La “riforma della riforma” delle Province era stata annunciata con enfasi già all’indomani della vittoria elettorale del centrodestra del 25 settembre dello scorso anno.
Sembrava tutto pronto: i cittadini sarebbero stati chiamati quanto prima alle urne per tornare a eleggere il Presidente e il Consiglio delle loro Province, così come avveniva prima del 2014, anno dell’entrata in vigore la legge Delrio, e invece non se ne farà nulla, almeno fino al 2025.
Tutto si è arenato in Commissione Affari Istituzionali al Senato.
Le ragioni? Mancano i fondi alla vigilia di una complicata legge di bilancio dove si dovrà raschiare il fondo del barile per cercare di far quadrare i conti dello Stato e, in più, non c’è unanimità di intenti tra le forze politiche di maggioranza.
La forbice dei costi previsti oscilla tra i 300 milioni e il miliardo di euro all'anno, ma secondo i più realisti si arriva a superare (tutto compreso) il miliardo e mezzo di euro.
Bisogna infatti considerare il ritorno alle indennità per il presidente e gli assessori, i gettoni di presenza per i consiglieri e, soprattutto, le spese derivanti dalle competenze e dalle funzioni che dovrebbero essere restituite dalle Regioni alle Province.
Il superamento della Delrio è da sempre una priorità per la Lega: per questo sarà interessante sentire cosa dirà oggi pomeriggio, nella sede di Confindustria Cuneo, il ministro degli Affari regionali e dell’Autonomia Roberto Calderoli, ospite di un convegno insieme all’attuale presidente Luca Robaldo e al “decano”, suo predecessore, Giovanni Quaglia.
Il titolo, “La Rinascita delle Province”, sottende ottimismo ma sarà veramente così?
I segnali che arrivano da Palazzo Chigi sembrano raffreddare gli entusiasmi.
Il ministro Calderoli, intervenendo di recente alla manifestazione della Lega a Pian della Regina, ha ribadito di voler procedere, ma ha dovuto ammettere che i tempi per darvi corso nella tornata elettorale del 2024 sono troppo stretti.
Più esplicito è stato il capogruppo alla Camera del suo stesso partito, Riccardo Molinari. “Non si può fare – ci ha confidato al raduno leghista ai piedi del Monviso evidenziando discrepanze tra Lega e Fratelli d’Italia – perché la Meloni non vuole”.
In questi ultimi giorni – così riferiscono le cronache parlamentari - sono tornati ad alzarsi i toni tra Fratelli d’Italia e Lega e ci si è accorti che le Province non sono più in cima alle priorità del governo.
Tra 50 giorni o poco più, sindaci e consiglieri comunali del Cuneese (e con loro quelli di una sessantina di altre Province sul territorio nazionale) dovrebbero tornare alle urne perché il Consiglio provinciale, in base all’attuale normativa, è in scadenza a fine anno (era stato votato il 18 dicembre 2021).
Se resterà in vigore la Delrio, entro dicembre si dovrà procedere per tornare a eleggere il Consiglio provinciale, ma non il presiedente, essendo stato eletto appena lo scorso anno.
Anche le scadenze sfalsate tra l’elezione del Consiglio e del Presidente rappresentano un ircocervo normativo di difficile comprensione. Ma tant’è.
Vedremo se dal ministro arriveranno indicazioni più precise rispetto a quanto se ne sa al momento.
Le domande in attesa di risposta sono in sintesi tre.
La prima riguarda l’immediato: si vota col vecchio sistema o ci sarà una proroga dell’attuale Consiglio provinciale? E se sì per quale durata?
La seconda la possibile road map sul ritorno all’elezione diretta da parte dei cittadini e, per quanto possibile, le modalità di voto che dovrebbero essere rappresentative di tutto il territorio, aree montane e periferiche comprese.
La terza – fondamentale – chiama in causa ruolo, funzioni, competenze e risorse che, per una realtà territorialmente vasta qual è la Granda, sono aspetti imprescindibili.