Attualità - 06 maggio 2025, 13:16

Cinque tartarughe abbandonate in pochi giorni a Cuneo: un’emergenza silenziosa che esplode in primavera

Tra normative internazionali, responsabilità dei proprietari e difficoltà per i centri di recupero, si profila un problema ambientale e gestionale sempre più complesso

Immagine da Wikimedia

Immagine da Wikimedia

Ben cinque le tartarughe fatte trovare chiuse in una scatola di cartone, con qualche foglia di insalata, solo nell'ultima settimana, a Cuneo. 

A volte lasciate davanti alla caserma dei Carabinieri forestali, altre davanti alla sede di qualche associazione che si occupa di animali, altre semplicemente lasciate in acqua, come nel laghetto del Parco Parri o in qualche zona umida. 

Ma le cose sono molto più complesse di quanto appaiano. 

Al Cras di Bernezzo, giusto per dare l'idea del fenomeno, ce ne sono almeno settanta, tutte trovate nei posti più disparati e portate lì. 

Da fine aprile fino a settembre, i casi di abbandono e ritrovamento sono tantissimi. Le tartarughe si accoppiano in questo periodo e i piccoli possono arrivare ad otto per femmina. A settembre inizia poi la stagione del "sonno invernale", per cui l'emergenza si placa. Fino alla primavera successiva.  

Un fenomeno che interessa tutta l'Italia. 

La scena è ormai familiare: tartarughe che nuotano tranquille e ignare del fatto che lì, in realtà, non dovrebbero esserci. Spesso sono Trachemys scripta, tartarughe d’acqua dolce acquistate nei negozi o alle fiere quando sono ancora cucciole. Ma una volta cresciute — troppo grandi per le vasche domestiche, troppo impegnative da gestire o inconsapevolmente detenute in modo illegale — finiscono abbandonate nell’ambiente naturale. 

Un gesto dannoso per l’ecosistema e pericoloso anche per la sopravvivenza della stessa tartaruga.

Trachemys scripta elegans è una specie che dal 2016 è inserita tra le “invasive” a livello europeo e la cui detenzione è oggi regolata da norme stringenti. Nonostante i divieti, molti animali continuano a essere liberati in ambienti non idonei, dove competono con le specie autoctone, trasmettono malattie e alterano gli equilibri ecologici.

Al centro della gestione di questi animali c’è la normativa CITES, la Convenzione di Washington che regola il commercio internazionale delle specie protette. 

Per molte specie di tartarughe è obbligatorio: attesta la legalità della provenienza dell’animale e ne consente il possesso. Senza questo documento, non è possibile cedere, vendere o trasferire legalmente l’animale. 

Ma qui iniziano i problemi: molti proprietari non sono consapevoli dell’obbligo, o non si sono mai preoccupati di regolarizzare la posizione della propria tartaruga. Quando poi arriva il momento di “liberarsene”, si trovano con un animale che non possono vendere né affidare legalmente. E spesso, la soluzione più semplice sembra essere l’abbandono.

I centri di recupero fauna selvatica, quali appunto il CRAS di Bernezzo, sono sempre più sotto pressione. Non solo per la scarsità di fondi e spazi, ma anche per l’ambiguità normativa: una tartaruga abbandonata senza certificato non può essere regolarizzata facilmente, e spesso resta “fuori sistema”. Inoltre, le tartarughe sono animali longevi, che richiedono cure specifiche e spazi adeguati: accoglierle significa prendersi carico di una gestione complessa e molto lunga nel tempo, dato che una tartaruga può vivere per decenni. 

Cosa fare se si possiede una tartaruga? Innanzitutto, si deve verificare se la specie è soggetta a tutela CITES. In tal caso, è necessario disporre di un certificato di origine e, se si desidera cederla, occorre seguire le procedure previste dalla normativa. In caso di difficoltà, è possibile rivolgersi ai servizi veterinari ASL o alle associazioni che si occupano di animali esotici, evitando soluzioni illegali.

L'alternativa non può e non deve essere l’abbandono: non è solo un reato, ma un atto di irresponsabilità ambientale che sta vedendo la proliferazione delle tartarughe, spesso vittime di un mercato poco regolamentato e di un’ignoranza diffusa.