Non solo l’omaggio al "primo grande imprenditore della nostra città" (la definizione è del compianto Aldo Agnelli), ma un esercizio di memoria utile a non perdere il filo delle proprie radici quello col quale ieri, martedì 21 giugno, il Comune di Alba ha voluto ricordare la figura di Giacomo Morra, ristoratore e albergatore, ma soprattutto autentico patriarca dell’enogastronomia albese per l’avere ideato e promosso quella Fiera d’Alba, poi Fiera del Tartufo, che oggi rappresenta un evento di caratura internazionale, ma che nella sua prima edizione nel lontano 1929, secondo un’idea condivisa col conte Gastone Guerrieri di Mirafiori, costituiva la visionaria scommessa di un "langhetto" non privo di genio.
Un "eccezionale fuori categoria", secondo la definizione con la quale prima l’assessore comunale al Turismo Emanuele Bolla e poi il sindaco Carlo Bo dopo hanno dato inizio alla serie di interventi che nella sala del municipio intitolata a Teodoro Bubbio ne hanno ricordato la figura come di "colui che prima di altri capì le enormi potenzialità del tartufo", gettando semi che hanno dato frutti importanti "non soltanto per la nostra città, ma per un intero territorio".
Lo hanno fatto, nell’anno del centenario fenogliano, richiamando a pretesto il 60° anniversario del "Piatto d’oro", contesa tra ristoranti di Langa che Famija Albeisa promosse tra il 1961 e il 1963, già allora riconoscendo all’Albergo "Savona" di Giacomo Morra – nato nel 1889 da un’umile e numerosa famiglia contadina originaria di La Morra, uscito presto di casa per aprire una trattoria e bottiglieria in via Nizza a Torino e quindi tornato ad Alba per rilevare l’albergo che insieme alla moglie Teresa seppe rendere celebre – lo status di fuori concorso, in quanto “organizzazione che esorbita da un rapporto comparativo come quello previsto dal concorso”.
Nel giro di pochi decenni Giacomo Morra era stato l’artefice di un miracolo. Ben prima della sua morte, avvenuta il 18 dicembre 1963, quell’albergo con cento camere affacciato tra la via Roma e la piazza oggi intitolata a Michele Ferrero era divenuta l’abituale meta di frotte di visitatori e di personaggi noti come Sofia Loren, mentre grandi del mondo – dal presidente Usa Harry Truman a Marilyn Monroe, da Winston Churchill a Rita Hayworth, da Winston Churchill a Joe Di Maggio – erano destinatari di straordinari diamanti grigi spediti loro per farne gli entusiasti testimonial del Tuber albese.
Nelle domeniche di Fiera si facevano tre turni per soddisfare tutti gli avventori desiderosi di gustare le specialità piemontesi del Savona, mentre lui non smetteva di girare le campagne (e le parrocchie) per sollecitare i contadini della Langa ad "andé per trifole", a non fare mancare sulle tavole del suo ristorante quell’eccellenza del territorio sino ad allora per nulla ricercata e che dagli stessi prese invece ad arrivare copiosa a ogni mercato del sabato, insieme alla selvaggina e ai prodotti della terra che i suoi cuochi preparavano tra i portici della piazza e la cucina "a vista" affacciata sulla sala del ristorante.
Un luogo unico, nelle parole di chi lo frequentò e scorrendo le cronache del tempo (a celebrarlo come il "re dei tartufi" non soltanto "Stampa Sera", ma addirittura l’inglese "The Times"), in un tempo nel quale nella capitale delle Langhe c’era forse un unico altro ristorante che potesse dirsi tale (Vigin Mudest).
Un’eccezione che nel concorso di Famija valse a Morra “un riconoscimento ufficiale del comitato per meriti acquisiti quale pioniere dell’attività alberghiera albese e nell’incremento del turismo locale”, come si può leggere nei documenti di allora e come non è difficile immaginare avendo ascoltato le testimonianze rese in sala dagli eredi oggi impegnati nell’ambizioso recupero dell’albergo o dal produttore Bruno Ceretto, che a Morra chiede venga intitolato uno spazio pubblico, "magari l’attuale via Roma", e non soltanto quel palazzo mostre che la città non ha mai sentito particolarmente suo.
Gli stessi racconti ricorrono nel video celebrativo che Alba Città Creativa Unesco per la Gastronomia ha prodotto con la collaborazione di Fondazione Radici nell’ambito di “Per Aspera ad Astra”, piatto forte del partecipato evento pubblico andato in scena nella serata di ieri al Teatro Sociale, mentre poche ore prima l’omaggio di Alba a quest’altro suo padre nobile (scontato l’accostamento a Michele Ferrero) si consumava anche grazie allo speciale menu – secondo una successione che comprende Aspic di merluzzo al verde; Antipasto di peperoni; Puccia di Langa; Ravioli di bollito; Faraona alla Cavour, Bonet 2022 – che in un ideale passaggio di testimone lo stesso Comune ha voluto affidare al "fuori concorso" dei nostri tempi, Enrico Crippa, chef tristellato del ristorante Piazza Duomo.
Insieme ai suoi collaboratori lo chef brianzolo lo ha ricavato studiando i menu del tempo e confrontandosi con gli ultimi testimoni di quella cucina. "Ci siamo divertiti – ha spiegato – cercando di capire cosa proporre oggi per richiamare questi gusti in una chiave moderna". Un esercizio, certamente riuscito rispettoso di "una storia e una tradizione che non bisogna lasciarsi indietro".