Sabato 9 marzo l’associazione “Casa delle donne” di Villafalletto ha voluto ricordare l’ottantesimo anniversario dell’uccisione di due partigiani GL della valle Maira, avvenuta all’imbocco di corso Umberto.
Per l’occasione la lapide al civico n. 54 è stata restaurata. Studenti della scuola media hanno letto brani di una lettera di Giovenale Lamberto, effettivamente deceduto sul luogo (il secondo colpito, Roberto Blanchi di Roascio, fu dai compagni trasportato all’ospedale di Saluzzo, dove spirò) e ha dato un contributo di testimonianza una nipote di Lamberto. Lo scrittore Paolo Calvino (autore tra l’altro di una guida ai luoghi della resistenza nel cuneese) ha sottolineato i valori umani e ideali dei due caduti. A me è toccato inquadrare l’episodio nel contesto più generale: perché caduti a marzo e perché a Villafalletto (tre giorni dopo toccherà a quattro garibaldini della val Varaita, fra cui uno dei fratelli Pistoi)?
Marzo 1944 è un mese di offensive partigiane. Il 22 gennaio 1944 gli alleati sono sbarcati ad Anzio, la liberazione di Roma pare imminente e con essa il crollo del fronte tedesco. Il Comitato insurrezionale per Piemonte, Liguria e Lombardia proclama uno sciopero generale per il 1° marzo o nei giorni successivi, se i podestà o i comandi tedeschi nel caso di stabilimenti ausiliari (che lavorano per la guerra) escogitino l’espediente di ferie obbligatorie, come accadrà alle Officine di Savigliano.
Lo sciopero deve assestare un colpo all’economia tedesca che, con i bombardamenti angloamericani e l’avanzata russa, è costretta a ricavare il 15% della sua produzione industriale e il 20% delle derrate alimentari dall’Italia del Nord, sottraendole alle popolazioni. Al 9 avevano già scioperato i lavoratori della valle Tanaro, protetti dai partigiani autonomi e dai garibaldini liguri, quelli della valle Po, del cotonificio Wild di Piasco e gli addetti al caseificio-salumificio di Moretta di Mattia Locatelli. Locatelli era amico della resistenza: Franco Terrazzani, comandante garibaldino, era stato precettore dei suoi figli.
Tra una consegna e l’altra di salumi, formaggi e burro ai tedeschi l’industriale riservava un carico per i partigiani, denunciato ovviamente come rapina. Il giorno prima era cominciata l’agitazione fra i mille cartai di Verzuolo in quello che era il secondo stabilimento della provincia per numero di addetti. Lamberto e Blanchi con il comandante di distaccamento e un autista dovevano raggiungere dei giovani arruolati nella Todt al servizio dell’aeroporto della Grangia, fra Scarnafigi e Lagnasco, per farli scioperare o passare fra le fila partigiane, come si era concordato.
L’operazione fu annullata a metà strada, perché c’era stata una soffiata. Così il distaccamento ripiegò su Villafalletto, dove Locatelli aveva un caseificio, per prelevarvi dei latticini e magari proclamare un breve sciopero simbolico. Ma, passato il ponte sul Maira, il camion incappò in un posto di blocco predisposto dal podestà conte Corrado Falletti: un milite della squadra “Ettore Muti”, Lorenzo Lingua, aprì il fuoco: “Gucia” morì all’istante, “Roberto” fu ferito gravemente.
L’esperienza di ufficiale di artiglieria aveva consentito a Falletti di fortificare il proprio palazzo sulla piazza centrale del paese non lontano dal municipio, di organizzare posti di blocco sulle strade in direzione di Costigliole, Busca, Cuneo, Fossano e Centallo. Oltre a dieci squadristi della “Muti” (a luglio diventerà Brigata nera “Edoardo Lidonnici”) il conte disponeva al bisogno di una trentina di ausiliari, sbandati della 4a armata, adibiti normalmente alla coltivazione o al presidio delle proprietà terriere di famiglia fra Villa e Centallo. Via telefono passano i contatti con i podestà di Vottignasco, Centallo, Tarantasca e con l’avv. Chiapelli, ex podestà di Costigliole. A quest’ultimo sono attribuite le segnalazioni del covo di presunti partigiani a Ceretto, che ha preparato la strage del 5 gennaio, del piano GL di recuperare i lavoratori della Todt e il 12 marzo dell’intenzione dei garibaldini della val Varaita di rapire Falletti per trattare uno scambio di prigionieri.
Per i fatti di Ceretto e le uccisioni di partigiani il conte e quattro suoi militi saranno portati in giudizio non alla Corte d’assise straordinaria di Cuneo, ma a quella di Genova. Con pochi testimoni dell’accusa, impossibilitati per povertà alla trasferta, l’imputato principale sarà assolto, due dei militi, Buganè e Lingua, latitanti condannati a 30 anni, ridotti a 20 quando si consegneranno e scarcerati per buona condotta dopo appena 7 anni.
Lamberto, originario di Centallo, era meccanico. Blanchi apparteneva invece a una nobile famiglia: un antenato di almeno decima generazione di nome Pietro, notaio in Dronero, per i suoi meriti verso i duchi di Savoia, aveva avuto il piccolo feudo di Roascio con il titolo di conte. Più antico il blasone dei Falletti. Ricchi mercanti presenti in Alba, signori di Castiglione, Barolo e Pocapaglia, avevano comprato castelli pur nel saluzzese, ottenendo nel XIV secolo dai marchesi feudo e titolo comitale.
In età moderna erano ancora proprietari di centinaia di ettari di prati e campi, che per il ramo cadetto a cui apparteneva Corrado si erano ridotti a meno di 200, dal momento che l’ultimo esponente del ramo principale senza eredi aveva lasciato molte cascine alla parrocchia o all’ospedale. I Blanchi si erano invece dedicati all’attività imprenditoriale, avviando in Dronero una fabbrica di tappeti. A livello nazionale la frattura fra nobiltà legata alla terra, orientata verso la fedeltà nei confronti di Mussolini, e quella imprenditoriale, favorevole alla resistenza, è ben rappresentata da un lato dal principe romano Junio Valerio Borghese, comandante della X MAS, e il colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, martire delle Fosse ardeatine.
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lunedì 12 maggio