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In Breve

| 09 aprile 2022, 16:35

Rimestare nel torbido - Collectiv

Un consiglio cinematografico per chi crede nel valore e nell'importanza del giornalismo, anche crudo. Ma soprattutto per chi ci chiama 'sciacalli' fino a quando non gli facciamo pubblicità

Collective

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“Collectiv” è un film di produzione romeno-lussemburghese del 2019 realizzato da Alexander Nanau. La pellicola indaga sul sistema sanitario romeno attuale, partendo dall’incendio che il 30 ottobre 2015 ha coinvolto il Club Colectiv di Bucarest causando 27 morti e decine di feriti: i protagonisti sono due giornalisti, che partono dalle conseguenze sanitarie dell’incendio per smascherare una serie di incongruenze nel sistema sanitario nazionale.

Ve lo ricordate il deragliamento del treno del settembre 2021, quello di Lahti in Finlandia? Dove decine di feriti sono rimasti bloccati per quasi una settimana intera sotto le macerie di un tunnel? E ve li ricordate i servizi dei telegiornali di mezzo mondo, che scendevano violentemente nel dettaglio e riportavano immagini delle vittime e dei loro resti spezzati a pochissima distanza?

No? Non se lo ricorda nessuno? Ci credo. Perché non è mai avvenuto. E sapete come faccio a saperlo, che non è mai avvenuto (posto che queste prime quattro righe le ho inventate di sana pianta io stesso, ma lasciamo perdere)? Perché la notizie non è mai stata data.

Dopo oltre un mese di bombardamento mediatico incentrato sulla guerra in Ucraina cominciano ad alzarsi alcune voci – le stesse che si alzavano durante i due anni di pandemia e, ci potete giurare, le stesse che si sono sempre alzate ogni volta che un evento storico ha catturato invariabilmente l’attenzione dell’opinione pubblica - , che si lamentano della copertura e della modalità con cui alcune notizie vengono riportate. Certo, in alcuni casi hanno ragione: in un mondo in cui qualunque tipo d’immagine è raggiungibile a qualunque latitudine e da qualunque tipo di fruitore, l’attenzione alla sensibilità di ognuno non è mai abbastanza.

Ma mi sembra che, in generale, chi si scaglia contro il giornalismo in un contesto come quello di una guerra sia non troppo dissimile a chi si lamenta di come il chirurgo gli stia riattaccando il dito che si è tagliato con il coltello da cucina. O, per dirla in altre parole, che siano lamentele di chi non ricorda più com’era vivere in un mondo meno collegato, un mondo in cui nessuno abbia mai visto la fotografia di una fossa comune, e che quindi non si renda conto che raccontare una storia possa anche non essere un’attività edificante, pulita, gioiosa. La nostra quotidianità è piena di orrori, ma facciamo tutto per dimenticarcelo.

Il giornalista racconta la realtà dei fatti, quel che è successo così com’è successo (almeno nella maggior parte dei casi e delle situazioni). E in una guerra la realtà dei fatti è lastricata di cadaveri di civili, e per quanto sia difficile far entrare questa zanzara nella nostra stanzetta emotiva e psicologica personale, non possiamo davvero evitare di farlo: dimenticare o ignorare è uccidere due volte. Pensate solo cosa sarebbe, del nostro mondo, se dal ‘45 in avanti non fossero circolate le fotografie russe e americane dei campi di concentramento.

Se credete che il giornalismo d’inchiesta, sul campo, sia una delle colonne portanti della democrazia e della libertà (com’è davvero, e come credo anche io) “Collectiv” è una pellicola che vi consiglio caldamente: racconta una realtà molto vicina a noi, sia in senso temporale che spaziale, e di cui sono certo difficilmente avete sentito parlare. Ma ve lo consiglio soprattutto se la pensate diversamente, se siete tra chi considera i giornalisti ‘sciacalli’ fino a quando non pubblicano una vostra lettera sulla disposizione errata dei parcheggi sotto casa vostra, o fino a quando non pubblicizzano l’attività di vostro figlio/padre/cugino/cognato/amico intimo.

Ho paura che, per uno dei due gruppi di persone, le lettere battute su questo foglio digitale rimarranno tristemente vane. Ma, sapete, sono uno ‘sciacallo’ da quasi otto anni e mi sono abituato a voi, alla vostra caotica, insensata, stupida ricerca di qualcosa contro cui scagliarvi. Per cui indignarvi, nella speranza di dare uno sprazzo di valore alla vostra ennesima serata passata davanti al TG1.

So che tutti noi, reporter di guerra e cronisti di provincia allo stesso modo, facciamo il nostro lavoro anche per voi. E, se siete fortunati, continueremo a farlo ancora per parecchio tempo.

Simone Giraudi

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