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Attualità | 20 giugno 2023, 07:21

Il racconto del designer percettologo Giulio Bertagna: “Così l’ospedale di Verduno è diventato un paesaggio”

Giulio Bertagna, già docente di Colore e Percezione cognitiva al Politecnico di Milano, ci spiega il suo approccio al Progetto Colore affidatogli dalla Fondazione Ospedale Alba-Bra, per l’umanizzazione ambientale dell’Ospedale di Verduno. “Leopardi ha inspirato il mio intervento nel reparto di Radioterapia”

Il racconto del designer percettologo Giulio Bertagna: “Così l’ospedale di Verduno è diventato un paesaggio”

“In qualsiasi spazio un essere umano si muova, l’osservazione di dettaglio determina subito l’orizzonte del momento, insomma guarda più lontano che può, poi esplora il territorio tra sé e quell’orizzonte temporaneo all’altezza degli occhi. Anche in un interno le modalità non cambiano; sono dunque le pareti le superfici più osservate. Le pareti comunicano l’identità del luogo e i suoi valori in quel momento non visibili”.

Inizia così la spiegazione del designer percettologo Giulio Bertagna, che per sei anni è stato professore incaricato di Colore e Percezione cognitiva al Politecnico di Milano, collaborando alla configurazione dell’attività del Laboratorio Colore del Politecnico di Milano e facendo poi diverse esperienze di umanizzazione di Rsa, nuclei Alzheimer e Sla. La sua ultima sfida è il Progetto Colore per l’umanizzazione ambientale dell’Ospedale di Verduno. Ad affidarglielo la Fondazione Ospedale Alba-Bra, che tra i tanti obiettivi in nome della bellezza e del benessere dei pazienti, ha quello di creare ambienti accoglienti e rilassanti nei reparti.



Lei si occupa dell’umanizzazione ambientale, di cosa si tratta?
“Con il termine umanizzazione ci si riferisce specificatamente all’ambito sanitario e si mette l’accento sulla necessità che una struttura articolata e progettata seguendo criteri funzionali, sia anche in grado di rispondere a requisiti di accoglienza e qualità ambientale. Da anni siamo di fronte a nuovi protocolli di approccio fra il personale medico e i pazienti e loro accompagnatori, in un virtuoso processo di umanizzazione di queste relazioni. Questo processo ha messo in evidenza quanto fosse determinante la qualità percettiva degli ambienti nei quali si realizzavano queste relazioni, al punto da attribuire valenze terapeutiche a quegli interventi che rendevano l’ospedale non più avvilente e depressivo, ma come un luogo di attenzioni e di accoglienza dedicate non solo ai pazienti e loro parenti, ma anche al personale sanitario, coadiuvando in tal modo il loro operare. Le sommarie indicazioni ministeriali suggeriscono l’installazione di apparati distraenti, ma ciò può portare a pensare che un poster o un quadro possano bastare o risolvere”.

E, invece, non è così.
“Certo è meglio che niente, ma non solo è difficile che questi poster stimolino la fantasia, ma è anche verosimile che vengano percepiti come complementi di arredo fuori luogo. In un ospedale ci sono carrelli medicali e barelle appoggiate alle pareti, a loro volta piene di cartelli orientativi, di avvisi, di estintori e apparati antincendio, di bacheche, di quadri di controllo dei diversi impianti tecnologici. L’umanizzazione ambientale, spiegata in parole semplici, deve riuscire a integrare stimoli visivi estetizzanti con tutti questi apparati in un insieme, in un paesaggio che faccia apparire gradevole perfino un estintore”.

Qual è il suo approccio?
“La percezione di bellezza, di usabilità, di estetica sono sentimenti rassicuranti e piacevoli risultanti da un’elaborazione cerebrale di natura psicofisiologica, non si può dunque progettare l’apparenza di luoghi di criticità, come gli interni di un policlinico, ignorando quali possano essere le risposte a certi stimoli che investono gli ambiti fisiologici e psicologici dell’individuo, inducendo, di conseguenza le risposte comportamentali. Non è una situazione affatto banale, per esempio, il perdersi in un ospedale. Non riuscire a trovare l’ambulatorio dove si ha l’appuntamento o il reparto di degenza di un parente appena ricoverato.
Capita a tutti, sempre, di dover chiedere informazioni al primo camice che capita a tiro. Può confortare chi si sia trovato in questa avvilente situazione, il sapere che non esiste un ospedale al mondo dove non ci si possa smarrire. È una situazione che mette in grosso disagio, anche perché chi ne è vittima si trova già in condizioni di stress psicologico”.

Qui entra in gioco lei.
“Il mio lavoro configura un paesaggio memorizzabile e riconoscibile, nel quale gli elementi di stimolo visivo si integrano con nuovi sistemi per le indicazioni orientative dei percorsi più complicati. Un importante traguardo per il quale stiamo lavorando con la Fondazione Ospedale Alba-Bra è proprio quello di poter affermare che nell’Ospedale Michele e Pietro Ferrero non si perde più nessuno”.



Da cosa si parte?
“Configurazioni cromatiche e colori vengono progettati non solo seguendo un criterio estetico, ma soprattutto tenendo conto dei complessi meccanismi della percezione cognitiva. A proposito di orientamento, le stesse neuroscienze insegnano la predisposizione del nostro cervello a orientarci nell’ambiente naturale boscoso, proprio dove ci siamo evoluti prima di colonizzare le aree meno accoglienti del pianeta. Non a caso siamo in grado di distinguere molte più tonalità e sfumature di verde, rispetto a quelle di blu o di rosso. Non a caso le induzioni del verde sul sistema nervoso autonomo sono quasi nulle, ovvero detto in parole povere, né ci tranquillizzano, né ci eccitano. L’ideale per viverci. Per questo “fa bene” una passeggiata per i boschi. Ma per ritornare all’orientamento le farei un esempio”.

Prego.
“Sembra una cosa banale, ma è sorprendente. Le sarà capitato di percorrere un sentiero di montagna per la prima volta in vita sua. Ecco, nel tornare indietro lei sarà stato già in grado di ricordare di essere passato in una certa radura, in una certa curva del percorso, eppure stava vedendo tutto a rovescio. Ciò che era salita era diventata discesa, ciò che all’andata era a destra, al ritorno era a sinistra, tutta la sequenza delle scene era al contrario. Nessuno sforzo per ricordare, niente calcoli, niente cartelli, niente colori salienti, nessuna ansia. Insomma, è vincente il concetto di paesaggio, dove tutti gli elementi sembrano simili, ma sono assolutamente diversi come le foglie di uno stesso albero. Ovviamente non si può pensare di trasformare un ospedale in una foresta”.

L’idea che precede gli interventi è chiara.
“Si tratta di configurare la diversità delle varie scene che si possono osservare percorrendo i corridoi, facendo in modo che possano caratterizzare le diverse stanze, ambulatori, corridoi, adeguandosi ovviamente alle attività mediche che vi si svolgono e allo stato dei pazienti. Tra lo stato psicologico di chi si trova in sala d’attesa per una visita ambulatoriale e di chi si trova in barella con codice rosso c’è una certa differenza. Importante è evitare la monocromia, mettendo a disposizione degli osservatori più frequenze cromatiche, affinché possano sempre trovare quella a loro necessaria in un certo momento”.

Lei è stato incaricato di realizzare il progetto colore dell’Ospedale di Verduno.
“Ci sono stati diversi obiettivi, tra cui la massimizzazione del comfort di soggiorno e di lavoro e l’ottimizzazione dei flussi di transito. il progetto si è occupato del controllo, la determinazione e l’allogazione dei colori per arrivare alla creazione di scenari percettivi in grado di agevolare l’orientamento e i processi di simbiosi ambientale. Può sembrare esagerato parlare di simbiosi ambientale, ma dà bene l’idea della nostra necessità di familiarizzare con l’ambiente in cui ci troviamo. Un bel ristorante, ma anche una trattoria, oltre alla bontà del cibo e del servizio, conta molto sull’offerta ambientale, perché ancora prima dell’antipasto, la gente avrà eletto a casa propria quel posto. È una necessità biologica di controllo del territorio, di sicurezza e di necessità di usufruire con serenità di un certo vantaggio offerto.
Perché non dev’essere così anche per un ospedale?"

Ha già umanizzato il Blocco Parto, il Pronto Soccorso, diversi corridoi di connettività, ma uno degli interventi più apprezzati è stato quello del reparto di Radioterapia.
“È stato uno degli ambienti su cui ho potuto intervenire dall’inizio, quando c’era ancora solo il cemento a vista e ho avuto la possibilità di scegliere tutti i materiali e anche il colore delle porte. Con soli quattro colori ho realizzato molti pannelli percettivi sulle pareti, tutti simili l’uno all’altro, ma tutti assolutamente diversi. Paesaggi surrogati in grado di accendere la fantasia, l’immaginazione. Ricorda L’infinito di Giacomo Leopardi? “Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura…”. Ecco, un tipo di apparato percettivo che ho ideato e che ho utilizzato nel reparto di Radioterapia, posso dire mi sia stato ispirato dal Leopardi”.

A livello pratico che cosa ha fatto?
“In sintesi, ho realizzato una configurazione variabile di semplici elementi grafici geometrici che per colore e modalità di intersezione, creassero delle quinte virtuali che, oltre a nascondere l’una una parte dell’altra, nascondessero a loro volta un orizzonte immaginario o parte di esso, stimolando così l’immaginazione dell’osservatore molto più di una qualsiasi fotografia di un qualsiasi paesaggio naturale che il cervello brucia in due secondi e nella quale non riesce a entrare. L’artista di quel quadro percettivo non sono più io, ma è l’osservatore, che lo può plasmare a suo sentimento. Oltre quella siepe, c’è la vita che continua, la speranza, la via d’uscita. Ringrazio la Fondazione Ospedale Alba-Bra che mi ha dato fiducia e l'opportunità di perfezionare l'attività di ricerca applicata in questo ambito, promuovendo in tal modo questa necessaria ed emergente figura professionale per il consolidamento e l'affermazione della quale auspico una formazione universitaria specifica”.

Daniele Vaira

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