Varcare i cancelli, passare i controlli, entrare tra le alte mura grigie della Casa di Reclusione di Saluzzo leva un po’ il fiato anche ad una scolaresca di 75 adolescenti che poco sanno di quella realtà fatta di limiti, regole e divieti.
Si entra senza nulla in carcere, solo con la carta d’identità e una valanga di domande che ronzano nella testa.
Si entra per vedere uno spettacolo teatrale ma non ci si aspetta che la rappresentazione sia così coinvolgente, vivace, a tratti ironico ed infine commovente.
I ragazzi detenuti hanno provato un anno intero per preparare questo spettacolo sotto la direzione appassionata della regista Grazia Isoardi e del coreografo Marco Mucaria della Cooperativa sociale "Voci erranti" che da molto tempo si occupa di teatro, cultura e inserimento lavorativo nelle carceri.
Amunì è uno pièce teatrale che nasce dalla riflessione che i detenuti hanno fatto sul tema della paternità, dell’ essere contemporaneamente figli e padri, padri assenti e figli difficili, figli cresciuti senza padri non perché orfani ma perché privi di padri autorevoli e portatori di valori e delle responsabilità della vita.
Dopo lo spettacolo la compagnia teatrale ha risposto per un’ora intera alle domande incalzanti, pertinenti, immediate a volte spiazzanti dei ragazzi.
“Questa è la vita vera, non è quello che vedete nei film, voi ora andate via da quella porta e vendendovi uscire penseremo ancora più fortemente alla vita fuori, a ciò che ci perdiamo e ai nostri figli che hanno più o meno la vostra età”.
Poi i tempi rigidi del carcere hanno dettato la fine dell’incontro: ai detenuti il tempo lungo dell’attesa, a noi il tempo per riflettere su quante certezze possono essere scardinate in così poco tempo.
“Un’esperienza toccante, non solo con un forte valore educativo per i ragazzi ma anche per noi adulti che li accompagnavamo” - spiegano gli insegnanti del Momigliano di Ceva - “Siamo usciti un po’ diversi da come eravamo entrati, più consapevoli di un mondo a cui spesso nemmeno vogliamo pensare ma che in realtà è lo specchio della nostra società”.
“Ho abbandonato i miei pregiudizi” - aggiungono gli studenti - “prendere la strada sbagliata comporta una pena che non pensavo potesse essere così lunga, sentir dire con schiettezza quanti anni di carcere dovevano ancora scontare colpisce moltissimo” “ Avevo un po’ di ansia prima di entrare ma vedere in faccia i detenuti tutto è sembrato diverso”. ”Questa esperienza mi ha fatto capire che anche dagli errori si può cambiare si può diventare persone diverse. Si vive una volta sola e il tempo vale più di qualsiasi altra cosa”.
L’uscita didattica alla casa di Reclusione Morandi è inserita dentro ad un progetto sulla legalità e sull’articolo 27 della Costituzione Italiana, che prevede per i ragazzi delle terze dell’ Istituto Momigliano di Ceva anche altri momenti di riflessione in riguardo: avranno modo di trattare di queste tematiche in classe con un ulteriore incontro con Grazia Isoardi (che ringraziamo per la sua disponibilità) e con la professoressa Maria Pia Paura che per tre anni ha svolto il suo lavoro all’interno dei carceri di Saluzzo, Fossano e Cuneo e che gentilmente mette a disposizione la sua esperienza per spiegare che cosa vuol dire insegnare in un carcere.