Ha finalmente fatto ritorno a casa l'urna del militare monregalese Adolfo Vietto, morto nel campo di sterminio di Dortmund, in Germania, nel 1944.
Ieri, domenica 12 novembre, il Comune di Lequio Tanaro ha ospitato una cerimonia solenne, alla presenza di molte autorità territoriali, per accogliere le sue spoglie, ritornate in patria grazie all'intenso lavoro e alle ricerche dell'onlus “col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo”, su incarico di Aldo Vietto, taxista di Mondovì, nipote del Fante Adolfo Vietto.
Negli scorsi mesi, tramite l’Onorcaduti del Ministero della Difesa, sono state disposte le varie procedure per il rientro dell’urna che era stata presa in carico, lo scorso 8 novembre a Torino, dal sindaco di Lequio Tanaro, Giuseppe Trossarello, dal parroco Antonio Calandri, dal nipote Aldo Vietto e dal presidente della onlus “col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo” Romolo Garavagno.
LA CERIMONIA
Una giornata di sole ha fatto da cornice alle celebrazioni che ieri sono state dedicate al ritorno a casa delle spoglie dell’IMI Internato Militare Italiano).
"Il sole pieno ha favorito tutta la cerimonia, - spiega Romolo Garavagno, della onlu “col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo” - resa particolarmente dignitosa per la presenza del Picchetto del reggimento Artigilieria terrestre da montagna di Fossano, con iil tenete colonnello Luca Baldini, i Carabinieri in Grande Unifotrma con il Comandante della Stazione di Bene Vagienna, Chiara Boasso e una infinità di Sindaci, con in testa Trossarello e poi i primi cittadini di Pamparato, Mondovì, Cuneo, Bastia, Monchiero, Barolo, BeneVagienna, Rocca de’ Baldi, Piozzo, Priocca, Somano ed altri. Presenti anche i consiglieri regionali Maurizio Marello e Matteo Gagliasso".
Tante anche le associazioni che hanno presenziato all'evento, oltre ai rappresentanti della onlus “col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo”, la FIVL, l'ANPI, l'associazione Ignazio Vian, l'ANA, Famiglie caduti, Aned.
Commovente la presenza del reduce Ugo Re, 98 anni, che on emozione ha posto la mano sulla urna di Adolfo Vietto.
"Sensibilissimo liturgicamente - conclude Garavagno - il Parroco don Antonio Calandri, che ha saputo evitare la retorica, ma ha approfondito il significato spirituale del collegamento tra i parenti e i fedeli in genere, del giovanissimo militare morto di stenti in campo di Internamento. Davanti al Monumento ai caduti la pronipote di Adolfo, Elisa Vietto, ha voluto recitare, in modo ammirevole, una testimonianza, mentre il sindaco di Mondovì e il Presidente della Provincia, Luca Robaldo ha ringraziato il nipote dell’IMI Aldo Vietto, per la sua opera."
LA LIRICA DI REMIGIO BERTOLINO
“Caro Adolfo, a vent’anni te ne sei andato, quando la vita è nello splendore del mattino.
La belva nazista ha straziato il tuo corpo, ti ha tolto la vita, ma non hai piegato lo spirito di libertà né cancellato i grandi ideali che hanno illuminato il tuo breve cammino. Bentornato a casa”.
ADOLFO VIETTO
Nato a Mondovì il 4 giugno del 1924, visse prima in via Vico e poi in via Gallo, dove nel 2022 è stata posata la targhetta della memoria in suo ricordo (leggi qui), Di famiglia di fornaciai, emigrò, nel 1935, a Dogliani, ove viveva in rione Castello.
[La targa della memoria posta a Mondovì Piazza]
Arruolato nel 43° Reggimento Fanteria, di stanza ad Alba, durante una Licenza fu rastrellato dai nazisti e internato nel Campo di Dortmund, ove morì il 9 giugno 1944, pochi giorni dopo il suo ventesimo compleanno. Sepolto nel cimitero locale, nel Campo 2 – Tomba 92, venne poi traslato nel Cimitero Militare Italiano di Francoforte sul Meno, nel Riquadro M, fila 1 – Tomba 1.
Il caduto fu uno degli Internati Militari Italiani, calcolati in 600 mila, eroi senza saperlo, che rifiutarono di prestare giuramento alla insensata Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Alcuni lo fecero con matura convinzione, per non aderire alle insane ideologie naziste. Molti per rispettare l’impegno verso la Patria, che nei reparti militari insegnavano dovesse essere il Giuramento al Re, capo della nazione. Rinchiusi in Campi, che nulla avevano di diverso da quelli per Deportati politici e razziali, a migliaia morirono per fame e malattie non minimamente curate. Purtroppo la loro tragedia troppo poco è tenuta presente dalla nostra nazione e dai cittadini, che spesso ignorano gli atti di vero eroismo.