Era persona da sempre legata alla sicurezza di abitudini, con orari precisi e puntuali, che scandivano la sua vita, sin a diventare quasi «rituali»… Se si voleva incontrare Eligio Baudino era facile: bastava aspettarlo, nel suo giro serale di «commissioni», la spesa quotidiana, o nei bar, dove leggeva accurata «rassegna stampa», ad integrare, «per vederci più chiaro», le pubblicazioni cui era abbonato… Lo si trovava in Piazza dell’Olmo, tra il bar Centrale ed il verduriere sull’altro lato, in Piazza Italia, dove passava al Bar Garibaldi a salutare l’amico Giovanni «Long John» Cerato, con cui avevano condiviso tanti momenti della storia dello sport bovesano, quelli del torneo calcistico «Dei Pini», come partecipanti ed organizzatori… Più difficile risultava, e pensiamo nessuno ci sia mai riuscito, pagare il conto del bar, quando si prendeva qualcosa con lui…
Classe 1937 (settantasette anni compiuti lo scorso l’8 maggio), ci si poteva augurare, per lui, qualche altro anno di questa vita tranquilla, sempre assaporata col sorriso, anche nei momenti difficili… Non si poteva sperare in una fine migliore di quella dello scorso martedì sera, con qualche segno di stanchezza, in questa sua precisa successione di tappe, una morte su una sedia, nell’ingresso di casa, in Via Re Benvenuto, con le borse della spesa, come assopitosi dopo essersi fermato un attimo, per riposare, prendere fiato, magari riflettere, dopo aver parcheggiato l’auto in garage e chiuso la porta…
Così lo ha trovato il fratello Giovanni, «Gianni Ferramenta», come è noto a Boves, avvertito dal titolare del negozio Gino Gallo, che si era accorto che qualcosa non andava come al solito, consegnandogli la spesa…
Era nato in Francia «Eligio», a Cannes, da Michele Giacomo Baudino e Maria Marro, dove bovesani trasferitisi Oltre Alpe a lavorare, là conosciutisi, il destino è spesso strano, e sposatisi. Era tornato a Boves (a Tetto Metre, da dove veniva la madre) bambino piccolissimo, quando si addensavano le nuvole di guerra tra Italia e Francia…
Aveva, poi, scoperto che il nome deciso dai genitori, Eligio, quello del secondo santo patrono di Boves, santo Vescovo, protettore di orafi, numismatici, veterinari, maniscalchi e, di riflesso, quadrupedi, pur personaggio della prima Francia merovingia, doveva essere «ostico» per l’anagrafe della Terza Repubblica, tanto da essere cambiato in quello di Elia. Si ritrovò, così, senza averlo mai cercato, con il nome di un profeta. Ma per Boves fu sempre «Eligio», professore di «Educazione fisica», uno dei primi a frequentare i corsi «ISEF», ancora praticamente «sperimentali», a Roma…
Il suo primo incarico, che lo fece entrare, da supplente, in quella «Scuola», intesa come «Pubblica Istruzione», dove lavorò per quaranta anni, fu a Bra, che raggiunse avventurosamente, da Boves, in tempi nei quali le auto erano poche e le strade persin peggiori delle attuali, sfruttando «passaggi»…
Fu poi, in ruolo, nelle scuole superiori cuneesi, come l’ITIS, avendo tra gli allievi campioni quali Franco Arese e Bruno Gardini. Di quest’ultimo, campione provinciale per un decennio di «lancio del disco», poi finito all’Agenzia Spaziale Europea, dopo la laurea, sin alla pensione, ci confidò, durante un incontro piacevolissimo per entrambi, di aver temuto che il tanto impegno sportivo rischiasse di compromettere i risultati scolastici, invece costantemente di assoluta eccellenza…
Era di quegli strani insegnanti di «ginnastica» che finivano per diventare «maestri di vita», per far apprendere, attraverso lo sport, una vera «filosofia», una apertura a tutti i campi del «sapere», troppo spesso, sempre di più, visti come «noiosi»…
Non si sposò mai e, pur non parlando mai troppo di sé (solo al funerale ci hanno accennato di servizio militare in aeronautica), una volta, al cimitero, ci raccontò di una fidanzata morta prima del matrimonio… Può sembrare incredibile, specie di questi tempi, ma, a volte, capita di non voler cambiare la donna che si è scelto…
Di modestia unica, spontanea, naturale, neppur cercata, sottolineava le «fortune» avute, tutte strameritato, e glissava sulle difficoltà incontrate, sempre affrontate con forza e serenità, con un sorriso che mai mancava sul suo volto, ad attutire le malinconie che affioravano, ogni tanto, da uno sguardo attento e disincantato, ma, soprattutto, indulgente…
Aspetto più raro che unico per un bovesano, mai si ricordano sue litigate con qualcuno, che non vuol dire che non avesse sue opinioni e convinzioni (sogni da vero «idealista») che, a volte, cozzavano con le altrui…
Probabilmente era il modo di presentarle, con il sorriso, facendole precedere da deliziosi, accurati, finissimi, «cappelli introduttivi», che ogni contrasto smussavano…
Da «primogenito» seguì con attenzione, sin all’ultimo giorno, fratelli e nipoti, quasi da «patriarca».
Badò ai genitori diventati anziani (il padre, noto come «Chelino ‘dij Mobil», per il negozio di arredamento avuto, in Via Roma, prima di darsi al commercio ambulante, sin a tarda età, morì novantenne, nel 1996, la madre, ultraottantenne, pochi anni dopo).
Vero atleta, è ancora ricordato come calciatore, portiere. Grande organizzatore mai volle troppo apparire (e, se è la tua scelta, te lo lascian fare senza problemi, che qualcuno disposto a prendersi meriti mai manca), ma fu anima di tante iniziative (dai «Giochi senza frontiere» ad iniziative in margine al centenario della Cassa Rurale bovesana, nel 1988)…
L’età ne colpì il fisico, con qualche problema negli ultimi anni, sempre affrontato con grande forza d’animo, mai lo spirito…
Come sottolineato dal parroco bovesano don Bruno Mondino nell’omelia funebre se ne è andato come ha vissuto, sforzandosi di «non disturbare», autonomo, indipendente, autosufficiente, sin all’estremo istante…
Sua passione fu la musica (seguendo le orme paterne, che era stato nella «Banda» cittadina, suonava chitarra e batteria), ma, soprattutto, la fotografia.
Noi lo giudicavamo tra i «fondatori» del bovesano Circolo «L’otturatore»… Ci riprese puntualizzando che vi era arrivato solo pochi mesi dopo la fondazione… Certo vi restò, ne divenne colonna, punto di riferimento, mediatore in contrasti, per gli scorsi quaranta anni… Le riunioni del «Circolo» erano tra le poche occasioni in cui si concedeva delle uscite da casa dopo cena…
Molti dei fotografi che danno lustro tuttora alla fotografia bovesana non nascondono di averlo visto come un maestro (a partire da un Michele Siciliano), subito capace di capire i meccanismi, le regole, di tale arte, di chiedersi perché una immagine gli piaceva oppure no, incapace di ogni critica che non fosse costruttiva…
Sempre il suo approccio alla fotografia fu «artistico», capace di ore di attesa per cogliere la giusta inquadratura e la corretta luce, già ai tempi dell’analogico, magari col fido amico Beppe Andreis…
Le ultime «esposizioni multiple» (che uniscono particolari diversi in un’unica immagine, offrendo immagini irreali, composizioni oniriche, che bisogna «aver dentro», per immaginarle) le ha fatte collaborando con Bruno Mandrile, ed il suo computer, ma le ha cominciate decenni prima, quando, con le pellicole a cristalli d’argento era ben più complesso…
Quando un cronistino locale scrisse di una Boves «isola che non c’è», si vide arrivare in regalo una immagine dall’alto del centro storico circondato da nuvole… Nel Circolo di Mellana vi son ancora esposte immagini della frazione sotto la neve una grande luna, in un cielo chiaro, od immensamente vicina al Monviso… Uno degli ultimi lavori mostra vecchietto col bastone e mantello nero che si incammina lungo il viale d’accesso verso il cimitero, in quattro immagini sulle «età dell’uomo»…
A San Bartolomeo, nell’Auditorium Borelli, nella esposizione collettiva annuale del «Circolo», vi saranno i suoi pannelli, che aveva già preparato… Per il prossimo Sant’Eligio, nel luglio prossimo, i «suoi» fotografi stanno già pensando ad una sua grande «Personale», in Santa Croce…
Bell’omaggio lo han già fatto i nipoti, la famiglia, con grande cartellone nella camera ardente, vicino alla bara aperta, con collage di sue immagini e delicata poesia da lui scritta, anche letta in chiesa: «Boves, tu permetti? / Io gioco. E danzo / la stagione della mia adolescenza. / Danzo sopra i tuoi tetti, / per le tue vie / e vagheggiando ti percorro / dalle verdi colline: / sola, lieve, librata / in una dimensione irreale. / Un sogno?!... Forse. / Ma qualche volta i sogni / sono rèfoli di vento / che sospingono la mia nuvola / nel ciel dell’esistenza.». Chi, degli sparuti lettori, ha mai sentito la parola «rèfoli» usata con più proprietà ed eleganza è caldamente pregato di alzare la mano.
Un nuovo lutto, in questo 2014, crea un vuoto incolmabile, in una città in cui nessuno par più neppure possibile pensare di poter sognare di danzare, con l’entusiasmo dell’adolescenza, su tetti e vie, sin alle colline, in cui le nuvole si guardano solo, ed il vento si sente, quando portan tempesta, in cui l’anima di quella che è stata una Comunità par morire, spegnersi, un poco ogni giorno… Isola che non c’è… Più…
Adriano Toselli