensili e degli importi più alti. Poi c’era la paga ‘vera’, cinque euro all’ora per otto o dieci ore al giorno”.

Una parte dei soldi, ha detto, veniva trattenuta: “Erano le spese per luce e gas della cascina, toglievano anche 80 euro a ciascun dipendente. Quando abbiamo chiesto di vedere le bollette siamo stati lasciati a casa due settimane. Lamentarsi equivaleva a cercarsi un altro lavoro: ci veniva risposto ‘è quello che possiamo dare’”.

Anche lui, come raccontato, avrebbe affrontato turni lavorativi molto pesanti “quindici ore in un giorno. Trovavo lavoro agli altri ma erano favori che facevo ad amici. Alcune volte era un passa parola.

Ogni anno a febbraio venivano i sindacalisti della Cisl. Ci chiedevano se fosse stato tutto saldato e ci facevano compilare dei fogli. Noi dicevamo sempre che andava tutto bene, poi l’azienda ci prendeva 50 euro dalle paghe per ogni chiusura di rapporto”.

La situazione però, a detta dell’imputato non sarebbe stata la stessa nella ditta di pollame a Barge. “Non è vero che consegnavo le paghe in nero agli altri”.

“Nei confronti dell’azienda, facevo parte del gruppo di quelli che lavoravano sempre e che sarebbero stati lasciati a casa per ultimi. Guadagnavo il loro rispetto. Non volevo essere uno degli africani qualunque che dormono per strada” ha concluso Tassembedo.

CharB.

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