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Attualità | 28 novembre 2022, 12:00

Le piccole imprese vedono nero: "Male come nel periodo Covid, non se ne esce prima di un anno"

Crolla il clima di fiducia tra le aziende piemontesi di dimensioni più ridotte. Pesano costi, energia e un prezzo finale che non può aumentare troppo

Le piccole imprese vedono nero: "Male come nel periodo Covid, non se ne esce prima di un anno"

Discendente, orizzontale e pragmatica. In una parola, Dop: così CNA Piemonte etichetta l'andamento economico delle pmi regionali nell'indagine condotta insieme a Unicredit. A differenza del marchio di qualità, però, la sigla non è garanzia di buona salute, in questo periodo.

Poca visione, alleanze parziali e debolezze locali

"Come le due indagini precedenti, siamo di nuovo di fronte a una situazione figlia di uno shock - dice il segretario di CNA Piemonte, Delio Zanzottera - e dunque di un'instabilità diventata stabilità. Dalla crisi del 2008 alla pandemia e alla guerra, con relativa crisi energetica".

Crescita discendente vuole significare soprattutto una polarizzazione, "tra chi opera sul mercato locale e fa più difficoltà, mentre chi è più strutturato soffre di meno. Ma la maggior parte delle aziende micro e piccole soffre una combinazione di fattori negativi come i costi, il caro energia e l'impossibilità di scaricare sul cliente finale", dice Zanzottera. Per questo il concetto di orizzontalità: "Le aziende cercano forme di convivenza dove ciascuna realtà mantiene la sua autonomia di decisione, invece di scegliere una crescita verticale". Pragmatico, infine, è l'approccio alle soluzioni: "Ci si basa sulla contingenza e non sulla visione di lungo periodo".

Schiacciati dai costi e dalla sfiducia

Pesa il costo delle materie prime (+92), che non viene riversato completamente sui prezzi finiti (+68). E anche per questo le previsioni, dopo un primo semestre dell'anno in flessione rispetto a un rimbalzo del 2021, non promettono nulla di buono. I pessimisti aumentano, portando un saldo negativo per fatturato, occupazione, mercato (estero e interno) e investimenti. Tanto da tornare a livelli Covid, a livello di sfiducia.

"L'uscita della crisi? Più di un anno", la risposta più diffusa. Un'opinione che si abbina a quella che, di previsioni, non è nemmeno in grado di farne. "Anche perché la contrazione della redditività elimina anche risorse per investimenti", sottolinea Daniele Marini, docente universitario  e responsabile dell'indagine.

Proprio l'energia è lo spettro che si aggira nel tessuto produttivo regionale. Tutti pensano che la situazione peggiorerà, ma l'83,2% non ha mai fatto nulla per diversificare le fonti di produzione energetica. Solo un 11,7% si è dedicato al solare. Il resto è assolutamente marginale. Il motivo di questo immobilismo è, per il 39%, il costo eccessivo dell'investimento. Chi pare orientato, chiede però una formula di credito d'imposta.

Uniti, ma non troppo

Che fare? In tanti pensano ancora che essere piccoli possa rappresentare un vantaggio, soprattutto nelle nicchie di mercato (40% circa), mentre più di una su due (52%) ritiene che ci si debba aggregare, ma rimanendo autonomi. Quasi un'azienda su tre (29%) "sta pensando" a una forma di aggregazione, mentre chi ha già fatto il passo in avanti realizza soprattutto progetti comuni. Le richieste? Semplificazioni, ma anche incentivi e sgravi, entrambi con quote intorno al 36%.

Quasi nessuno però ricapitalizza per rimanere competitivo, ancor meno sono coloro che pensano di aprire il capitale sociale a terzi.

Massimiliano Sciullo

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