Nel ciclismo lo chiamano così: lo scatto. Quel momento in cui il gruppo rallenta un istante e qualcuno parte all’attacco per cambiare il destino della corsa. Giovanni Minetti, appena eletto presidente del Consorzio Alta Langa DOCG, la vede così. Dopo aver spinto forte in salita – dalla fondazione della denominazione fino alla crescita delle bottiglie e dei soci – è tempo di cambiare ritmo. Di staccarsi dal gruppo.
Figura di riferimento del vino italiano, agronomo specializzato in viticoltura ed enologia, Minetti ha ricoperto incarichi apicali in aziende storiche come Fontanafredda e oggi guida Tenuta Carretta, oltre a presiedere l’Associazione Grand Wine Tour. È stato anche presidente del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e amministratore delegato dell’ATL Langhe Monferrato Roero.
Accanto a lui, nel nuovo consiglio eletto il 5 maggio scorso, siedono nomi di spicco del comparto: Gianmario Cerutti (Coppo), vicepresidente, insieme a Giovanna Bagnasco (Brandini), Piero Bagnasco (Fontanafredda), Alberto Cane (Marcalberto), Luca Cigliuti (Contratto), Antonio Deltetto (Deltetto), Domenico Conta (Enrico Serafino), Carlo Galliano (Borgo Maragliano), Roberto Garbarino, Andrea Farinetti (Casa E. di Mirafiore) e Orlando Pecchenino.
Figura di riferimento del vino italiano, agronomo specializzato in viticoltura ed enologia, Minetti ha ricoperto incarichi apicali in aziende storiche come Fontanafredda e oggi guida Tenuta Carretta, oltre a presiedere l’Associazione Grand Wine Tour. È stato anche presidente del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e amministratore delegato dell’ATL Langhe Monferrato Roero.
Accanto a lui, nel nuovo consiglio eletto il 5 maggio scorso, siedono nomi di spicco del comparto: Gianmario Cerutti (Coppo), vicepresidente, insieme a Giovanna Bagnasco (Brandini), Piero Bagnasco (Fontanafredda), Alberto Cane (Marcalberto), Luca Cigliuti (Contratto), Antonio Deltetto (Deltetto), Domenico Conta (Enrico Serafino), Carlo Galliano (Borgo Maragliano), Roberto Garbarino, Andrea Farinetti (Casa E. di Mirafiore) e Orlando Pecchenino.
Che significato ha per lei questo incarico?
“È un grande onore, certo. Ma vorrei che la mia fosse una presidenza collegiale. Ognuno dei consiglieri deve assumersi una responsabilità operativa: chi seguirà gli aspetti tecnici, chi quelli legislativi, chi quelli promozionali. È così che si costruisce davvero un Consorzio solido. L’eredità che raccolgo è importante, ma anche stimolante: l’Alta Langa è cresciuta, oggi serve gestire questa crescita e farle fare un salto di qualità”.
Qual è la fase che si apre adesso?
“Abbiamo un patrimonio di bottiglie in affinamento che è molto superiore alle vendite attuali. È normale: se prima non c’erano bottiglie da vendere, non si poteva fare altrimenti. Ora però dobbiamo fare in modo che la produzione e il mercato crescano insieme. Il Consorzio ha il dovere di accompagnare questa evoluzione, aiutando i soci a mantenere e migliorare la qualità e promuovendo il prodotto con coerenza e forza”.
Da dove si comincia per colmare questo divario tra produzione e consumo?
“Dalla consapevolezza. Il vino da solo non si vende: si vende perché ha un territorio alle spalle, un’identità, una comunità. Questo ci ha insegnato il Barolo, il Barbaresco, ma anche il Gavi o il Timorasso. L’Alta Langa ha due grandi carte da giocare: la storicità – perché il Piemonte è la culla dello spumante italiano – e la forza del territorio. È da qui che dobbiamo ripartire, valorizzando il lavoro fatto finora e costruendo nuovi strumenti”.
Lei ha detto che l’Alta Langa è un vino che unisce. In che senso?
“All’inizio eravamo in sette, oggi siamo in ottanta. E non è solo una crescita numerica. L’Alta Langa si produce in tre province – Cuneo, Asti, Alessandria – e ha saputo creare un’identità collettiva. Non è un vino che divide, è un vino che aggrega. È un vino da tutto pasto, di alta qualità, che può esprimere al meglio la vocazione spumantistica di territori straordinari, anche in zone che per troppo tempo erano state marginalizzate”.
Qual è la situazione attuale del mercato?
“Ad oggi, circa l’85% dell’Alta Langa viene venduta in Italia, e di questa il 70% resta in Piemonte. Solo il 15% va all’estero. Questo significa che abbiamo margini enormi, prima ancora che nel mondo, nel nostro stesso Paese. Milano è un esempio lampante: se oggi si chiede un’Alta Langa lì, ti guardano come un marziano. Eppure è un mercato fondamentale, così come lo sono gli Stati Uniti e il Giappone, che hanno già dimostrato interesse”.
Il vino è conosciuto sul territorio d’origine?
“Sì, e questo è un fatto importante. A differenza di altri vini – penso all’Asti – l’Alta Langa sta trovando spazio nei bar, nei ristoranti, nei locali delle Langhe e del Piemonte. È fondamentale: se raccontiamo il vino fuori, poi chi viene a trovarci deve poterlo trovare. Altrimenti si chiede: ‘Perché vuoi venderlo a me, se a casa tua non si beve?’”.
Che tipo di lavoro vi aspetta a livello consortile?
“Il Consorzio ha due missioni. La prima è la tutela: disciplinari, gestione degli impianti, controllo delle superfici. La seconda è la promozione: far conoscere il prodotto, costruire una narrazione, accompagnare le aziende verso nuovi mercati. Non si tratta solo di vendere: bisogna creare il bisogno, lo spazio, la curiosità. E questo richiede tempo, coerenza e strategie chiare”.
Quali sono i numeri su cui lavorerete?
“Le ultime vendite si attestano su 1.800.000 bottiglie. Ma in affinamento potremmo presto arrivare a 5 milioni. È un salto importante, ma possibile. Certo, serve attenzione: non possiamo forzare i tempi. Bisogna arrivare sul mercato col prodotto giusto, maturo, e pronto a raccontare qualcosa. È un percorso di crescita lineare, con tappe obbligate. Ma si può fare. E si deve fare”.
Con un gruppo forte. E un buon gioco di squadra.
“Sempre. Se c’è una cosa che ci ha portati fin qui, è stata la compattezza. Ora siamo nel gruppo di testa. Ma, come dicevamo, è il momento dello scatto”.