Curiosità - 01 giugno 2019, 17:15

Bra, la chiesa di S. Maria degli Angeli e il ritrovamento di fatti, di protagonisti e di un’antica planimetria

Fine del viaggio in compagnia di Fra Luca, al secolo Pier Giorgio Isella, tra i segreti di uno tesori della città (quinta e ultima puntata)

Nelle precedenti puntate abbiamo girato intorno alla chiesa di Santa Maria degli Angeli di Bra, cercando di capire quale mondo ruotasse accanto ad essa. Grazie a Fra Luca, al secolo Pier Giorgio Isella, finalmente entriamo dentro per comprenderne le forme architettoniche, gli interventi susseguiti nel tempo, per leggere i segni straordinari che tracciano infinite piste, per ricomporre relazioni antiche, per ipotizzare scenari futuri.

All’interno della chiesa si osserva un’ambiente centrale con volta a botte lunettata ed uso di significative nervature a fascioni, cara in particolare a Gian Giacomo Plantery (+1756), quali appaiono comuni, oltre che nelle volte delle chiese, anche nei grandi palazzi di abitazione aulica o comunque negli edifici di pubblica utilità e rappresentanza (all’epoca e nella stessa Bra si osserva ancora la volta dello scalone monumentale dell’ospedale di Santo Spirito, opera di Francesco Gallo, morto nel 1750; oppure la volta dello scalone del monastero vecchio di Santa Chiara, realizzata forse a partire dal 1722 dal Plantery).

Tale tipologia costruttiva della volta a cupola richiede di essere accompagnata da una prevalente luminosità, mentre nella nostra chiesa appare mortificata dal tamponamento della maggior parte dei vari finestroni circostanti, cui, volendo, si può aggiungere la mancanza del tradizionale epilogo luminoso a centro volta, tipico dei luoghi di culto, quello di una lanterna costituita nel cupolino. Queste osservazioni sono compatibili con le possibili variazioni progettuali causate da fattori inattesi, e forse trovano giustificazione da quanto si osserva anche all’interno dell’edificio.

La volta appare infatti serrata in robuste chiavi di legatura, intervento correttivo realizzato, come ne rileva l’evidenza ab initio, per i gravi cedimenti che si andavano manifestando nella struttura; rafforzamento deliberato per necessità “in corso d’opera” mentre ancora si ultimava a fatica il sofferto e complesso edificio (anni 1750-60). 

Si ha notizia che ancora nel 1756 la chiesa non disponeva di volta, essendo la muratura ferma all’imposta della cupola; questo dato è peraltro nettamente visibile oggi all’esterno per le difformità di materiale impiegato lungo la linea di volta superiore degli otto finestroni del tamburo.  Da quanto si rileva tra le notizie d’archivio, la volta a cupola può essere stata realizzata solo attorno al 1760.

Le note di Antonio Mathis riportano che la cappella dell’altare maggiore della chiesa fu eretta e utilizzata a partire dal 1764. Il fatto che la cappella maggiore non sia stata edificata per prima costituisce un’altra anomalia in quanto, nel costruire le chiese, per antica consuetudine, il cantiere principiava con l’erezione della cappella grande, quella con l’altare maggiore.

In Santa Maria degli Angeli, la prima cappella che si eresse fu, invece, quella alla destra dell’altare maggiore, oggi dedicata a S. Elisabetta d’Ungheria, cappella che in origine venne dedicata a S. Margherita di Cortona (il Mathis, facendo evidente confusione con la chiesa di San Vincenzo Ferrer, lo denomina altare di S. Rosa da Lima).

A proposito della cappella di S. Margherita da Cortona, vi sono fatti e notizie che sono ignoti al Mathis, che al suo tempo non poté riferirne. Questa cappella venne fatta erigere dal conte Francesco Isoardo Reviglio della Veneria, come appare documentato invece in: I Revigli di Bra.

La cappella surrogò le funzioni di altare maggiore dal 1753 al 1764. Invece, per quanto riguarda la cappella a sinistra dell’altare grande, quella oggi dedicata al Transito di S. Giuseppe, fin dal 1762 venne dedicata a S. Vittoria martire, ed era di patronato del Comune di Bra. Alla sinistra di questa cappella, dal 1761 fu benedetta la cappella di Sant’Antonio di Padova, poi mutata nell’attuale dedicazione al Sacro Cuore di Gesù (questa venne fatta erigere dal nobile braidese Pietro Ferrero). Ultima infine, nel 1763, alla destra dell’altare di S. Margherita, la cappella delle Stigmate di S. Francesco d’Assisi, era di patronato di Giuseppe Cottolengo da Barcelonnette, nonno di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Le due cappelle laterali rimanenti, poste ai due lati dell’ingresso, oggi dedicate rispettivamente a Sant’Antonio di Padova e alla Beata Vergine di Lourdes, rimasero senza dedica fino al 1906 con l’arrivo dei frati Cappuccini che le eressero.

Di queste, quali iniziali spazi vuoti, si ha invece notizia che dal 1817 furono utilizzati dal proprietario della ex-chiesa, insieme al vano del “coro dei religiosi” come ambienti del “magazzino e dell’ufficio del sale”; in proposito, sulla facciata nell’esterno della chiesa si rileva ancora la finestra bassa praticata per dare luce all’ufficio, attuale cappella della Madonna di Lourdes.

Resta il fatto che chiunque oggi voglia immaginare con la fantasia la chiesa dall’esterno e in particolare nell’interno, può rilevare una gradevole piacevolezza nel collocare l’ingresso a nord, dove insiste l’attuale cappella del Sacro Cuore di Gesù, e l’altare maggiore nell’opposto sud, in luogo della attuale cappella delle Stigmate di S. Francesco d’Assisi; si consideri che tale possibilità, per le dimensioni è anche strutturale, tutte le sette cappelle della chiesa quanto a larghezza e altezza hanno identiche quote; all’esterno anche la trabeazione con le alte colonne e il timpano dell’ingresso nella facciata, per le misure, si possono immaginare collocati armonicamente sul prospetto laterale nord.

Quanto rilevato della storia della chiesa trova citazioni e riscontri nelle pagine dedicate da Antonio Mathis ai “Monumenti sacri” cittadini; ma è invece nella seconda parte dell’opera, dedicata alle più importanti “Famiglie di Bra”, che si ritrovano riferimenti non ripresi in pubblicazioni a riguardo di Santa Maria degli Angeli. Si tratta nello specifico del riferimento ai Moffa conti di Lisio dove vi sono alcune altre importanti informazioni sulla chiesa e il convento dei frati Minori Osservanti di Bra. Occorre riportare parte del testo, dove viene ricordato tale fra Benedetto, Minore Osservante e allora guardiano del Convento di Santa Maria degli Angeli, al secolo Matteo Ludovico, figlio di Giovanni Bartolomeo Moffa e il suo fratello Giovanni Andrea, conte di Lisio.

Di fra Benedetto si dice che fu: “Uomo attivissimo, sebbene troppo battagliero e soverchiamente tenace delle opinioni sue … principale avversario dei pievani (di San Giovanni) nella lunga questione della separazione de’ frati Minori Osservanti, de’ quali fu più volte guardiano, dalla parrocchia di San Giovanni. Vinto, pose mano alla fabbricazione di una nuova chiesa sul disegno di Santa Maria della Rotonda di Roma, che dedicò alla Madonna degli Angeli”.

A questo profilo del frate Benedetto, il Mathis soggiunge notizie sul fratello del medesimo: “Ma quegli che diede maggior lustro alla famiglia dei Moffa fu Giovanni Andrea, fratello di fra Benedetto, nato nel 1696. Laureatosi in legge, divenne col tempo valente avvocato, fu fatto vice uditore di guerra e osservatore delle regie gabelle, e poi sindaco di Bra; il 29 agosto del 1749 fu ascritto all’ordine dei vassalli, … Sebbene sia stata per lo più molto pregiata dai Braidesi l’opera di Giovanni Andrea, tuttavia, essendo sindaco e consigliere, favorì egli ed indusse il comune di Bra a favorire troppo i frati Minori Osservanti contro i pievani, indotto da soverchia brama di aiutare il fratello, frate Benedetto, sicché troppo tempo durarono quelle discordie con grande scandalo, danno e divisione dei cittadini… Fu anche un tempo che tirò più al proprio vantaggio, che non a quello del pubblico, sicché dall’autorità superiore, fu espulso dal consiglio municipale…”.

Venendo a qualche considerazione utile a questa nostra ricerca, emerge dal racconto quanto riportato dagli “Ordinati comunali”, dove si ha notizia che la comunità dei frati di Santa Maria degli Angeli, a ragione, non era affatto favorevole sulla scelta del sito della chiesa da farsi, visti i gravi problemi di statica che erano emersi pochi anni prima nel fabbricato del loro attiguo convento.

Ciò trova conferma in un documento superstite ritrovato nel 2017, e che si pensava perduto. Si tratta della Planimetria ufficiale del convento sul finire del secolo XVII, disegno rinvenuto tra le carte dell’archivio conventuale.

Nella pianta sono delineate tutte le parti originali dell’edificio, comprese quelle non più esistenti, in parte abbattute per i rischi statici emersi nella struttura. La pianta, quotata e delineata su rilievo, documenta quanto fino ad ora non si conosceva delle vicissitudini della struttura conventuale tra la fine del secolo XVII e gli inizi del secolo XVIII, quindi non è ancora raffigurata la nuova chiesa, mentre sono ancora presenti le parti del fabbricato conventuale demolite a partire dal 1723; la carta è ancora ignota agli studiosi. 

Il documento attesta l’importanza del risanamento della zona della Rocca per la città, conseguente l’espansione ad occidente della parte urbanizzata; rileva la quantità dell’esborso di denaro pubblico per oltre un secolo, visti i danni costituiti per l’abitato, come alla chiesa di San Giovanni a quella di Sant’Antonino, ai palazzi dei Brizio, degli Isnardi, dei Gabrio, tutti demoliti con alla base la comune problematica delle fondazioni.

Quanto ritrovato negli appunti degli “Ordinati comunali” lo si scorge rappresentato nella planimetria che si pensava perduta. Il guardiano fra Benedetto, invece, appoggiato dal fratello sindaco Giovanni Andrea, certo per la cronica mancanza di fondi, riuscì ad imporre ai confratelli la scelta di quanto poi si fece, perché con il sostegno civico garantito. Tutto questo fini per alimentare polemiche e contrasti, oltre che tra i religiosi della comunità, anche nella popolazione e nella pubblica amministrazione.

Per questi motivi la monumentale chiesa contestata e sfortunata non ebbe consacrazione, ma venne solo benedetta dal Ministro provinciale, e officiata dai frati come per protesta e per necessità quando ancora mancava della volta; per questo, è possibile arguire, i frati Minori Osservanti di Bra accettarono senza lamentele eccessive il comando Regio che, pochi anni dopo, nel 1795, metteva fine alla loro presenza in Santa Maria degli Angeli e traslocarono nel più sicuro Santuario cittadino della Madonna dei Fiori.

A questo punto ci si può porre l’interrogativo: visto quanto accadde, chi può essere stato lo sconosciuto architetto? Come ipotesi suggerisco che si possa trattare dello zio di Bernardo Vittone, quel Gian Giacomo Plantery che d’abitudine collaborò per anni con l’importante affezionato nipote Bernardo Vittone in più luoghi e tempi e nella stessa Bra; l’ingegnere Plantery però venne a morire il 26 aprile 1756, quando la chiesa era ancora erigenda; ciò, a mio parere, visto il contesto, rende possibile avvalorare la notizia citata dal Mathis che sia stato richiesto all’ingegnere Giovanni Ronco, da tempo buon conoscitore del cantiere per le problematiche idrauliche, di portare a termine la sfortunata chiesa di Santa Maria degli Angeli rimasta inconclusa e senza attribuzione.

Ultimando la riflessione a proposito delle gravi problematiche della statica della chiesa, quelle stesse evidenziate dalle lesioni murarie rivelatesi mentre la struttura non era ancora ultimata (1742-1760 circa) ritengo indicativo accennare alla crisi dell’area finestrata dell’edificio. La chiesa ha luce da due serie di finestroni; la prima serie è quella superiore, in alto, nel tamburo che regge la volta a cupola ribassata si osservano nell’architettura otto grandi finestroni rettangolari. In realtà, per la presenza della base della torre campanaria dietro la cappella laterale sinistra dedicata al Transito di S. Giuseppe (lato Settentrione) questa non esiste già in progetto. I finestroni nel progetto sono dunque sette.

Di questi, aperti con vetrata sono soltanto tre, rivolti ad occidente, il lato dell’edificio corrisponde alla posizione centrale sopra alla trabeazione della porta d’ingresso, con i due laterali, quello destro che corrisponde all’odierna cappella di Sant’Antonio di Padova, e quello sinistro, che corrisponde all’attuale cappella della Madonna di Lourdes. Questi tre finestroni sono quelli centrali della facciata sulla piazza XX Settembre, gli altri quattro vennero certamente murati fin dal tempo della costruzione della volta. Nell’ordine inferiore, le finestre sono collocate ciascuna nelle varie cappelle, sono semicircolari con l’eccezione della finestra centrale, sopra alla porta d’ingresso, che è tonda. Tra queste, come per i finestroni superiori del tamburo, manca quella a Settentrione, nella cappella del Transito di S. Giuseppe; è non c’è inoltre quello centrale della cappella maggiore, sostituito dalla presenza dello spazio del presbiterio.

Come per i finestroni del tamburo nell’ordine superiore, anche di queste finestre sono aperte solo quelle centrali a occidente, cioè sopra l’ingresso e, di fianco, nelle cappelle di Sant’Antonio di Padova e della Madonna di Lourdes, in totale tre su sei. Complessivamente, mentre il progetto esecutivo della chiesa comportava nei due livelli un totale di tredici sorgenti di luce, la struttura ne vide realizzate solo sei; tenendo conto delle diverse aree delle due serie di finestre si conclude che la chiesa è stata privata di circa il sessanta per cento della luce prevista in sede progettuale. La necessità di questa riduzione significativa della luminosità, la si può certificare con un attento esame delle lesioni primarie, quelle rilevate nella parte destra della struttura, fratture visibili con un’ispezione nel sottotetto, oltre che ben rilevabili all’interno della chiesa per i rattoppi operati nell’architrave della trabeazione, in particolare nella parte soprastante l’attuale cappella di Sant’Antonio di Padova.

Tutto questo documenta perché sia stato ritenuto necessario il tamponamento di gran parte dell’area finestrata fin dalla realizzazione della copertura della volta (1760 circa); vi traspare di fatto l’evidente connessione di gracilità in tutta la parte muraria interessata nei due ordini della struttura e le richieste pertanto di varie opere di consolidamento e legatura realizzate nel voltare la stessa chiesa.

Tra il 1760, data probabile del completamento della volta a cupola e il 2 agosto 1764, quando si poté “cantare la prima Messa all’ultimato altare maggiore” si concluse la parabola dell’edificazione di Santa Maria degli Angeli.

A proposito del convento e della chiesa di Bra, nell’Archivio parrocchiale di Sant’Andrea, si ha traccia di un registro, oggi introvabile, di cui rimane solo l’Indice delle Scritture conventuali in cui al numero 15, in data 12 giugno 1770 si riferisce di un “Progetto di Monsieur Vittone per la fabbrica del Convento”. Probabilmente questa scrittura introvabile era stata consegnata all’Archivio generale della Provincia dei Minori Osservanti; il dato conferma che dell’intero fabbricato si intendeva compiere una ricostruzione; ma l’ingegnere Bernardo Vittone venne a morire in Torino il 19 ottobre 1770 e non se ne fece nulla. Già “ nel 1795 i frati dovettero cedere al re di Sardegna il convento e la chiesa per l’alloggiamento dei soldati e per deposito di munizioni di guerra ed andarsene alla Madonna de’ Fiori, dove stettero fino alla soppressione degli Ordini religiosi, fattasi nel 1802”.

La stessa data del 1795 attesta che la dimissione dei frati da Santa Maria degli Angeli da parte del sovrano costituì un fatto da leggersi in rapporto alla loro problematica sussistenza nel convento, e non si trattò quindi delle espulsioni dovute alle Soppressioni napoleoniche degli Ordini religiosi giunte nel decennio successivo. Ciò lascia ben intravedere la serie di difficoltà sopravvenute in conseguenza ai danni provocati dalla instabilità geologica del luogo.

Prosegue il Mathis “ Pochi anni dopo (1807) la chiesa, il convento e l’annesso giardino, che tanto avevano costato, furono venduti per vilissimo prezzo; e con l’andare degli anni il convento fu convertito in grossa casa, il refettorio fu ridotto ad ovile, e la chiesa a magazzino di sale e tabacco”. Invece il fabbricato conventuale venne parzialmente trasformato, per renderlo sicuro e in parte abitabile, mentre circa il 1830, nell’area del giardino ad occidente, da parte del nuovo proprietario Giovanni Andrea Ternavasio, commerciante di rilievo e uomo d’affari noto non solo nel braidese, si pose mano all’edificazione del già citato “Palazzo del russo”.

La chiesa monumentale, fiore all’occhiello della nuova città, dimenticata, venne officiata dai frati Minori Osservanti per meno di quarantadue anni. Riaperta e restituita al culto dai frati Minori Cappuccini, che ne riacquistarono la proprietà solo nel 1906, dopo essere stata ridotta ad usi militari e civili per centoundici anni.

Il nostro viaggio si conclude con la nota di Luca Pier Giorgio Isella dedicata all’architettura della chiesa settecentesca di S. Maria degli Angeli in Bra. Essa presenta il caso paradossale di un monumentale edificio d’arte non privo di originalità già nell’anomalo impianto architettonico trasversale che lo caratterizza. La chiesa non disponeva di un profilo storico-critico, il saggio costituisce un tentativo di restituirne il volto fino ad oggi poco conosciuto.

La riscoperta di una storia rimasta sottotraccia appare nella rivisitazione delle fonti civiche braidesi, per la documentazione fornita dagli “Ordinati” e per il fortunato rinvenimento di una planimetria originale del primo Settecento, che si considerava perduta. Il disegno registra la situazione in pianta degli edifici conventuali del convento omonimo alla fine del secolo XVII, prima della realizzazione della chiesa di S. Maria degli Angeli nel 1742, e fa luce sui seri danni provocati dal dissesto del territorio nella zona cittadina detta “della Rocca” lungo due secoli.

Emerge una vicenda sfortunata, con le scelte del Comune condizionate dai vistosi contrasti nelle oligarchie civiche braidesi del secolo XVIII; ai conflitti tra i diversi gruppi sociali si sommarono i condizionamenti causati dall’ambiente urbano, con le problematiche croniche dovute alla natura del sito idro-geologico della città di Bra, condizionando le scelte urbanistiche. Anche la sorte della comunità dei Frati Minori Osservanti, segnata dalle vicende dell’epoca delle Soppressioni napoleoniche rese la chiesa priva del culto e ridotta ad usi civili per oltre centoundici anni.


 

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Silvia Gullino