Copertina - 04 febbraio 2024, 00:00

Gabriele Costamagna, il presidente che sogna di diventare filantropo

Vuole il Cuneo Volley in SuperLega e intanto porta avanti il progetto Fiöi, dove vince il lavoro di squadra

Gabriele Costamagna, il presidente che sogna di diventare filantropo

37 anni, presidente di Cuneo Volley dal 22 luglio 2022, Gabriele Costamagna è un personaggio eclettico, vulcanico. Lontano anni luce dallo stereotipo del presidente ingessato, in giacca a cravatta, a bordo campo a seguire compassato le gesta della sua squadra. Ad ogni punto fatto o subito non sai mai cosa ti devi aspettare: lo abbiamo visto saltare, esultando, in piedi sui tavoli della tribuna stampa, così come prendere a
pugni le suppellettili nei bagni del palasport per sfogare la sua delusione. È fatto così.
Ma ha un grande cuore e, soprattutto, una visione imprenditoriale a largo raggio e dannatamente ottimistica. Merce rara di questi tempi. La sua storia imprenditoriale è ancora ancora relativamente breve, ma allo stesso tempo già densa di emozioni e successi.

Presidente, innanzitutto scopro oggi che lei è nato a Mondovì: per uno che fa il presidente di Cuneo Volley diciamo che non è un gran biglietto da visita... (da decenni le due tifoserie sportivamente si “detestano” N.d.R)

“Eh che ci vuol fare? Sì, sono nato a Mondovì il 10 maggio 1986 da mamma casalinga e dal papà meccanico. Origini delle quali vado fiero”.

Andiamo avanti.

“Ho vissuto fino a 19 anni a Bombonina, poi ho iniziato a girovagare: prima per l’Italia, poi in Europa”.

Per piacere o per lavoro?


“Diciamo che la mia tesina dell’Itis si è trasformata in un’azienda”.

Si spieghi meglio.

“Dunque, la tesina prevedeva lo sviluppo di un portale per la recensione dei libri, mia grande passione. In pratica prima li leggevo, poi li mettevo on line e stimolavo le persone con le recensioni. Poca roba, ma con la pubblicità mi pagavo gli studi universitari”.

Che studi ha fatto?

“Sono laureato in Informatica”.



Andiamo avanti con la sua idea imprenditoriale.

“Ad un certo punto ho sperimentato il mio primo caso di viralità on-line, dopo aver scritto una recensione fortemente negativa sul libro “Perché non possiamo essere cristiani” di Giorgio Odifreddi. In pratica, con un sillogismo ho definito Odifreddi un cretino. La cosa è diventata virale, raggiungendo i 150.000 contatti e tra questi anche alcune case editrici emergenti che mi hanno chiamato per iniziare una collaborazione. Lì è nata la mia prima piccola impresa, che tre anni dopo ho venduto”.

Mi pare di capire che le cose hanno preso piede.

“Mi iscrivo alla magistrale e con un compagno sviluppiamo un’altra idea imprenditoriale. Ho una specializzazione in intelligenza artificiale ed insieme a questo amico sviluppiamo un algoritmo che ci permette di simulare della partite sportive, la cosiddetta “Rete di Petri”. Lo trasformiamo in un videogioco, nel quale il fruitore può trasformarsi in allenatore. L’idea funziona, tanto che raccogliamo quasi un milione di euro di finanziamenti e di lì parte la mia seconda azienda”.


In Italia?

“No. Grazie ad un fondo estone, ubicato a Tallin, ci siamo trasferiti in Estonia e lì insieme con due soci e sei collaboratori rimango sei mesi. Nel frattempo accumulo esperienza in altri centri importanti come Berlino, Londra e San Francisco”.

Quanto è durata la sua esperienza all’estero?

“A 5 anni dalla fondazione vendo gli asset e torno in Italia. È stata un’esperienza imprenditoriale emozionante e decisamente formativa, nella quale ho imparato l’importanza dell’essere tutti sempre al servizio dell’azienda”.

Poi torna in Italia.


“Sì, e nel frattempo a 26 anni mi sposo. Dopo un anno di vita da separati, lei abitava a Milano ed io a Tallin, decidiamo di trasferirci a Cuneo ed inizio a lavorare esclusivamente nel nostro Paese, in particolare su Torino e Milano, diventando una sorta di consulente per le aziende. Soprattutto quelle digitali, ma mi sono occupato anche di moda, food, musica ed organizzazione di eventi”.



Scusi se glielo chiedo, ma che c’azzecca tutto ciò con il volley?

“Ci azzecca. Ero contento, avevo lavorato all’estero, stavo operando su Torino e Milano, ma mi mancava fare qualcosa su Cuneo. Il problema era come ricollocarsi sulla città: cosa dicevo alle aziende? Che ero stato a Tallin a fare videogiochi? Che le aiutavo nel passare da zero a 1? Difficile farlo capire. Spuntò un’opportunità
grazie al mio amico Alessandro Abbà, che mi invitò aduna riunione di “Sport in Cuneo”, la polisportiva nata sulle ceneri di Piemonte Volley. Vado a questa riunione e onestamente esco di lì senza averci capito niente. Però decido lo stesso di studiare le cose e ciò che mi attira maggiormente è lo scoprire che dietro a tutto c’era un mondo aperto, tante cose sulle quali poter lavorare. E così inizio pian piano. Quello che stiamo realizzando oggi è stato intravisto nel 2017”.


Ha fatto la gavetta in Cuneo Volley?

“Come giusto che sia. Sono entrato in qualità di socio, occupandomi di marketing, ma contavo poco. Poi ho fatto il mio percorso di crescita ed eccomi qui”.


Come si vede tra 20 anni?

“Un filantropo. Nel frattempo spero di essere riuscito a costruire qualcosa d’importante per i giovani. Mi piace pensare che riuscirò ad aiutarli per fare altrettanto. Mi vedo come advisor, un supporto: credo che ad un certo punto della vita sia necessario dare indietro ciò che si ha avuto”.



Lo sport lo ha aiutato in tutto ciò?

“Tantissimo. Da fuori posso sembrare un po’ presuntuoso, ma è l’unico modo che hai per stare nel mondo degli adulti”.


Si sente un po’ bambino?

“Bambino no, ma sempre con voglia d’imparare. Avendolo vissuto da sempre, so quanto lo sport aiuti a capire il concetto che sta alla base di un lavoro di squadra: se tu dai, anche il compagno lo fa. E la squadra vince. È da qui che nasce l’idea e lo sviluppo del progetto Fiöi, il programma che intende dare ai ragazzi che vogliono crescere come atleti professionisti nella pallavolo un’opportunità di crescita. Questo è il mio modo d’intendere la vita”.

Mi dice un momento indimenticabile della sua vita?

“Per quanto riguarda il privato, sicuramente la nascita di mia figlia Letizia. Per ciò che concerne la vita imprenditoriale emozioni ne ho viste tante, ma spero di dover ancora vivere il momento più eclatante. Anzi, diciamo che spero di viverlo tra tre mesi... “ (ride, sonoramente: il riferimento è l’agognata promozione in Superlega N.d.R.)

Si definirebbe felice?

“Sì, senza alcun dubbio. Ho una bella famiglia, un lavoro che mi piace, dunque non posso che essere felice. E poi io di natura non so cosa sia l’invidia: questo da solo ti rende felice. Quando vedo una persona che ha successo sono davvero molto contento per lui: sono sempre stato abbastanza sicuro di me stesso, quindi so che devo fare un percorso per raggiungere il traguardo”.

Presidente, che cosa rappresenta Cuneo per lei?

“Cuneo è casa”.

Un’ultima cosa: non fosse imprenditore come si vedrebbe?

“A viaggiare per il mondo in ciabatte e barba lunga. Sarei il perfetto figlio dei fiori, probabilmente un nomade”.

Gabriele Costamagna è questo: prendere o lasciare.

Cesare Mandrile

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