Nei palazzi del potere di Kiev, settembre è iniziato con un forte terremoto politico. Hanno presentato le dimissioni i capi di ministeri importanti, dagli Esteri alla Giustizia, dall’Industria all’Ambiente. Ed era praticamente metà del governo. Licenziamenti e cambiamenti ai vertici vi erano già stati o erano in previsione, ma la sorpresa è che sono avvenuti quasi in contemporanea e ad altissimo livello. Come riporta il sito Strumenti Politici, sono subite circolate voci sul vero regista di tali manovre.
Non lo dicono solamente negli ambienti di opposizione, ma anche gli osservatori esteri: il capo dello staff presidenziale Andriy Yermak ha un accumulato un potere tale da essere lui l’ombra di Zelensky, che sceglie e sposta le pedine nell’ottica del costante rafforzamento della posizione. Per esempio, il nuovo ministro delle Comunicazioni era un suo vice e anche il nuovo ministro degli Esteri lavorava nell’ufficio presidenziale.
A Zelensky sta bene così, perché gli permette di stringere la presa su un potere che in teoria non gli spetta più. Infatti il suo mandato era scaduto a maggio, ma è rimasto in sella grazie alla legge marziale che lui stesso prolunga di volta in volta. Però se il conflitto finisce e si aprono i negoziati, dovrà farsi da parte. E non sa che accoglienza gli riserveranno amici e avversari, una volta che non sarà più presidente.
Dunque si circonda esclusivamente di fedelissimi che fa mettere nei posti chiave oppure toglie coloro che potrebbero oscurarlo. E non è un mistero, ma un fatto che genera preoccupazione anche negli alleati e negli esperti internazionali. Il recente “rimpasto” comunque non dovrebbe peggiorare le cose, dice il deputato di opposizione Dmytro Razumkov, perché già ora è l’ufficio presidenziale a determinare la gran parte delle decisioni.