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Eventi | 15 agosto 2022, 16:35

A Preit di Canosio torna "Giganti", per raccontare le figure che hanno segnato la cultura delle Alpi cuneesi

Domani 16 agosto alle 16.30. Appuntamento dedicato a Pietro Ponzo a 30 anni dalla scomparsa

A Preit di Canosio torna "Giganti", per raccontare le figure che hanno segnato la cultura delle Alpi cuneesi

L’edizione 2002 del Roumiage – Rescountre Piemount / Prouvenço, celebra i “Gigant – Giganti”: un programma che si rifà alle figure che nella cultura europea sono stati fautori ed ispiratori di ideali, dispensatori di idee e principi. Tutto ciò sia a livello internazionale che locale. Infatti il territorio su cui, dagli anni 1960, si svolge l’evento comprende le Alpi occidentali, area periferica ed allo stesso tempo nel cuore del continente tra Francia e Italia.

Eccezionalmente il programma del “Roumiage” , che per l’edizione 2022 ha come padrino Enrico Ruggeri e si avvale della collaborazione della Fondazione Fabrizio De André - non si limiterà ai tradizionali dieci giorni di programmazione di fine agosto, ma bensì inizierà già a fine luglio, con incontri diffusi nel territorio delle Alpi sud-occidentali, che continueranno sino a novembre prossimo.

Un calendario di “Veià” dedicate a riprendere i “Gigant” nostrani, figure che in queste valli alpine del Piemonte sono emerse quali personaggi animati da ampi interessi, energia e vocazione sociale, intellettuale e religiose. Figure che hanno segnato comunità e destino di territorio montani.




ROUMIAGE - Incontri Piemonte / Provenza – 2022
Terzo appuntamento con i “Giganti”, figure che hanno segnato la cultura del territorio alpino cuneese
Preit di Canosio - 16 agosto h 16.30

A TRENT’ANNI DALLA SCOMPARSA, PIETRO PONZO RIMANE GIGANTE DELLA MEMORIA DELLA CIVILTÀ ALPINA

Fai 30 ans! Sono trent’anni che “Pietrou de Bielo” ci ha lasciati soli. Lui classe 1905, era uomo dei cambiamenti lenti, perché ancora ben solido sul terreno del primo novecento, che sapeva ancora forte di ottocento e anche si settecento, poiché erede di una civiltà, quella alpina tra Piemonte e Provenza, che ha profonde e salde radici nel tempo, sino all’epoca medievale. “Lou temp passo trop lest, tout nous douno peno e fai courre”! Certo: “Il tempo scivola via troppo presto, tutto è un affanno, un rincorrersi”! E non lo ragionavi più: la frenesia non era roba sua. Perché la vita lui l’aveva affrontata passo dopo passo allo “stesso passo”, anche quando i luoghi e le distanze apparivano traguardi irraggiungibili. E ne ragionava con l’esperienza di coloro che hanno vissuto di concretezza e vita vissuta.

Lui che di notti silenziose e giornate infinte ne aveva bevute lassù ai 1700 metri di altitudine del Preit di Canosio. Senza batter ciglio dietro la naturale scansione delle stagioni. Inverni lunghi, che ad una persona dei nostri tempi possono apparire secoli, per lui normale vivere nel solco della vita comunitaria. La stessa vita comunitaria che ad un certo punto si è rotta in tute le Alpi: quello lo scatto, la ragione che l’ha mosso davanti allo sciogliersi rapido dei giorni che incalzava sempre più. Erano gli anni 1970 e Pietro Ponzo da attore di un mondo, ne diventa narratore: ormai la civiltà alpina delle valli di Cuneo si riversava verso altri destini che l’avrebbero dispersa.
“Pietro Ponzo, non è il montanaro da foto d’epoca, mitizzato come il selvaggio di Rousseau, prefabbricato ad arte con manipolazioni e battage da industria letteraria. È semplicemente il montanaro di comunissima condizione, non eroe contadino, non pastore, non reduce di guerra o della resistenza, notabile di paese, né amministratore. È semplicemente l’uomo testimone, il depositario, colui che ricorda”.
Così scrive Sergio Arneodo nella prefazione alla sua prima opera letteraria “Val Mairo la nosto”. Nei suoi libri ( Val Mairo la nosto, Val Mairo Viéio Suhour, Gent de ma valado) Ponzo porta l’intero suo fagotto di esistenza, di esperienza e di cultura alpina. La sua testimonianza racconta la val Mairo e raggiunge e sorprende anche la gente della sua terra: “Ma… scrivono di noi”, “Qui il mio paese, la via della valle…”.
Le opere dell’autore del Préit si susseguono e stimolano altri narratori a cimentarsi nella narrazione scritta. Ma non tutti hanno una storia così preziosa da raccontare ed una memoria così solida da rendere toccabili momenti accaduti anche oltre cento anni fa.

“Sìou neissu mountagnar, ilamoun dins uno di mai autos ruhas, forsi la mai auto de la Val Mairo”. Sono nato montanaro, lassù, in una delle più alte frazioni della valle Maira e ringrazio Dio che mi ha fatto nascere lassù, vicino alle alte vette, piuttosto che in un vicolo di città, perché lassù fin dalla tenera età ho potuto conoscere le infinite bellezze della natura nelle sue creature viventi, nelle sue piante, nelle sue nevi, come in tutti i suoi imponenti e molteplici sconvolgimenti atmosferici. Ho contemplato il rotolare delle valanghe e tremato alla furia dei torrenti in piena”.

Da Préit alla Provenza della Camargue
Nei paesi della montagna, ad inizio novecento ancora densamente popolati, l’emigrazione stagionale era uno sfogo necessario. Così anche per Pietro un autunno prese la via verso la Francia. “In compagnia di un cugino e con il viatico di centro lire (dico cento lire), ma di quelle buone di allora, raggiungemmo Arles, capitale dei grandi allevamenti di pecore merinos. IN poco tempo fummo assunti da una “Mas”, una fattoria agricola. Mi trovai sbalestrato tra la piana desertica della Crau e la Camargue: avevo da prendermi cura di quattrocentocinquanta arieti. Rimasi con quella famiglia tre anni e trattato bene! Quei grandi spazi erano fatti per me (avevo diciassette anni)e ancor più mi entusiasmavano le belle cavalcate, durante i quali si ispezionavano i branchi dispersi negli acquitrini. Poi feci l’esperienza indimenticabile della Routo, la transumanza che porta le greggi dalla Camargue alle Alpi: ventotto giorni incessanti di marce a piedi. Li rivedo ancora con gli occhi della memoria quei magnifici greggi di migliaia di capi, vera fiumana di lana, che fluivano lungo le valli della Savoia, dell’Isère, del Delfinato, della Provenza…”.

Coscienza di una civiltà
Lavoro di “pastre”, di custode di greggi, che venne interrotto dalla chiamata al servizio militare, quindi ripreso e poi di nuovo interrotto sotto i primi cannoneggiamenti della seconda guerra mondiale. Da qui la vita in famiglia, le nozze con Fino, i figli. La vita di paese si fa intensa e il montanaro non attraversa più le Alpi verso la Provenza, ma vive a fondo la val Mairo. Così la fatica diventa condivisione in lavori comunitari per la fienagione, nel bosco, lungo le strade delle “desene” (squadre di uomini che a turno, badili alla mano, aprivano le strade dopo le nevicate).
Materiale che accumulerà nella sua memoria, che dopo l’incontro cardine con Sergio Arneodo, diventa narrativa e letteratura di grande pathos. Passione che si fa scrittura, si diceva, passione che lo porta a narrare oltre al propria vita anche la vita degli altri, dei paesi vicini, della valle intera e della valli confinanti. Ne nasce un affresco che restituisce l’interezza e la forza del mondo alpino e della sua civiltà millenaria La memoria si allarga al mito, alle narrazioni fantastiche ed alla mitologia, ma il fondo rurale e vissuto resta costante, perché tutto per Ponzo deve poggiare sulla realtà: realtà che lui intende fortemente restituire, perché sa di esser uno degli ultimi a conoscere le vie dell’emigrazione, i passaggi ai pascoli, i segnali di avvertimento che la natura fornisce per non cadere sotto una valanga, l’antica lingua provenzale… Lui si rende conto che nessuno più saprà raccontare come si scendevano i tronchi di abete e larice lungo il Maira: discese primaverili del legname sull’acqua dei torrenti, per poi ‘rasettarlo’ a valle e farne vendita. Erano viaggi pericolosi che echeggiavano di terre nordiche, fiordi nostrani, gole pericolose e avventure di grande partecipazione comunitaria: “Tutto avveniva in gruppo, uno per l’altro. Da soli quassù eravamo nulla”!

Una dote, quella di Pietro Ponzo, a cui ognuno può attingere e che lui ha sempre voluto elargire con generosità, sin da quando iniziò a entrare nelle scuole, incontrare i ragazzi, condividere un sapere antico che sapeva di identità, coraggio e eternità: “Certe cose non si dimenticano”! Hai ragione “Pietrou”, su quelle fatiche si è costruita la civiltà alpina, le speranze di generazioni, che devono molto ai “Giganti” come te. Fan trent’anni, ma sappi è poca cosa, c’è ancora molta gente che nel tuo non dimenticare trova ragione di vivere!




La figura e l’opera di Pietro Ponzo sarà ripresa e narrata con numerosi interventi, immagini e proiezioni il 16 agosto, a Preti di Canosio, ore 16.30. Una collaborazione di Coumboscuro Centre Prouvençal - Pro Loco di Preit
INFO: info@coumboscuro.org - tel. 0171.98707 – 328.6039251

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