Anche gli allevatori di piccola scala potranno sedere al tavolo tecnico nazionale dedicato alla peste suina africana. Ad annunciarlo è il Commissario straordinario che si occupa di gestire l’emergenza, Vincenzo Caputo, intervenendo alla 14esima edizione di Cheese, in cui sono centrale i temi delle diverse forme di allevamento e del benessere animale, a Bra fino al 18 settembre. «Un rappresentante dei produttori di piccola scala sarà invitato a partecipare al tavolo tecnico voluto dal ministero – le parole di Caputo – . È una mia promessa: anche i più piccoli devono avere voce in capitolo. Credo che nel giro di quindici o trenta giorni ci sarà la prima riunione».
Il Commissario Caputo è intervenuto alla conferenza nel programma della manifestazione organizzata da Slow Food e Città di Bra e intitolata Peste suina africana. Chi paga il prezzo più alto?, alla quale hanno preso parte, tra gli altri, Elisabeth Paul e Stefano Chiellini, allevatori di suini tra Piemonte e Liguria. Entrambi hanno raccontato le enormi difficoltà vissute da quando, nel gennaio del 2022, sono stati identificati i primi casi di peste suina africana nel nord Italia.
«Noi allevavamo una settantina di suini allo stato semibrado – ha raccontato Elisabeth Paul, della cooperativa agricola Valli Unite di Costa Vescovato (Alessandria) – e facevamo il cosiddetto ciclo chiuso in azienda: significa che non acquistavamo i suinetti da fuori ma li producevamo internamente. Così facendo, però, non abbiamo ottenuto i risarcimenti erogati, invece, a chi era in grado di dimostrare, fatture alla mano, i costi sostenuti per l’acquisto dei piccoli esemplari. E in più, i risarcimenti arrivati sono il 10% di quanto promesso».
«Gli allevamenti intensivi – ha aggiunto Stefano Chiellini, della Cooperativa agricola Monte di Capenardo (Genova) – hanno ricevuto risarcimenti fino a 35 volte superiori rispetto a quelli erogati a noi. Servono protocolli per le aziende agricole che hanno resistito fino a oggi, tali da consentire di proseguire l’allevamento all’aperto. Sapere che al tavolo tecnico si unirà un rappresentante delle associazioni locali dei piccoli produttori è importante: sono loro che vivono e lavorano sul territorio e che sanno come e che cosa si può fare».
«Quello che voi fate è il futuro della zootecnia mondiale – ha aggiunto Caputo – . Credo che in futuro si alleveranno animali solo nelle aree marginali, quindi dobbiamo difendere chi oggi lo fa in maniera pionieristica: le istituzioni non vi lasceranno soli».
Per il contenimento dei cinghiali abbattimenti e terapie farmacologiche
Il Commissario Caputo ha anche parlato del piano di contenimento della popolazione di cinghiali: «Stiamo favorendo la nascita di progetti per la sterilizzazione farmacologica della popolazione di cinghiali – ha annunciato – . Si tratta di ormoni che funzionano come la pillola anticoncezionale nell’essere umano e che sono specie-specifici: significa che, se anche un altro animale li ingerisse, non succederebbe niente. In due o tre anni potremmo ottenere un forte abbassamento della popolazione del cinghiale». Poi, siccome «la pillola è reversibile, si può in ogni momento sospendere la somministrazione. In ogni caso, non devono esserci cinghiali in città e nei distretti suinicoli».
Nel frattempo è necessario ridurre la popolazione di cinghiali presenti in Italia. Nel piano pubblicato ieri si legge che il prelievo complessivo nel 2024 ammonta a circa 612mila esemplari. «Cominciamo a mangiare un po’ di più la carne di cinghiale – ha concluso Caputo – . Una parte, poi, può venire destinata al settore del pet food».